Per
il teatro i primi decenni del Novecento hanno rappresentato un cambiamento epocale
che determinò il tramonto di una cultura dello spettacolo durata oltre tre
secoli, sostituita da nuovi sistemi creativi e produttivi, valori, relazioni
con il pubblico e con il potere. Una rivoluzione connessa con le grandi
aspettative economiche, politiche e sociali che caratterizzarono la coeva storia
europea e che ebbe tra i protagonisti alcuni degli artisti più noti della
storia teatrale: Adolphe Appia, Edward Gordon Craig, Kostantin Stanislavskij, Vsevolod
Mejerchold, Max Reinhardt, Georg Fuchs, Jacques Coupeau, Antonin
Artaud e molti altri. Siamo
di fronte a uno dei momenti più discussi del Novecento, sia per quel che
riguarda la pratica teatrale, ovvero loperato dei cosiddetti maestri, sia per
gli studi storici sul teatro, sia, più in generale, per la storia della cultura.
Lecito domandarsi perché Mirella Schino,
a oltre dieci anni dalla pubblicazione de La
nascita della regia teatrale (2003), abbia deciso di tornare su quelletà.
La risposta si trova sin dalle prime pagine del volume che qui si presenta.
Lautrice procede secondo una convincente, inedita prospettiva. Ciò che viene
privilegiato non sono le teorie, i metodi e le poetiche, ma quel complesso e
imprescindibile sistema di interazioni che crea levento teatrale e che,
riprendendo un concetto della filosofia buddista, Schino definisce «rete
dIndra» (p. 16). In altre parole: «il rapporto con la Storia, le biografie, le
passioni, le strutture sociali e gli spettacoli in quanto nodi di relazioni –
tra attore e attore, tra attori e maestri, tra spettacolo e pubblico […],
quelle che i maestri hanno avuto tra di loro, con la loro età, e con il loro
mondo particolare – il teatro – con la sua storia e con la sua specificità» (pp. 9-10). Lo
sguardo della studiosa, opportunamente, si allarga anche al più ampio orizzonte
della storia. Non a caso il volume è stato accolto nella collana «La storia.
Temi» della casa editrice Viella, che sempre più si sta affermando come un
punto di riferimento imprescindibile per la qualità delle sue pubblicazioni.
Lautrice si interroga sui fatti, le tendenze culturali, le esigenze dello
spirito di quellepoca che, se da una parte hanno determinato le scelte degli
artisti, dallaltra aiutano a meglio comprendere la mentalità degli spettatori. È
questo uno dei nodi centrali delle riflessioni di Schino: «perché il pubblico di tutto il mondo, sia quello favorevole al
cambiamento, sia quello incline alla tradizione, ha imparato così rapidamente a
conoscere i loro nomi, li ha additati come maestri del nuovo? Come mai questo
pubblico generico sembra comprendere agevolmente teorie e linguaggi che a noi
suonano spesso misteriosi e astrusi?» (p. 19). Interrogativi non secondari, che
chiamano in causa lo stretto legame tra storia e teatro, tra passato e presente.
Il loro rapporto è un nodo storiografico essenziale, ma anche «un rischio
enorme, perché determina una forma mentis
che poi corriamo il rischio di applicare al passato. Può far appiattire
limmagine di un teatro morto sul profilo di un teatro vivo, fino a che le
differenze non scompaiono» (pp. 299-300). Il pericolo dellanacronismo è sempre
in agguato. Un
altro pregio del libro è la capacità di affrontare la complessità degli
argomenti trattati con un linguaggio chiaro, di piacevole lettura, che si
rivolge agli specialisti della disciplina e agli
appassionati. Le pagine scorrono come in un racconto che narra di spettacoli,
romanzi, biografie, guerre e rivoluzioni, facendo finalmente riemergere quel
ricco e sfuggente intreccio di relazioni che costituisce «la zona liquida del
teatro» (p. 11).
di Lorena Vallieri
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