Al centro di questo libro è il continuo e difficile negoziato che, sul finire del secolo XVIII, le compagnie teatrali operanti nellItalia settentrionale erano chiamate a tessere fra le richieste del pubblico, la volontà delle autorità costituite, le esigenze degli attori e limpegno politico degli scrittori drammaturghi. Si tratta di un lavoro che tocca questioni in parte inedite per la storia dello spettacolo, anche se è opportuno rammentare – tra gli altri – limportante contributo offerto dal volume di Paolo Bosisio, Tra ribellione e utopia. Lesperienza teatrale nellItalia delle repubbliche napoleoniche (1796-1805) (Roma, Bulzoni, 1990).Dellimpegno politico di quegli anni patirà anche la tradizione goldoniana, come appare evidente quando si critica una troupe che – impegnata nel repertorio dello scrittore veneziano – «ha lasciato poche o niuna prova del suo civismo» mentre il suo capocomico viene accusato, non di errori teatrali, ma di incuria politica: colpevole di essere «più impresario che repubblicano» (p. 87). Un peccato, questo, che il repertorio di Goldoni si vedrà addossato anche nei secoli seguenti e che, in seguito, causerà la reazione, in chiave militante, di quegli interpreti che vollero enfatizzare in maniera forzata il suo riformismo sociale. Pagine interessanti e utili (pp. 88-99) sono dedicate dallautrice alla nascita della Società del Teatro Patriottico e al repertorio da questa proposto: un teatro «ove si recitano le più belle produzioni teatrali repubblicane e istruttive, di cui gli attori sono tutti dilettanti» e il cui spettacolo desordio fu la tragedia Bruto I di Vittorio Alfieri (1797). Dopo un breve capitolo (pp. 100-118) che osserva lo spettacolo allinterno della dinamica relativa ai rapporti tra Chiesa e Repubblica, lautrice ci trasporta nelle strade illuminate «mediante lumi alle finestre, avvertendo non essere questo ad altro oggetto, che per dare un attestato di allegrezza allarrivo dellArmata Francese»: così recitava un avviso emanato dal Vicario di Provvigione e dal Consiglio dei Decurioni il 15 maggio 1796. Ecco allora apparire gli «alberi della libertà»: richiami alla fecondità del nuovo regime, sintesi dellunità popolare e allusione anche alla contiguità dei valori democratici e quelli evangelici; a questi fa riscontro la distruzione dei simboli dellantico regime. In alcune conclusioni lautrice sottolinea poi quanto questa esperienza spettacolare sia il frutto di una ibridazione delle novità festive introdotte dai francesi e dei rituali civici in gran parte risalenti ai cerimoniali festivi asburgici. Nonostante la diversa temperie politica, unanaloga contaminazione di tradizioni – ritengo di dover aggiungere – si produsse sotto il governo lorenese nella Toscana che era stata dei Medici. Ma questo sarebbe un più lungo ragionamento. Arricchisce questo lavoro un capitolo (In scena e tra le pagine. Le edizioni a stampa di testi teatrali, pp. 166-198) dedicato ad alcuni testi e autori del tempo. Laspirazione alla tragedia è naturalmente prevalente. In primo piano lopera di Francesco Salfi (La congiura pisoniana; Virginia bresciana, 1798) ma accanto a questa la commedia di anonimo Laristocratico convertito (di incerta datazione, fra il 1796 e il 1797), la traduzione italiana di una tragedia francese, Il Focione, ossia la scola de repubblicani di Joseph Villetard (stampata a Milano tra il 1796 e il 1797, poi tradotta in italiano da Gaetano Cioni): a questultima opera lautrice dedica alcune pagine di attenta analisi. In conclusione, un libro che apporta un contributo alla migliore conoscenza della drammaturgia francese “di esportazione”, destinata ad avere influenze significative nella storia teatrale italiana di primo Ottocento.
di Siro Ferrone
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