Cambiare significa sperimentare,
variare, innovare, ma non necessariamente riformare. È questo lassunto alla
base dellaccurato lavoro di ricerca sulla compagnia del teatro San Samuele di
Venezia tra 1726 e 1749 che vede la luce per merito di Lorenzo Galletti. Uno spettacolo, quello di scena al San Samuele in
quel giro danni, che lautore nel suo titolo definisce appunto «senza riforma»,
pensato e realizzato come unalternativa alle proposte dei concorrenti teatri
veneziani. Mai, nel corso di circa un ventennio, le compagnie che calcarono il
palco del teatro di proprietà della famiglia Grimani si videro imporre dallalto canovacci e testi, ma al
contrario pretesero dal poeta di compagnia di turno che il materiale
drammaturgico si adattasse alle loro doti sceniche propiziando, di volta in
volta, il successo. Questa considerazione smentisce,
come in parte hanno fatto i più recenti studi, le parole del più famoso tra gli
scrittori che collaborarono con la compagnia del San Samuele in questi anni, quel
Carlo Goldoni cui si deve,
consuntivamente, lidea di una riforma del teatro veneziano e italiano che
sembrava essere già scritta prima ancora di avvenire. E se è certo che la compagnia di Giuseppe Imer è stata finora ricordata e
studiata soprattutto per il periodo in cui Goldoni vi lavorò, è altrettanto
vero che il teatro San Samuele e i suoi attori parteciparono a pieno al
cambiamento dello spettacolo settecentesco «ed è pertanto immeritata loscurità
nella quale oggi giacciono a vantaggio di pochi, i cui nomi riecheggiano sulle
pagine della storia» (p. 12). Questa, dunque, lintuizione
sviluppata da Galletti a conferma di una fase “di passaggio” del teatro
veneziano – tra formazioni nomadi di stampo seicentesco e testi goldoniani – le
cui caratteristiche meritavano di essere riscoperte. La ricostruzione dellorganico delle
varie compagnie che si alternarono al San Samuele (cap. II) e del repertorio da
esse proposto (capp. III-V) non è soltanto un elenco ragionato di nomi, date e
titoli; né lo sfoggio dei risultati di unattenta indagine archivistica e bibliografica
sugli attori, la loro vita, gli spostamenti, le capacità performative, i testi
e il conseguente scrupoloso collegamento comici-personaggi. È, piuttosto, la
lucida dimostrazione, documenti alla mano, di un mondo teatrale diverso da come
Goldoni lha raccontato. Emerge così un ritratto
sorprendente delle compagnie del San Samuele. Si apprende che in certe stagioni
il numero degli scritturati era sufficiente per due formazioni. Il pubblico di
questo teatro era attirato da unampia varietà repertoriale: intermezzi comici,
drammi musicali, commedie e tragedie. Gruppi attoriali che vivevano una felice
contraddizione: i molti interpreti erano specializzati nelle loro parti e,
contestualmente, «tutti capaci di destreggiarsi con ogni sorta di drammaturgia»
(p. 158). Lo studioso tesse notizie su comici
quali Giuseppe Imer, attore mediocre, ma capocomico autorevole e rispettato. Al
tempo stesso precisa e corregge il profilo degli interpreti “minori”, inclusi quelli
che militarono in compagnia per neanche una stagione. Di questi ultimi Galletti
segue le orme a Venezia e nelle altre città italiane. Si vedano il proficuo approfondimento
sulla tournée del 1738-1739 al teatro
del Cocomero di Firenze (pp. 70 e ss.), nonché laffidabile “censimento” di attori,
ruoli e spettacoli (Appendici, pp.
207 e ss.). Unattenzione particolare è
dedicata alle proposte spettacolari che infoltirono il repertorio della
compagnia. Non solo teatro comico: negli anni 40, ad esempio, i testi tragici
francesi e italiani furono sfruttati e acutamente modificati per il teatro
veneziano. E non esclusivamente spettacoli in “prosa”: le rappresentazioni musicali
restarono sempre in auge al San Samuele perché prediligevano soggetti parodici
che divertivano il pubblico. Dellintermezzo
comico il teatro dei Grimani fu un instancabile centro propulsore. Notevole la
scoperta del libretto inedito del Pomponio affettato, opportunamente
trascritto in appendice (pp. 243 e ss.), che potrebbe essere uninvenzione di
Goldoni. Un teatro polimorfo e versatile quello
del San Samuele tra il 1726 e il 1749. Ricco e povero, serio e comico, virtuoso
e volgare, a tratti noto a tratti sconosciuto e difficile da sondare. Un ritrovo
di attori, cantanti, impresari, scrittori, scenografi, musicisti in continuo
avvicendamento. Un teatro in ostinata reinvenzione e forse, in questo senso sì,
in continua riforma.
Caterina Nencetti
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