Il secondo numero monografico del
2016 è incentrato su una rinnovata perlustrazione dellItalia degli anni
Ottanta, indagando un periodo della storia del cinema nazionale spesso studiato
secondo prospettive “orientate” o debitrici di stereotipi stratificati.
Consapevole di avvicinarsi ad anni «difficili da raccontare» (p. 13), anche per
la prossimità al nostro presente, il curatore Luca Malavasi nellIntroduzione sottolinea la necessità di
riscoprire quel decennio così particolare alla luce delle molteplici
interrelazioni tra la produzione culturale visiva e audiovisiva.
I numerosi contributi qui
raccolti mirano a indagare per exempla
le esperienze cinematografiche e televisive di quegli anni, evidenziandone i
punti di contatto con il più ampio contesto sociale e artistico mediante un
approccio intermediale e intertestuale.
Linteresse per i nuovi orizzonti
dei film studies, sempre più spesso orientati verso analisi trasversali,
si accompagna a unattenzione per le strategie divulgative, come traspare dalla
nuova veste bilingue della rivista, dove ciascun saggio è presentato anche in
traduzione inglese.
Gabriele Rigola, a partire da una celebre sequenza del
film Il ragazzo di campagna (Castellano e Pipolo, 1984), riflette sulla
rappresentazione dellimmaginario sociale degli anni Ottanta mediante un esame
delle nuove modalità in cui si definiscono lo stardom e lattorialità. In
questa e in altre commedie del decennio Renato Pozzetto incarna personaggi
emblematici di una mascolinità “ambigua” e oscillante, sintetizzando anche la
predilezione del cinema coevo per figure fortemente caratterizzate in senso
fisico. Rigola considera la corporeità e la gestualità dei più noti interpreti
comici del periodo come una «chiave
interpretativa» (p. 20) del più ampio contesto sociale: gli attori,
infatti, mettono in scena personaggi-tipo in grado di smascherare pulsioni e stereotipi,
esprimendo allo stesso tempo un rapporto spesso contraddittorio con gli oggetti
e più in generale con la cultura del consumo.
La rappresentazione della
corporeità muove anche le riflessioni di Giovanna Maina e Federico
Zecca, i quali, citando quella che Bauman definisce l«ossessiva
preoccupazione» [La società
individualizzata, Bologna, il Mulino, 2001, p. 253] per il corpo tipica
della tarda modernità, si focalizzano sulle modalità con cui esso viene
configurato nella commedia italiana degli anni Ottanta. La frequente
esposizione della fisicità attoriale, soprattutto femminile, instaura possibili
connessioni con la messa in scena dei generi sessuali, sottoposti ad
alterazioni e ibridazioni rispetto ai canoni.
Alcuni film del periodo sono
riconducibili sotto laspetto visivo a contesti sociali e culturali tipici dellesperienza
giovanile. Lo dimostra Rossella Catanese considerando Pirata! Cult
Movie (Paolo Ciaffi Ricagno, 1984) un «esempio di rimediazione
cinematografica» (p. 53) in virtù del dialogo che il film instaura con diverse
forme di linguaggi visivi (videoclip, computer grafica e fumetti) e audiovisivi
(soprattutto la musica rock e lo stile punk). Sulla stessa scia di riflessioni Valerio
De Simone individua in Sposerò Simon Le Bon (Carlo Cotti, 1986) «una
delle pellicole che meglio riesce a incarnare lessenza socioculturale di una
parte della gioventù italiana negli anni Ottanta» (p. 61). Il film, rappresentativo
delle mode dellepoca e del genere del teen movie allora in auge, ha per
protagoniste due adolescenti che manifestano una ricerca di emancipazione e di
autoaffermazione anche attraverso la cura del corpo e della propria immagine.
Giuseppe Previtali propone
di riconsiderare la rappresentazione di corporeità «sessualmente altre» (p. 75)
nel controverso filone dei mondo movies, là dove in alcune produzioni
degli anni Ottanta linsistenza su immagini oscene si lega al desiderio di
impressionare gli spettatori tipico del film dexploitation.
Sul versante televisivo, Sara
Martin e Jacopo Tomatis si soffermano sulla promozione di personaggi
e programmi ancora vivi nellimmaginario nazionale. Martin riflette sul ruolo
del costumista Luca Sabatelli (nipote della celebre Maria De Matteis) nella costruzione
di figure iconiche quali Raffaella Carrà mediante la cura del loro look.
Tomatis analizza le nuove modalità di presentazione del Festival di Sanremo
inaugurate nel 1980, ovvero da quando la sua emittente principale non è più la
radio, ma la televisione, la cui impostazione determina legemonia dellaspetto
visivo e spettacolare su quello musicale.
Nella sezione Inchieste, Riccardo Fassone compie una
ricognizione della produzione e della fruizione di videogiochi, in un contesto
di sviluppo tecnico e professionale spesso guidato da autonome iniziative dei
giovani. Matteo Pollone fa un excursus dello stato del fumetto
italiano negli anni Ottanta, caratterizzato da una significativa diffusione e
differenziazione, oltre che da una presa di coscienza in prima e in terza
persona ad opera di affermati autori e di illustri studiosi (su tutti Umberto
Eco). Il caso delleditore Sergio Bonelli è esemplificativo della massiccia
entrata dellimmaginario cinematografico nelle sceneggiature dei fumetti e
nelle scelte di “messa in quadro”: una forma di osmosi unilaterale.
Ivan Molitermi mette in
rilievo un altro paradosso: benché negli anni Ottanta il numero degli
spettatori diminuisca, il versante teorico-critico si potenzia attraverso una significativa
crescita degli spazi editoriali e un aggiornamento delle prospettive di studio.
Chiudono il volume due rubriche
dedicate ai temi dellarchivio e
della formazione. Nella prima Luca
Pallanch intervista Flavia Morabito in merito ai cosiddetti “film dellarticolo
28”,
realizzati con il sostegno della legge 1213 del 1965, che proprio dagli anni
Ottanta vengono affidati in gestione al Centro Sperimentale di Cinematografia. Dialogando con Alfredo Baldi, Sila
Berruti approfondisce la portata del rinnovamento didattico – ma anche editoriale,
che ha coinvolto la stessa «Bianco e
Nero» – avviato in quel decennio da Giovanni Grazzini, succeduto a
Rossellini nel ruolo di direttore del CSC.
In sintesi questo numero dimostra
un vivace interesse per una lettura trasversale dei media, attuata attraverso
il riferimento al contesto della cultura visuale, in grado di favorire nuove riflessioni,
ponendosi in ogni caso, secondo le parole dello stesso Malavasi, «dalla parte
delle immagini» (p. 14).
di Eleonora Sforzi
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