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Bianco e nero, a. LXXVII, nn. 582-583, maggio-dicembre 2015
Rivista quadrimestrale del Centro Sperimentale di Cinematografia

A cura di Federica Villa

pp. 208, euro 42,50
ISSN 0394-008X

L’ultimo fascicolo della rivista «Bianco e nero» è un corposo doppio numero che mette a fuoco il genere e le forme dell’autobiografia. Nella premessa Federica Villa, la curatrice della consistente parte monografica, delinea il percorso teorico che fin dagli anni Settanta ha portato a riflettere sul «traboccante fenomeno della scrittura del sé» (p. 11) oltre il tradizionale ambito letterario, investendo il campo degli audiovisivi. La scrittura biografica diventa lo spazio di esercizio e il punto di partenza per diverse esperienze creative. Il panorama descritto è vasto e frammentato: si passa in rassegna il cinema, con il sottogenere del biopic, passando per le esperienze videoartistiche d’avanguardia e per i repertori fotografici d’autore, fino ad arrivare alle pratiche private degli home movies.

Sono quattro le sezioni che compongono questo numero, corrispondenti a quattro campi di ricerca diversi.

La prima presenta esempi dell’incontro tra il genere autobiografico e alcune esperienze cinematografiche e video-produttive. Il percorso artistico di Marco Bellocchio è al centro del saggio di Marina Pellanda, che si concentra sugli aspetti memoriali presenti nella filmografia del regista. Sulla stessa linea Laura Busetta analizza la scrittura soggettiva di Alina Marazzi, autrice di documentari incentrati sul riutilizzo di materiali d’archivio allo scopo di far dialogare le vicende personali con la storia collettiva. Luca Malavasi riflette invece sul rapporto tra performance, media e nuova tecnologia digitale, analizzando il caso dell’opera artistica di Cosimo Terlizzi. Glenda Franchin si confronta con due lavori molto lontani tra di loro per linguaggio e tecnica: Dieu sait quoi (1994) del regista Jean-Daniel Pollet e Atelier Cézanne (2013) del fotografo Joel Meyerowitz. L’obiettivo di Franchin è far emergere il rapporto tra lo spazio dell’intimità presente nel primo e la distanza con le cose nella serie fotografica del secondo. Il contributo di Claudia Barolo pone l’accento sulla produzione di Alain Cavalier dagli anni Novanta a oggi: «un cinema in prima persona che avvicina nei contenuti e nella forma il journal filmé, abbattendo i costi di produzione e aderendo a pieno alla novità introdotta dalla tecnologia digitale» (p. 77). Il saggio finale della prima sezione, firmato da Martina Panelli, pone il lavoro di Susan Stryker, studiosa e teorica nel campo dei gender studies e poi regista di documentari, al centro di una tendenza che vede nuova soggettività e tecnologia del montaggio inestricabilmente correlati. 

La seconda sezione propone una galleria di ritratti sulle forme dell’autobiografia assunte dalle pratiche artistiche contemporanee e dagli altri media. Deborah Toschi prende in esame i self-portraits biologici nell’arte contemporanea occidentale: rielaborazioni artistiche e soggettive di immagini utilizzate per scopi scientifici, come le radiografie o le risonanze magnetiche. Nell’articolo successivo Paola Valenti analizza l’opera dell’artista visivo e performer Cesare Viel, da sempre impegnato a “narrarsi” attraverso il racconto, attingendo alla letteratura degli autori amati, tra i quali Cesare Pavese, Dino Campana, Ingeborg Bachman e Virginia Woolf. Gli autoscatti di Francesca Woodman sono al centro del contributo di Beatrice Buzzi, che ne esalta «la rigorosa costruzione di messa in presenza e di messa in scena del corpo e del soggetto» (p. 103). Simona Pezzano accosta l’uso delle tecnologie leggere al desiderio di raccontarsi più intimamente, come ad esempio nell’utilizzo degli smartphones in alcuni film di Pippo Delbono. Marta Perrotta si concentra invece sulle forme di storytelling radiofonico, partendo dal programma Voi siete qui di Radio 24 condotto da Matteo Caccia, che rielabora le storie autobiografiche degli ascoltatori.

La terza sezione è dedicata allo spazio autobiografico aperto dalle nuove tecnologie. Le forme dell’autoetnografia e le pratiche di archivio sono al centro del saggio firmato da Alice Cati e Francesca Piredda sul tema dei migranti e del loro modo di raccontarsi, e di quello di Francesca Scotto Lavina sulle possibilità tecnologiche offerte dalla rete. Entrambi affrontano le nuove forme di conservazione memoriale attraverso l’analisi di documenti presenti in archivi multimediali e sul web. Il caso dell’immagine di Osama Bin Laden è al centro del saggio di Lorenzo Donghi. La parabola del fondatore di Al-Qaeda è rievocata attraverso le sue video-apparizioni, che contribuiscono a costruire l’immagine del terrorista nemico dell’Occidente, ma delineano anche una sorta di autoritratto del personaggio. La sezione si conclude con la riflessione di Andreina Campagna su come lo storytelling digitale abbia influenzato le forme del racconto autobiografico.

Infine la quarta sezione si occupa della scrittura autobiografica per la storia del cinema. Il fandom autobiografico è al centro del saggio di Federico Vitella che rievoca la passione per il cinema di una ragazza degli anni Cinquanta attraverso la ricerca d’archivio e la consultazione dei suoi diari. Alberto Pezzotta descrive il suo lavoro di traduttore per le autobiografie e i libri-intervista ad alcuni grandi uomini di cinema, come Nicholas Ray, William Friedkin, Alfred Hitchcock e Martin Scorsese. Gabriella Greison, autrice del libro sulla vita di Giancarlo Giannini, riporta la curiosa esperienza di raccontare in prima persona gli eventi di un personaggio dello spettacolo.  

Immancabili le rubriche anche in questo doppio numero. Cineteca nazionale dedica il proprio spazio a un autore marginale come Augusto Tretti, a firma di Domenico Monetti e Luca Pallanch. Come di consueto I mestieri del Csc propone un approfondimento su alcune personalità legate al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma: l’intervista a Francesco Frigeri introduce il lettore al lavoro dello scenografo; Stefano Bises descrive il suo ruolo di showrunner per Gomorra la serie (2014, in corso); Ivan Cotroneo e  Monica Rametta evocano aneddoti sul Centro sperimentale; Gino Ventriglia presenta lo strumento del pitch cinematografico. L’altra serialità conclude il volume con un pezzo di Dom Holdaway sul successo globale della serie TV britannica Black Mirror (2011, in corso).    



di Nicola Stefani


La copertina

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