Se
nella storia del teatro italiano La
Merope (1713) di Scipione Maffei ha
segnato la tappa principale di un progetto volto alla restaurazione del genere
tragico, nel più ampio
contesto europeo tale tragedia ha avuto il merito di innescare un acceso
dibattito intellettuale sulle funzioni del teatro. Alla rilettura critica dellopera
è dedicato il volume curato da Enrico
Zucchi, che raccoglie i contributi del convegno organizzato nel 2013 in
occasione del terzo centenario della sua prima messa in scena. La
suddivisione della miscellanea in tre parti (gli antenati e i discendenti della Merope, lallestimento scenico e le
problematiche della forma tragica) riflette una pluralità di prospettive sulla poliedrica
figura del letterato, trattatista e storico veronese e sulla cultura teatrale
del Settecento, come sottolineato da Beatrice
Alfonzetti nella Premessa.
Nella
prima parte Elisabetta Selmi ripercorre
gli “antecedenti” della tragedia maffeiana
che tra Cinque e Seicento si sono misurati con il mito meropeo. Gian Paolo Marchi dedica il suo saggio
alle stagioni critiche della Merope ripercorrendo le opinioni di
Voltaire, Lessing, Alfieri, Pindemonte e Manzoni in merito alla
rappresentazione di affetti e passioni, cui Maffei riconduceva
lincontrastato successo della sua opera. Stefano
Verdino si interroga sulle ragioni della popolarità della tragedia in età
post-alfieriana. Esaminando i giudizi di Mme de Stael, Schlegel, Pellico,
Foscolo e altre figure di letterati e intellettuali, Verdino osserva come nella
polemica classico-romantica le Meropi di
Maffei e Alfieri siano convocate insieme non più per contrapporre la tradizione
italiana a quella francese bensì come esponenti della tragedia vecchia e nuova.
Nella
seconda parte Stefano Locatelli
analizza il Femia sentenziato di Pier
Jacopo Martello, satira in forma drammatica che consente di ricostruire le
fortune sceniche della Merope e insieme di riflettere sullatteggiamento di
Maffei verso i comici professionisti; un atteggiamento ambivalente, come emerge
dalla messa in scena torinese del 1723-1724, caratterizzato sia dalla rivalità
con i comici sia dalla consapevolezza che il successo della tragedia fosse
dovuto a una collaborazione paritaria tra drammaturgo e attori. Diversa è la
prospettiva su pratica scenica e cultura
attorica di Valentina Varano, che si concentra sullallestimento
della tragedia nel salotto romano della marchesa Margherita Boccapaduli (1782),
la cui recitazione aveva ispirato Alfieri nella sua Merope. La formazione attoriale e le tecniche rappresentative sono oggetto
del saggio di Piermario Vescovo dedicato
a Domenico Barone, commediografo alla corte napoletana di Carlo III di Borbone,
accostato alla figura di Maffei per la «comune appartenenza a un orizzonte
italiano ed europeo» (p. 131). Un apprezzamento particolare merita il
contributo di Paolo Scotton dedicato
al ruolo dello spettatore nella riflessione di Maffei e Lessing. Lo
studioso sottolinea
la centralità − nella prospettiva del veronese − del coinvolgimento emotivo del
pubblico e osserva
come lo scrittore tedesco, nelle pagine di analisi dellopera
maffeiana nella Hamburgische Dramaturgie,
si spinga
oltre. Lobiettivo
di Lessing è infatti quello di formare uno spettatore dotato di spirito critico, punto di partenza
per la formazione dellopinione pubblica.
Nella
terza e ultima parte Corrado Viola approfondisce le
Annotazioni alla Merope di
Girolamo Tartarotti, linedito trattato dellabate roveretano che mette in
relazione lopera maffeiana con il gusto barocco e con lapertura al
melodrammatico. Il contributo di Tobia
Zanon è incentrato sullanalisi dello stile della tragedia inteso come la somma
di lingua, metrica, retorica e sintassi. Zanon ipotizza che il debito stilistico
di Alfieri nei confronti del suo predecessore fosse maggiore di quanto lastigiano
fosse disposto ad ammettere. Infine Enrico Zucchi rivolge lattenzione
alla querelle tra Maffei e Domenico
Lazzarini, drammaturgo e autore delle Osservazioni
sopra la Merope (1743), sottolineando come al fondo della polemica tra i
due intellettuali ci fosse una diversa concezione della catarsi tragica.
di Tatiana Korneeva
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