La pubblicazione degli atti della giornata di studio dedicata a Federico II Gonzaga e le arti (Mantova, 15 novembre 2014) ha anzitutto il merito di rivalutare la figura del primo duca di Mantova, sino a oggi solo parzialmente tratteggiata. La storiografia ha giustamente messo in luce la sua lungimirante abilità politica, ma ha spesso limitato la sua immagine di committente al ritratto richiesto a Tiziano nel 1529 e alla costruzione di Palazzo Te, affidata, come noto, allarchitetto-scenografo Giulio Romano che vi lavorò dal 1524. Episodi straordinari, ma che non restituiscono la complessità dellambizioso progetto ideato dal figlio di Isabella dEste che, memore dellesempio materno, volle trasformare Mantova nella capitale della cultura artistica europea, eloquente e simbolico riflesso dellesercizio del potere. Mecenatismo, cultura e politica, come ormai da tempo hanno mostrato gli studi sullEuropa delle corti. Il volume diventa così anche un momento di riflessione sulla capitale gonzaghesca degli inizi del Cinquecento, di cui si approfondiscono episodi meno noti e questioni ancora irrisolte. Inoltre, i singoli lavori, pur trovando il loro centro nella preziosa, ma già nota documentazione conservata allArchivio di Stato di Mantova, si aprono a inedite indagini che indicano la strada verso nuovi, possibili percorsi di ricerca. I saggi della Mattei, di Sally Hickson e di Nicoletta Ilaria Barbieri si concentrano sugli anni giovanili di Federico II e sullimportanza che i soggiorni a Roma (1510-1513) e in Francia (1515-1517) ebbero nella sua formazione artistica e letteraria. Un ambito, questultimo, in cui spicca linteresse per le opere cavalleresche, le scienze occulte e la geografia anche se, esaminando più dettagliatamente il mecenatismo del principe, si coglie come i lavori direttamente commissionati furono pochi e dettati, più che dalla passione, dalla volontà di accrescere la propria influenza nel sistema di potere europeo. In altre parole, essi furono pensati come strumento di propaganda e costruzione mitopoietica. Basti pensare alla Chronica di Mantua di Mario Equicola (1521) e ai Consilia doctissima dei più celebri giuristi dellepoca (1536), redatti con lintento di legittimare dal punto di vista storico e giuridico il potere dei Gonzaga. Federico II mise ben altra energia nel promuovere il rinnovamento architettonico dei principali edifici mantovani, a cominciare dal già citato Palazzo Te. In pagine dense di notizie Ugo Bazzotti ricostruisce la quotidianità del cantiere giuliesco, offrendo, per la prima volta, un regesto delle maestranze impegnate nella costruzione. In parallelo fu iniziato lammodernamento del palazzo Ducale con la realizzazione della Rustica, un nuovo edificio posto sul lato meridionale dellattuale cortile della Mostra o della Cavallerizza. Completata dopo la morte di Giulio Romano, è stata oggetto, dal Settecento a oggi, di una articolata vicenda storiografica e attributiva in cui si inseriscono anche le attuali pagine di Carlo Togliani e Greta Bruschi. Grazie al confronto tra i documenti archivistici e il rilievo aggiornato della palazzina, eseguito in seguito ai danni sismici del 2012, Togliani ha ricostruito lavanzamento del cantiere e loperato delle singole maestranze, meglio chiarendo lattività di Giulio Romano e le richieste di Federico II; mentre Bruschi ha analizzato sia le tecniche costruttive, anche in relazione al più ampio contesto storico e architettonico, che i successivi restauri. Il fermento culturale e artistico del nascente ducato è testimoniato inoltre dalle altre fabbriche avviate in quegli anni, spesso pensate per dare una nuova facies agli ambienti di rappresentanza che dovevano riflettere la ricchezza e lo splendore della dinastia. Ad esempio le decorazioni esterne, una sorta di maquillage che, come dimostra Jérémie Koering, trasformava «una facciata disarticolata in una meraviglia architettonica», dando alledificio «una rinnovata dignità conforme alla magnificenza del principe» (p. 194). O ancora i sontuosi giardini, di cui resta traccia quasi esclusivamente nelle fonti letterarie del Cinque e Seicento, unanimi nel celebrare le magnificenze e gli artifici di quegli spazi, tra i quali il perduto complesso del Marmirolo, il cui uso è suggestivamente ricostruito da Paolo Carpeggiani. Si pensi poi al Gabinetto dei Cesari negli appartamenti di Troia, destinato a ospitare le pitture di Tiziano e Giulio Romano, di cui Renato Berzaghi tenta una nuova ricostruzione filologica e interpretativa. Le ceramiche approntate per le tavole di Federico II e Margherita Paleologa sono studiate da Maria Rosa Palvarini Gobio Casali. Tra i contributi innovativi spicca quello di Stefano LOccaso che propone disegni inediti e nuove ipotesi attributive, nel tentativo di identificare una «Scuola di Mantova» (p. 205) nella grafica del XVI secolo. In conclusione: un valido volume, che offre una solida base per meglio comprendere le strategie di committenza adottate anche negli anni successivi a quelli di Federico e che si inserisce a buon diritto nel ricco filone di studi sulla Mantova gonzaghesca. Con due appunti: la scarsa qualità delle immagini, troppo spesso di difficile lettura, e quello, più rilevante, di aver trascurato, tra le committenze di Federico II, quelle in campo musicale e spettacolare.
di Lorena Vallieri
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