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La tragédie et son modèle à l’époque de la Renaissance entre France, Italie et Espagne

A cura di Michele Mastroianni

Torino, Rosenberg & Sellier, 2015, 243 pp., euro 27,00, Biblioteca di studi francesi
ISBN 9788878853478

Il volume è una raccolta di saggi nata in seguito alla giornata di studio tenutasi all’Università del Piemonte Orientale, Vercelli, il 6 giugno 2014, con il coordinamento scientifico di Michele Mastroianni. I sette contributi si configurano come sondaggi approfonditi e inediti delle tragedie francesi, italiane e spagnole che, con le loro scelte formali e contenutistiche, hanno condotto al “rinascimento” del genere tragico in età moderna.

Sabine Lardon (Les débuts de la tragédie française à l’antique et l’engagement pour l’illustration de la langue française […], pp. 15-45) analizza la Didon se sacrifiant di Étienne Jodelle secondo due parametri, Élocution e Prononciation, come previsto dalla Rhétorique française di Antoine Fouquelin (1555). Lo scopo è mostrare come l’autore abbia saputo coniugare il modello epico virgiliano con quello tragico senecano, per dare alla lingua francese un’opera che potesse definitivamente nobilitarla, provvedendola di uno stile sublime. In conclusione del saggio merita attenzione la ricostruzione, effettuata a partire dagli indizi di actio ed elocutio disseminati nel testo, della mise en scène pensata da Jodelle.

Maurizio Busca (pp. 47-67) indaga le fonti alternative a Seneca nella Médée di La Péruse. Lo studioso individua nel testo francese le influenze di quattro generi (tragico, elegiaco, epico e lirico) riscontrandovi permanenze euripidee (Μήδεια) mediante la traduzione latina di George Buchanan; elementi ovidiani (Heroides, XII e libro VII delle Metamorfosi), virgiliani e, infine, ronsardiani.

Paola Cifarelli (Lexique des émotions et syntaxe de l’émotivité dans la première Sophonisba française [1556], pp. 69-89) prende in esame il lavoro congiunto di traduzione svolto da Mellin de Saint-Gelais e Jacques Amyot, incaricati da Caterina de’ Medici di tradurre in francese la Sofonisba di Gian Giorgio Trissino. In particolare, la studiosa si concentra sull’analisi del lessico delle emozioni scelto dai due traduttori, allo scopo di mostrarne l’originalità compositiva.

Dario Cecchetti (Seneca nel Serraglio. “La Soltane” di Gabriel Bounin, pp. 91-121) si occupa di una tragedia del 1561 ispirata a un evento storico: l’uccisione del legittimo erede al trono del sultano Solimano il Magnifico. Il successo di questa drammaturgia fu assicurato dall’attualità del soggetto, nonché dalla peculiare ambientazione delle vicende, ovvero il serraglio: la reggia del sultano, luogo inaccessibile e favoloso, costituiva infatti un fertile humus mitopoietico. Cecchetti dedica ampio spazio alla disamina della tematica mitologica: i riferimenti ai miti che punteggiano la tragedia sono, nonostante l’ambientazione turchesca, greco-latini, là dove il modello è il corpus tragico senecano. In Appendice (pp. 115-121) è registrata la prima scena dell’atto primo della tragedia.

Michele Mastroianni (Roland Brisset traducteur/imitateur. Le modèle sénéquien dans la tragédie française de la Renaissance, pp. 123-176) illustra la raccolta di tragedie di Roland Brisset edita nel 1589: un corpus di testi d’impronta senecana proposti come modello per il futuro sviluppo del genere tragico. Il focus riguarda i concetti di “traduzione” e “imitazione”, le due procedure che caratterizzano la produzione drammaturgica del XVI secolo. Alla parte teorica Mastroianni fa seguire l’analisi di alcuni brani dell’Hercule Furieux illustrando come avveniva nella pratica il processo di traduzione e riscrittura del testo senecano, nella prospettiva della creazione di un nuovo, moderno linguaggio tragico.

Dell’eredità classica del teatro moderno si occupa Paola Trivero (pp. 177-190), che ripercorre lo sviluppo del genere tragico nel Cinquecento italiano. Ci si sofferma in particolare sulla citata Sofonisba (1524) di Trissino, sulla Rosmunda (1525) di Giovanni Rucellai e sull’Antigone (1532) di Luigi Alamanni, fedeli alla teorie aristoteliche e alle trame sofoclee. Si parla poi dell’orrifica Orbecche (1541) di Giraldi Cinzio, che coraggiosamente si allontana dall’applicazione pedissequa delle norme aristoteliche per seguire più liberamente il modello latino costituito dalle tragedie di Seneca. Pagine interessanti (183 ss.) sono dedicate ad altri epigoni dello stile senecano: Muzio Manfredi (Semiramis, 1593), Sperone Speroni (Canace, 1542) e Antonio Decio (Acripanda, 1598).

Infine Marcella Trambaioli esamina la caratterizzazione delle protagoniste femminili nelle tragedie di Cristóbal de Virués (pp. 191-235), individuando due paradigmi: quello della víctima vengadora e quello della víctima mártir. Il primo paradigma corrisponde alle figure di Semíramis, Casandra e Flaminia: personaggi ambivalenti, il cui spessore tragico emerge dal contrasto tra il polo positivo dei loro sentimenti di amore e rimorso e il polo negativo della loro volontà di vendetta. Il secondo paradigma trova esempi in Elisa Dido e in Marcela, figure femminili decisamente più monolitiche, prive di conflittualità interiore: in sintesi, di minor efficacia tragica. Ciononostante, Elisa Dido è il testo in cui de Virués si attiene maggiormente alle regole della tragedia classica. D’altronde, tutte le opere degli autori esaminati in questa pubblicazione testimoniano come la scrittura tragica cinquecentesca sia all’insegna di una continua sperimentazione alla ricerca del migliore compromesso tra tradizione e innovazione.


di Arianna Capirossi


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