Fondamentale
struttura interpretativa del libro è losservazione del carattere meticcio
dellattore: ora vive del mestiere fondato sulla recitazione, il mascheramento,
il canto, la musica e ora invece di altri espedienti mercenari, di competenze
artigianali e fabbrili, di negoziati e contratti diversi. Questo per smentire una
rigida separazione e distinzione del comportamento sociale dei teatranti di
mestiere dal resto del mondo cittadino. E giustamente – a ribadire il prevalere
di un comune costume professionale (al pari di altre corporazioni) – si
sottolinea come questo carattere appartenga non solo ai comici «regnicoli» (del
meridione dItalia) ma anche – salvo rare eccezioni – agli attori «padani»: si
pensi al doppio mestiere dellArlecchino Tristano
Martinelli, di Flaminio Scala, di
Pier Maria Cecchini e di altri
attori-autori della cosiddetta Commedia dellArte. Unica eccezione di rilievo
fu forse quella del fiorentino Giovan
Battista Andreini. Giustamente scrive Teresa
Megale: «il dilettantismo non è un
affluente secondario rispetto al robusto fiume del professionismo, semmai
sembrerebbe un corso autonomo e parallelo, che non di rado si intreccia con il
primo, ora lambendone solo gli argini, ora travalicandone le sponde, per
creare, quando la circostanza lo esige, piene eccezionali» (p. 94).
Megale,
nello studio dedicato a un arco di tempo quasi secolare (1575-1656), affianca
unanalisi dellintensa dinamica, sociologica e storica del Regno di Napoli alla
storia cronologica del funzionamento, deperimento e rinascita dei principali
teatri di quel territorio. Altrettanto acutamente lautrice sottolinea il
riflesso di tale dinamismo macrostrutturale nella psicologia percettiva degli
spettatori teatrali: «la varietà linguistica del pubblico potenziale favorisce
e accentua le pratiche mimetico-gestuali, aumenta a dismisura il numero dei
lazzi, incrementa il valore acrobatico delle performances, rafforza la
comunicazione pre-verbale e incide non poco […] sulla
specializzazione degli intermezzi, nei quali le componenti musicali, vocali,
coreutiche e gestuali possono primeggiare su
quelle verbali» (p. 116). Precisazione fondamentale che può servire a spiegare
la diffusione di questa forma di spettacolo nei secoli e nei diversi territori
linguistici dEuropa. Il libro non trascura però di tracciare – con il sostegno di molte fonti inedite o rare
– unampia panoramica dei diversi generi
spettacolari coltivati nelle piazze, sul mare e nei palazzi partenopei.
Passando
dallo sguardo dinsieme allosservazione dei dettagli relativi alla storia
materiale dei comici, nel volume assume un valore rilevante lofferta al
lettore di un ricco consuntivo circa il funzionamento economico di questo
teatro: dai contratti stipulati da singoli comici e da compagnie alla funzione
impresariale svolta da altri attori. Significative (pp. 158-176) le
precisazioni e le integrazioni documentarie circa lopera del capocomico padovano
Carlo Fredi, un caso fortunato e
fecondo di migrazione da nord a sud, così come quelle intorno allattrice Diana Ponti e agli altri consanguinei o
soci nellimpresa di cui finora si avevano scarse notizie. Di grande interesse
storico-documentario sono le successive considerazioni e documentazioni (pp. 179-220)
che Megale significativamente intitola Fra
barberia e sacrestia: la società per il San Giovanni dei Fiorentini; lo
stesso si dica per quelle pregevoli (pp. 221-233) intorno al Teatro San
Bartolomeo.
Dopo
lapparato iconografico (a colori, pp. 317-334), il volume mette a disposizione
dei lettori e degli studiosi una ricca e pregevole scelta di fonti
archivistiche (pp. 335-396).
Il
bellissimo libro che Teresa Megale ha composto giustifica il valore cardinale
che gli studi dello spettacolo possono vantare, non solo nello specifico quadro
disciplinare, ma anche nel più ampio orizzonte della storia culturale europea.
di Siro Ferrone
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