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Theatre Research International, vol. 42, n. 2, luglio 2017
in association with the International Federation for Theatre Research

147 pp.
ISSN 0307-8833

In continuità con il primo numero del 2017 l’editoriale di Paul Rae (Editorial: Stupidity, pp. 113-118) prosegue la riflessione sulle difficoltà dello studioso di oggi nel farsi interprete e portavoce della complessità della società attraverso la lente delle pratiche performative. Stavolta l’attenzione si focalizza sul concetto di “stupidità”, intesa come caratteristica precipua della socialità dell’uomo contemporaneo. L’impossibilità di soddisfare agli interrogativi di base di ogni buon articolo (chi, cosa, come, dove, quando, perché) dimostrerebbe, secondo Rae, l’esistenza di un perenne disallineamento tra la necessità produttiva e la sete di conoscenza del lettore. Per essere convincente chi scrive deve essere in grado di produrre in chi legge una “insensibilità” verso argomentazioni altre, per esempio omettendo dettagli determinanti (è il caso dei discorsi tenuti da Donald Trump durante l’ultima campagna elettorale statunitense). Parafrasando Gilles Deleuze, la stupidità «struttura il pensiero» (Difference and Repetition, London-New York, Continuum, 2004, p. 189) e, di conseguenza, determina il grado del significato.

L’articolo di apertura di Wei Feng (Performing Comic Failure in Waiting for Godot with Jingju Actors, pp. 119-131) prende in esame l’adattamento di Waiting for Godot (1953) di Beckett a opera della troupe taiwanese Contemporary Legend Theatre diretta da Wu Hsing-kuo (2005). La compagnia, rinomata per la commistione di tecniche proprie dell’opera pechinese (jingju) con quelle di tradizione occidentale, si trova di fronte sfide formali legate alla messa in scena di quei “comici fallimenti” che sottolineano l’incapacità dei personaggi beckettiani di ottenere successi, seppur minimi, nel mondo metafisico che li circonda.

Anche Seokhun Choi (The Marionette: Intermedial Presence and B-Boy Culture in South Korea, pp. 132-145) si concentra su una specifica messinscena: The Marionette. Uno show, diventato fenomeno cult nella cultura sudcoreana a partire dal 2005 che, abbinando la danza alla video-arte, rivisita in chiave moderna il tradizionale spettacolo di marionette dando vita a una vera e propria performance intermediale.

Gay Morris (Dinosaures Become Birds: Changing Cultural Values in Cape Town, pp. 146-162) si occupa del sudafricano Zabalaza Festival, promosso dal Baxter Theatre di Città del Capo. Alla luce della biforcazione tra teatro cittadino e teatro di periferia nella capitale legislativa del Sudafrica, Morris evidenzia le profonde differenze estetiche, tematiche e finanziarie derivanti da una legislazione ancora molto legata al separatismo razziale.

In Violence without Violence” (pp. 163-178) Clare Finburgh approfondisce le tematiche dell’assenza di virtuosità e del distorto approccio alla mediatizzazione analizzando la pièce MINEFIELD/CAMPO MINADO dell’argentina Lola Aria, rappresentata nel 2016 al Royal Court Theatre di Londra. Lo spettacolo vede in scena sei ex soldati britannici e argentini reduci dalla guerra delle Isole Falkland (aprile-giugno 1982). L’autore smaschera la strumentalizzazione dell’eroismo e della virtù da parte dei leaders politici e dei media.

Della stessa opera si occupa Cecilia Sosa, mettendone a confronto due allestimenti realizzati  rispettivamente a Londra e a Buenos Aires nel 2016 (CAMPO MINADO/MINEFIELD: War, Affect and Vulnerability. A Spectacle of Intimate Power, pp. 179-189). Sosa sottolinea la differente ricezione dello spettacolo nelle due città, nonché la capacità del teatro di creare ponti transnazionali sollecitando la partecipazione del pubblico.

In coda al fascicolo si segnalano due consueti strumenti di lavoro: Book Reviews (pp. 190-207), con le recensioni dei principali studi in lingua inglese di argomento teatrale, e Book Received (p. 208), con le segnalazioni delle ultime pubblicazioni di area anglosassone. Chiude il numero un ampio dossier dal titolo Snapshot: Brazil (pp. 209-242) dedicato alle maggiori novità del panorama teatrale brasiliano.


di Andrea Simone


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