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Simha Arom

Le ragioni della musica: scritture di musicologia africanista

A cura di Maurizio Agamennone e Serena Facci

Lucca, Lim, 2013, 237 pp.
ISBN 978-88-7096-753-1

Qualunque musica ha una sua razionalità interna, anche se le sue “ragioni” – ovvero i motivi per cui nasce e attraverso i quali si sviluppa – non appaiono immediatamente in superficie.

Questo volume, a cura di Maurizio Agamennone e Serena Facci, conduce il lettore attraverso la ricerca e la riflessione critica dello studioso franco-israeliano Sihma Arom. Dieci i saggi proposti, scritti tra il 1976 e il 2009, che mettono in risalto lo sviluppo delle sue indagini, le sue intuizioni metodologiche, le sue invenzioni tecnologiche e le interazioni dialogiche tra la musica e arti affini come la danza e il linguaggio tamburinato del continente africano presenti nella sua opera.

Annoverato tra i massimi etnomusicologi africanisti viventi, Arom si è occupato a lungo di pratiche musicali poco convenzionali, tra le quali la preghiera cantata di tradizione ebraica (con particolare interesse per la liturgia degli ebrei etiopici) e le espressioni vocali e strumentali di alcune regioni della Grecia (attualmente lo studioso si sta dedicando alle impetuose polifonie georgiane). Le sue ricerche sul campo (in Africa), nel corso di cinquant’anni d’indagine etnomusicologica, hanno rappresentato l’occasione per estendere la riflessione su questioni d’interesse generale in ambito musicologico.

I saggi, presentati nella loro successione cronologica, sono introdotti da una fitta e appassionata Conversazione con un Maestro, per la cui completa comprensione è necessaria almeno una conoscenza base della teoria musicale. Si tratta della trascrizione di un coinvolgente dialogo intercorso tra Arom e i due curatori del volume, entrambi docenti di etnomusicologia rispettivamente presso l’Università di Firenze e di Roma “Tor Vergata”. Nel corso di tale conversazione lo studioso descrive alcune delle sue principali esperienze di ricerca, a partire dal problema dell’organizzazione del tempo, della battuta – ovvero della possibilità di individuare dove quest’ultima sia effettivamente posizionata all’interno di un contesto musicale ben lontano dalle canoniche procedure occidentali –, essendo a suo avviso quanto mai raro riuscire a isolare in Africa espressioni musicali separate dalla danza, innalzando, per conseguenza, la battuta a regolatore chiave dell’intera performance, una sorta di passe-partout in grado di schiudere tutte le porte.

Quest’ultima questione è oggetto del primo saggio, L’uso del re-recording nello studio delle polifonie di tradizione orale, 1976. In esso Arom sperimenta e descrive l’utilizzo della registrazione in passaggi successivi per far sì che le singole parti possano essere ascoltate separatamente e in tal modo trascritte secondo una canonica notazione musicale, per giungere infine alla ricostruzione sintetica del brano.

La musica per complessi di trombe dei Banda-Linda: forma e struttura (1984) presenta l’analisi forse di maggior successo dello studioso. L’autore individua qui le modalità attraverso le quali si può arrivare alla progressiva individuazione delle diverse formule musicali elementari poste in essere nel corso della performance. Formule, queste ultime, che hanno fortemente influenzato la scrittura di Luciano Berio nella complessa stratificazione polifonica delle sue composizioni.

Un ulteriore avanzamento nella riflessione intorno alle musiche di matrice africana è costituito dal saggio Sistemi musicali nell’Africa subsahariana (1988), elaborato in uno scenario di ampio dibattito intorno alle finalità di ricerca in etnomusicologia e in generale nelle discipline etno-antropologiche.

Un sintetizzatore nella savana centroafricana. Un metodo di esplorazione interattiva delle scale musicali (1990) illustra una singolarissima invenzione che ha per oggetto gli xilofoni di diverse popolazioni e le polifonie vocali dei pigmei Aka. Arom e la sua équipe forzano una tastiera digitale fino a trasformarla in un prototipo di «xilofono africano para-digitale» invitando i musicisti locali a suonarlo secondo i propri modelli culturali e dando così il via a una sorta di «etnomusicologia sperimentale interattiva» (p. XI).

Su alcune impreviste parentele fra le polifonie medievali e africane (1993) racchiude l’esperienza di un fecondo dialogo tra musicologi ed etnomusicologi durante uno storico convegno di medievisti (Abbazia di Royaumont, Île de France, 1990), avente come tema, appunto, il confronto tra modelli di polifonia pigmea e polifonie europee medievali, accomunate, quest’ultime, dalla selezione e dalla sovrapposizione di cicli metro-ritmici di estensione diversa. Previa l’ovvia esclusione di qualsiasi filiazione diretta tra le due (improbabile sul piano storico-culturale), l’importanza di questa testimonianza consiste nell’aver contribuito a formare un ponte verso una “musicologia generale”.

Sono ancora i concetti tassonomici della musicologia generale l’oggetto del sesto contributo, La “sindrome”del pentatonismo africano. Qui lo studioso, partendo dalle articolazioni possibili nella scala pentatonica africana, riflette sulle diverse forme e sulle modalità di intelligenza umana.

In L’albero che nascondeva la foresta. Principi metrici e ritmici nell’Africa centrale (1999), Arom parte da una nuova esperienza sul campo, a vent’anni di distanza dalla sua prima indagine, conducendo una intensa riflessione intorno a un brano (eseguito da un singolo musicista) appartenente alla tradizione dei Pigmei Mbenzele. Tale brano conterrebbe, secondo lo studioso, tutti i principi metro-ritmici (anche i più complessi) che alimentano le musiche di gran parte dell’Africa subsahariana.

In Musica-Rituale-Caccia: un triangolo africano (2000) l’autore evidenzia la stretta contiguità tra molte espressioni cantate e strumentali di una popolazione e le molteplici attività produttive e simboliche che essa intrattiene (come nel caso della caccia, in cui la musica agisce da supporto psicologico e tramite fondamentale nel rapporto col divino).

Prolegomeni a una biomusicologia (2000), frutto del meeting internazionale su The Origins of Music tenutosi nel 1997 a Fiesole a cura dell’istituto per la Biomusicologia dell’Università svedese di Östersund, racchiude una breve analisi critica intorno al tema delle origini della musica e del confronto con le scienze biologiche e neuro-cognitive.

L’ultimo saggio proposto, Tra parole e musica: linguaggi tamburinati dell’Africa subsahariana (2009), segna un simbolico ritorno alle origini, descrivendo le relazioni che riproducono i toni linguistici nelle sequenze tamburinate, le diverse formule che veicolano i messaggi e i criteri di ricezione e decrittaggio con cui i messaggi giungono a destinazione.

A corollario del volume testimonianze sonore e visuali sono contenute nel Cd e nel Ddv allegati: preziosi supporti che aiutano a comprendere la materia trattata, nonché la passione insita nel lavoro dell’etnomusicologo.



di Layla Dari


La copertina

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