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“Mai non mi diero i Dei senza un egual disastro una ventura”
La Merope di Scipione Maffei nel terzo centenario (1713-2013)
A cura di Enrico Zucchi

Milano: Mimesis, 2015, pp. 250, 20 euro
ISBN 978-88-5752-891-5

Se nella storia del teatro italiano La Merope (1713) di Scipione Maffei ha segnato la tappa principale di un progetto volto alla restaurazione del genere tragico, nel più ampio contesto europeo tale tragedia ha avuto il merito di innescare un acceso dibattito intellettuale sulle funzioni del teatro. Alla rilettura critica dell’opera è dedicato il volume curato da Enrico Zucchi, che raccoglie i contributi del convegno organizzato nel 2013 in occasione del terzo centenario della sua prima messa in scena.

La suddivisione della miscellanea in tre parti (gli antenati e i discendenti della Merope, l’allestimento scenico e le problematiche della forma tragica) riflette una pluralità di prospettive sulla poliedrica figura del letterato, trattatista e storico veronese e sulla cultura teatrale del Settecento, come sottolineato da Beatrice Alfonzetti nella Premessa

Nella prima parte Elisabetta Selmi ripercorre gli “antecedenti” della tragedia maffeiana che tra Cinque e Seicento si sono misurati con il mito meropeo. Gian Paolo Marchi dedica il suo saggio alle stagioni critiche della Merope ripercorrendo le opinioni di Voltaire, Lessing, Alfieri, Pindemonte e Manzoni in merito alla rappresentazione di affetti e passioni, cui Maffei riconduceva l’incontrastato successo della sua opera. Stefano Verdino si interroga sulle ragioni della popolarità della tragedia in età post-alfieriana. Esaminando i giudizi di Mme de Stael, Schlegel, Pellico, Foscolo e altre figure di letterati e intellettuali, Verdino osserva come nella polemica classico-romantica le Meropi di Maffei e Alfieri siano convocate insieme non più per contrapporre la tradizione italiana a quella francese bensì come esponenti della tragedia vecchia e nuova.

Nella seconda parte Stefano Locatelli analizza il Femia sentenziato di Pier Jacopo Martello, satira in forma drammatica che consente di ricostruire le fortune sceniche della Merope e insieme di riflettere sull’atteggiamento di Maffei verso i comici professionisti; un atteggiamento ambivalente, come emerge dalla messa in scena torinese del 1723-1724, caratterizzato sia dalla rivalità con i comici sia dalla consapevolezza che il successo della tragedia fosse dovuto a una collaborazione paritaria tra drammaturgo e attori. Diversa è la prospettiva su pratica scenica e cultura attorica di Valentina Varano, che si concentra sull’allestimento della tragedia nel salotto romano della marchesa Margherita Boccapaduli (1782), la cui recitazione aveva ispirato Alfieri nella sua Merope. La formazione attoriale e le tecniche rappresentative sono oggetto del saggio di Piermario Vescovo dedicato a Domenico Barone, commediografo alla corte napoletana di Carlo III di Borbone, accostato alla figura di Maffei per la «comune appartenenza a un orizzonte italiano ed europeo» (p. 131). Un apprezzamento particolare merita il contributo di Paolo Scotton dedicato al ruolo dello spettatore nella riflessione di Maffei e Lessing. Lo studioso sottolinea la centralità − nella prospettiva del veronese − del coinvolgimento emotivo del pubblico e osserva come lo scrittore tedesco, nelle pagine di analisi dell’opera maffeiana nella Hamburgische Dramaturgie, si spinga oltre. L’obiettivo di Lessing è infatti quello di formare uno spettatore dotato di spirito critico, punto di partenza per la formazione dell’opinione pubblica.

Nella terza e ultima parte Corrado Viola approfondisce le Annotazioni alla Merope di Girolamo Tartarotti, l’inedito trattato dell’abate roveretano che mette in relazione l’opera maffeiana con il gusto barocco e con l’apertura al melodrammatico. Il contributo di Tobia Zanon è incentrato sull’analisi dello stile della tragedia inteso come la somma di lingua, metrica, retorica e sintassi. Zanon ipotizza che il debito stilistico di Alfieri nei confronti del suo predecessore fosse maggiore di quanto l’astigiano fosse disposto ad ammettere. Infine Enrico Zucchi rivolge l’attenzione alla querelle tra Maffei e Domenico Lazzarini, drammaturgo e autore delle Osservazioni sopra la Merope (1743), sottolineando come al fondo della polemica tra i due intellettuali ci fosse una diversa concezione della catarsi tragica.


di Tatiana Korneeva


La copertina

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