Il regista e pedagogo polacco Krystian Lupa, nato nel 1943, ha
raccolto le importanti e famose eredità di Grotowski
e di Kantor, innovando nella
tradizione teatrale nazionale il metodo di fare e di insegnare il teatro. La
sua originalità fu notata e resa più evidente in occasione del conferimento del
Premio Europa per il Teatro nel 2009. I suoi Scritti ora pubblicati come Lettere agli attori sono in effetti brani duna riflessione svolta da
decenni e raccolta in un diario. Si tratta non soltanto di intenzioni, osservazioni
e suggerimenti per lo sviluppo di unespressione artistica, riguardante
lattore in particolare, ma di un colloquio innanzi tutto con sé stesso, per motivare
una teoria rispondente alle esperienze e alle intuizioni duna vita. Utopia è la condizione, oltre che lo
scopo, duna ricerca che impegna tutto luomo. Anche perciò il libro si
presenta insolitamente difficile, nellargomentare idee originali ed
eccentriche e sottoporle a discussione. Lautore esige da sé, prima che dagli allievi
e collaboratori, unesplorazione di regioni psichiche e fisiche che implicano
memoria, subconscio, improvvisazione. Tante esigenze che il Novecento ha via
via proposto e decantato nelle opere di Artaud
e Witkiewicz, di Mejerchold e Dullin, riaffiorano nella ricerca di Lupa, ricordando però vivamente
il lavoro di Alessandro Fersen,
filosofo e antropologo del teatro, anchegli nato in Polonia (1911) e sperimentatore
dei poteri della memoria con la tecnica del “mnemodramma”.
Nei propri spettacoli, Lupa
frequenta un repertorio di classici moderni mitteleuropei. Se a Wroclaw, in
occasione del Premio, proponeva la visione dellesemplare Factory 2, ispirato ad Andy
Warhol, lartista sera segnalato per la maestria nellattraversare i romanzi
di Dostoevskij, di Musil e di Bernhardt e per renderli in scena, tramite i suoi attori, come il “doppio
materiale della pagina” (cfr. la “motivazione” al conferimento dello stesso
Premio). Ma le idee del libro, oltre le impressioni delle rappresentazioni, mostrano
lo sforzo della nascita e della formulazione originarie. Concetti quali monologue intérieur, installation, corps-rêve, paysage, visibilité du spectateur bastano a
impegnare il lettore di queste “lezioni” e leventuale fruitore che intendesse
applicarle.
Quando Lupa richiama le teorie di
Arnold Mindell (psicoterapeuta
americano) e ne accoglie la nozione di corps-rêve,
fa propria unidea di persona che include il corpo e la coscienza: «Le corps
est, a côté de la conscience, le deuxième être de lindividu, domaine dun moi
autonome» (p. 72). Secondo lautore, Mindell riassume in corps-rêve il fenomeno che collega il corpo, il sogno e la malattia
per scoprire in esso la terapia del male. In analogia, il maestro polacco lo
applica alla recitazione nutrita dallimprovvisazione, basata appunto sullo
sfruttamento di tale facoltà, talvolta quasi “magica”. Le consonanze sono di
tendenza sia metafisica (i già menzionati Artaud,
Witkiewicz e Kantor), sia antropologica (lo stesso Grotowski,
Barba e, appunto, Fersen). La
comprensione delle sue visioni è resa più ostica dalla scarsità di referenti
storici e dalla forte concettualizzazione. Ci si chiede a quale condizione costringa
il suo attore al momento della
creazione primordiale (limprovvisazione), che da un tema o da un testo mira
allo spettacolo. Poiché il problema della costruzione (o composizione) del
personaggio è tuttora presente, ma come stornato dalla tradizione strutturata
nelle esperienze di Stanislavskij e Dullin, di Brecht, Jouvet e Barrault, fino al realismo critico in accezione
italiana.
Lupa propone il monologue intérieur quale strumento
della germinazione del personaggio nellinterprete, al quale nega però laiuto
duna partitura prefissata, lorditura dun fatto o aneddoto corrispondente. Confessa del suo viaggio introspettivo: «Je
ne considère pas mon passage comme une exécution dactions programmées, cest à
dire complètement fabriqué à lavance […] mais comme une tentative réitérable
de vivre un evénément» (p. 60). Il risultato è atteso nellinstallation, concetto sviluppato e sintetizzato come «la grande et
difficile décision [de saisir] quel homme je suis, quand jentre en scène» (p.
135).
Nutrito di tensione mistica, una
mistica assiduamente riportata alla concretezza del palcoscenico, il discorso
di Lupa suscita problemi a catena. Come quando confronta pensieri sul rapporto
dellattore con lo spettatore. Ne ricorda le circostanze più banali di contatto
e di scambio in compresenza nella sala, per toccare realtà più provocatorie e
scandalose, segrete e inaudite. Imboccata la via del mito e del rito teatrale,
per sottrarre il fenomeno a una semplice occasione di scambio commerciale, si
domanda cosa sia lattore «che ne recule pas devant un geste intime, véridique,
en accord avec ses pensées cachées. Il sagit de la relation avec les autres êtres qui se trouvent bel et bien
dans lespace du rituel» (p. 106). Per elaborare il monologo interiore, insiste
sulla necessità di spingersi agli estremi: «Dans les moments extrèmes, dans les
moments de transe […] cette conscience saffine comme dans un état narcotique,
elle devient dune visibilité de cristal [et] la présence du spectateur grandit
jusquà se faire révélation […]. Elle est le fond dun réalité créée […]. La
vèrité la plus importante, la plus profonde, nest pas la vérité du récit que
nous contons dans notre narration de théâtre, mais la vérité du rituel que nous
faison naître et incarnons à laide de ce récit» (pp. 107-108). Lentamente, ma
decisamente, pare di assistere al recupero duna spiritualità del dono, di ascendenza
grotowskiana: «Tout le théâtre, ce récit dune vie, est là pour que je me confie,
pour que je tire une vérité de moi […]. Quand je joue un personnage, je veux me
confier. […] La transe transforme le jeu joué en jeu-rituel dans lespace du
spectateur, et donc en offrande dun événement […] offrande de soi et de son
corps» (pp. 110-111). La conseguente denuncia della menzogna del
realismo (p. 112) parrebbe perfino ovvia. Tante sollecitazioni coinvolgono il
lettore in ulteriori passaggi tortuosi e
rischiosi. Mi soffermo appena su alcune nozioni, dalle quali dipende il senso generale
del discorso. Sono nuclei fra loro collegati nellelaborazione dellartista
ricercatore, nello scontro dellintransigenza dellasceta con limmaginazione
del sognatore. Utopia è la fonte
energetica che non sazia e spinge al superamento del limite. Poveri e fortunati
sono gli attori che il maestro sente dotati dun senso «aigu et radical de la
vérité du corps» (p. 80), compagni dun viaggio iniziatico che non può finire:
il paysage che lo attrae e lo ospita
devessere ogni volta negato e ricomposto. In tale vicenda alchimistica, il paysage
è «le contenu et la saisie […] le paysage est une forme incarnée […]
limagination sous forme corporelle» (pp. 83-85) dove il paradosso prevale: «Car
seule cette forme corporelle dune vision liée au corps-rêve est réelle» (p. 85).
Ciò che dura alla fine, è lapplicazione di un metodo la cui efficacia
per lautore è sanzionata dalla conquista duna fede. Ai testi sono premesse le
date di redazione, sicché risulti almeno un dato documentario per una realtà
così sfuggente ed effimera. Resta anche linsoddisfazione per non avere saputo
condividere appieno unesperienza ambiziosa nello scoprire il senso della vita
mediante lacquisizione duna totale virtù espressiva. La situazione è quella
dello spettatore figurata da questo creatore dubbioso e deciso: «Le spectateur
est-il en état daccueillir ce geste et de le comprendre entièrement? Est-ce quun acte de transgression, un
acte panpsychique (comme chez Teilhard de Chardin), peut se produire? Difficile
à dire, plutôt non. Mais la force
magique et la particularité de ce geste agissent, éveillent un moment inouï»
(p. 122). LIntroduzione di Georges Banu
(pp. 7-23) corregge per integrazione e approfondimento la visione proposta
nella menzionata motivazione di Wroclaw. La lunga Intervista con Piotr
Gruszczyński (pp. 25-42) è abbastanza
recente da riepilogare lattività dellartista. Fotografie dellautore al
lavoro, il suo monologo tratto da Spirala
e una Nota bio-bibliografica chiudono il libro.
di Gianni Poli
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