Legati alle celebrazioni del
terzo centenario della nascita di Gasparo
Gozzi, gli atti del (ritardatario) convegno rendono un tributo allanima
inquieta del letterato, traduttore, giornalista e politico veneziano. Giuseppe Gullino ripercorre alcuni punti salienti dellinfelice
esistenza di Gasparo: dalladolescenza nella villa di Visinale allincontro con
la prima moglie Luisa Bergalli; dallimpegno
politico a quello giornalistico; fino al volontario esilio da Venezia e al
tentativo di suicidio a Padova. Cesare De Michelis analizza lo sguardo disincantato del Novecento
sullultimo secolo della Serenissima, attraverso tre opere che hanno eletto i
Gozzi a emblematici protagonisti di quellepoca carica di contraddizioni: la
commedia in quattro atti Carlo Gozzi
(1903) di Renato Simoni, il romanzo
di Alfredo Panzini La sventurata Irminda! Libro per pochi e per
molti (1932) e La commediante
veneziana (1935) di Raffaele Calzini.
Cristina Cappelletti affronta la
polemica letteraria tra Pietro Chiari
e Gasparo e Carlo Gozzi. La studiosa
ripercorre la lunga serie di scritti tramite i quali si fronteggiano labate e lo
schieramento composto dai fratelli Gozzi e dallaccademia dei Granelleschi. In
particolare vengono messe sotto una lente le accuse di questi ultimi alla
poesia plagiaria e tediosa di Chiari che si moltiplicano dai primi anni
Cinquanta del secolo fino a dopo la partenza dello scrittore bresciano da
Venezia. Il più articolato saggio di Giandomenico Romanelli si sofferma sul
Gasparo Gozzi critico darte sulle pagine della «Gazzetta veneta» e dell«Osservatore».
Sfogliando le recensioni e i commenti del conte, lo studioso evidenzia i poli
del suo discorso estetico: la “grandezza” di Tiepoletto e la “grazia” di Pietro
Longhi. Di questultimo, in particolare, Gozzi individua e condivide lo
sguardo tagliente celato da un “disegno” dai tratti gentili e misurati (e si
pensi a Carlo Goldoni). Questa
«metaforizzazione pittorica» della vita (p. 44) è la traccia in cui si muove il
pensiero filosofico di Gasparo che si allinea non per caso a una «non meno
efficace, speculare e simmetrica metaforizzazione: quella teatrale» (p. 63). Piero del Negro indaga gli anni trascorsi dal conte Gozzi come
soprintendente alle stampe alle dipendenze dei Riformatori dello Studio di
Padova. In particolare si considera il suo contributo alla preparazione della
scrittura sulleducazione della «Veneta Gioventù» (1770-1771). Scrittura
condivisa con Giambattista Bilesimo
e Natale Dalle Laste e voluta in primis da Andrea Tron. Lipotesi di riforma concepita dai tre eruditi,
ridimensionata in fase di approvazione, prevedeva listituzione di un collegio
laico che avrebbe dovuto garantire leducazione e la corretta preparazione dei
giovani nobili veneti allUniversità: una pianificazione della didattica
collegiale e universitaria, ottenuta tramite la regolamentazione dellaccesso
allo Studio, lestensione del periodo accademico, lintroduzione di libri di
testo; una riformulazione del sistema dei finanziamenti in cui avrebbe dovuto avere un ruolo fondamentale
listituzione di una stamperia universitaria. Lo studioso propone una acuta individuazione
della parte avuta da Bilesimo, Dalle Laste e Gozzi nella preparazione del
testo, riconoscendo al conte grande lungimiranza nella concezione del collegio
statale. Istituzione peraltro mai realizzata dai Riformatori e che trovò un
parallelo alla fine degli anni Settanta nel Seminario vescovile patavino,
riscuotendo il successo internazionale che Gasparo aveva previsto. Manlio Pastore Stocchi porta allattenzione degli studiosi il poema
gozziano in quattro canti intitolato Del
vetro (1775): liberissima traduzione del latino De arte vitraria (1732) del gesuita francese Pierre Brumoy e punto darrivo del processo di riduzione a pura
letteratura del trattato tecnico sullArte
vetraria (1612) del fiorentino Antonio Neri. Nel suo saggio dedicato alla Famiglia Gozzi allopera, Anna Laura Bellina snocciola le imprese
letterarie dei fratelli Gozzi e di Luisa Bergalli per il teatro musicale, quasi
sempre, e a ragione, poco fortunate. In un magma di imprese tentate spesso
senza adeguata cognizione si distingue tuttavia ledizione dei libretti di Apostolo Zeno, curata da Gasparo e
pubblicata dalleditore Giambattista
Pasquali nel 1744. Gilberto
Pizzamiglio prende in esame i fortunati Sermoni
gozziani evidenziandone le intenzioni etiche, moralizzanti e di satira del
vizio. Comparsi dapprima nei diversi tomi delle Lettere diverse, raccolti in numero di dodici in un unico volume
nel 1763 e infine arricchiti sulle pagine dell«Osservatore» o su fogli a lungo
inediti, quei diciannove componimenti sono tra le opere migliori di Gozzi per
qualità dei versi e godibilità degli argomenti. Con la consueta lucidità e
acribia filologica Anna Scannapieco riconsidera
lesperienza dei coniugi Gozzi alla direzione del teatro SantAngelo nellanno
comico 1747-1748. Dopo aver confutato le diverse teorie contemporanee derivate
dalle parziali testimonianze di Carlo e di Francesco
Gozzi, figlio di Gasparo e Luisa, la studiosa dimostra in poche mosse come
i coniugi avessero contratto un impegno non tanto con i proprietari del teatro
per la sua gestione, quanto con una compagnia di comici, verosimilmente quella
di Onofrio Paganini. La formazione
si era installata al SantAngelo dopo un quinquennio verosimilmente fortunato
durante il quale il teatro aveva dimostrato di potersi proporre come terzo polo
veneziano del teatro di “prosa”, in concorrenza con il San Luca dei Vendramin e
il San Samuele dei Grimani. Javier Gutiérrez Carou propone in edizione critica ventiquattro
sonetti attribuiti allingegno di Angela
Tiepolo Gozzi, madre di Carlo e Gasparo, conservati manoscritti presso il
fondo Cicogna della biblioteca del museo Correr di Venezia. Caratterizzate
dallallegoria di sapore manicheo fondata sullopposizione buio/luce,
vizio/virtù, le poesie disegnano un ideale percorso delluomo dalla nascita
alla grazia divina. Ilaria Crotti
rivolge lo sguardo allepistolario dei fratelli Gozzi concentrandosi sulle lettere
con destinatari femminili: ne risulta un curioso profilo di Gasparo intento a
creare con sapiente teatralità unimmagine di sé sempre in primo piano, mentre
proclama le sue perenni sofferenze. Egli è attento a pennellare, sempre in toni
colloquiali, le tracce di esistenza che incontra nei suoi spostamenti, come in
una «messinscena teatrale» (p. 232). Più concreto il fratello Carlo, autore di
poche lettere destinate a Maria Fortuna
e Caterina Manzoni, dalle quali trapelano
senza filtri linsofferenza per la prima e la passione sentimentale per la
seconda. Nellelogio di Carlo Gozzi della celebre Difesa di Dante (1758), scritta dal fratello maggiore, Alessandro Cinquegrani legge in
filigrana la ricerca di un autorevole lasciapassare per il proprio lavoro di
scrittura fondato, come il poema dantesco, sullaffermazione di una moralità
che per converso si proclama assente nelle opere dei suoi avversari (Chiari,
Goldoni). In un doppio contributo Angela Fabris si misura con
lesperienza della «Gazzetta veneta». Nel primo la studiosa riflette
sulloperazione pubblicistica gozziana intrapresa Sotto il segno della finzione. Labilità del gazzettiere sta non
solo nellobiettivo dichiarato di allargare il bacino di lettori, ma nella
realizzazione di tale progetto tramite «diversi […] gradi di inclusione del
pubblico: da una generica menzione a un reticolo di quesiti retorici che lo
chiamano in causa, fino a una sua diretta integrazione nel foglio. In
questultimo caso, in particolare, si deve considerare il pubblico quale
costruzione fittizia della stessa istanza che – sotto forma di “gazzettiere” –
ha il compito di redigere il giornale» (pp. 261-262). Questo punto rivela la
disposizione letteraria di Gasparo impegnato nella creazione di veri e propri
personaggi teatrali, specchio di coloro a cui la «Gazzetta» si rivolge: «uomini di lettere e senza lettere, genti
occupate, genti oziose, capi e figliuoli di famiglia, vecchi, giovani, nobili,
plebei, maschi e femmine» (p. 260). Nel secondo articolo la studiosa
approfondisce con acume critico lo studio della «Gazzetta» come laboratorio di
Gasparo Gozzi. Qui si esprimono le sue idee e le sue preferenze, ma, in
unottica socialmente aperta e dichiaratamente inclusiva, si dà voce a tutte le
opinioni (sebbene quasi sempre artificiosamente costruite). Sulle ragioni che indussero
Gasparo a scrivere Il mondo morale (1760-1761)
e sui rapporti del libro con la realtà sociale veneziana si interroga Valeria Tavazzi. Lopera, considerata
minore, è un romanzo allegorico con dichiarati intenti educativi. Analizzando
il contesto culturale, la studiosa ipotizza che la scelta di Gozzi sia collegata
a quella riflessione, promossa anzitutto dallAccademia dei Granelleschi, che
propendeva per una letteratura allegorica, moralizzante e più facile da
comprendere per il pubblico contemporaneo. Chiude il volume un breve contributo
di Stefano Trovato dedicato ad
alcune carte ottocentesche del fondo Gozzi della Biblioteca Marciana. Arricchisce la pubblicazione un
cd-rom con la riproduzione integrale, in formato pdf “ricercabile”, della
«Gazzetta veneta» (1760-1762).
Lorenzo Galletti
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