Prosegue e si conclude, col
secondo volume, la raccolta degli Scritti
di Tadeusz Kantor, annunciata
nellanno del centenario dalla nascita dellautore. Se il primo volume (v. drammaturgia.fupress.net)
era dedicato agli esordi e allo sviluppo della ricerca figurativa e teatrale
dellartista nato a Wielopole, ai momenti fondanti del suo lavoro creativo, Écrits (2) ne testimonia e documenta il
cammino originale, a partire proprio dallo spettacolo-cardine, Wielopole Wielopole (1980), seguito allaffermazione
internazionale della Classe morta
(1977). Cronologicamente, però, lautore riprende testi precedenti, capaci di
spiegare e consolidare scoperte ritenute basilari. «Dans le texte intitulé Le Lieu théâtral, il reprend ainsi des textes plus anciens et les
éclaire sous un jour nouveau en soulignant les réflexions qui inspiraient ses
créations successives» (p. 8).
Logicamente, Kantor procede dai
moventi e dagli esiti della Classe morta
per tornare a concetti fondamentali, quali il rapporto fra testo e
rappresentazione, e a comparare le conquiste recenti – riconosciute e acclamate
dalla critica – con le esigenze al limite che lo spingono ad allargare continuamente
lorizzonte della propria ricerca. Così
riconosce: «La Classe morte devient
sous nos yeux un spectacle-document» (p. 15). La sua scrittura usa un linguaggio
poetico e allusivo. In coincidenza con le rare occasioni storicamente
circostanziate, Kantor richiama con insistenza il 1944, data delluscita dalla
guerra e gli anni Sessanta, segnati da neo-avanguardie vivaci e velleitarie.
Contestualmente emerge il suo
metodo di lavoro, caratterizzato dal confronto con lopera ispiratrice e
dallapplicazione immediata del suo effetto al lavoro con gli attori nello
spazio scenico. Agli esordi, ad esempio, è sollecitato dai drammi di Ignacy S. Witkievicz, da cui parte per
sviluppare le sue «azioni» (cricotages
o emballages, tableaux o objets) in
autonomia e a contrasto con la drammaturgia testuale. La stesura della propria partition è posticipata rispetto allo spettacolo.
Il disagio causato dalla formalizzazione scritta del testo è confermato dalla
redazione rinviata del suo capolavoro, La
Classe morte, realizzata soltanto per unedizione francese nel 1983 (p. 15).
Quale frutto di tale procedimento compositivo, si offrono sequenze di Où sont les neiges dantan? e una partition più completa dellopera,
distribuita in tredici paragrafi (o «movimenti») dun soggetto abbozzato (pp.
23-33) che diventerà levento creato a Roma nel 1979. Similmente, il dossier dedicato
a Wielopole Wielopole costituisce il
materiale più cospicuo (pp. 63-135). Esso appare prima nei brevi titoli di
sequenze ripartite in Cinque Atti; poi in lunga e articolata sceneggiatura,
dettagliata in «azioni» e «intenzioni».
Lospitalità goduta da Kantor e
dal suo Cricot a Firenze (1979-1980)
si riflette particolarmente nel testo Essai
florentin. La poetica degli spettacoli saffida intanto alla ripresa di nuclei
tipici, nelle variazioni e varianti folte di ossimori, nel bisogno di esaltare
sensazioni e nozioni oppositive. Gli elementi creativi denunciano linsistenza
ossessiva su personaggi archetipici, mitizzati dalla memoria personale; tratti
dalla famiglia e dal gruppo sociale: Padre, Madre, Nonni, Zii, Prete, Soldato, appaiono
figure costitutive di un mondo perduto, inseguito nel capitolo Quand
le monde de lenfance resurgit. Di difficile fruizione per il pubblico dei suoi spettacoli, che ne
resta disorientato e affascinato, quelle presenze affiancate dallo stesso
autore, sorgono da una stilizzazione della materia memoriale del «poeta della
scena».
Nello sforzo di rendere presente
il passato, il creatore riporta al presente ciò che sembra (e nella storia è)
finito, «morto». La «ripetizione» del gesto dunque simpone, quasi leternità
andasse ripetuta, riattualizzata. Gli accostamenti di immagini e temi, attinti da
un al di là incongruo e onirico, risultano affini a certi soggetti surrealisti elaborati
da Antonin Artaud e Raymond Queneau. Pare attiva anche una
componente ideologica, oltre che formale, ripresa da un Witold Gombrowicz occulto. Lintellettuale di Wielopole condivide
polemicamente lantipatia per il nazionalismo artistico diffuso in Polonia con
lo scrittore di Maloszyce. Entrambi si compiacciono di recuperare valori dalle zone
più infime dellimmaginazione: Kantor li trova «entre la poubelle et lÉternité»
(pp. 176-177). In analogia alla proposta di Gombrowicz di glorificare l«immaturità» nei suoi protagonisti, è la
fragilità insuperabile, votata al nulla della morte, a nobilitarsi in Kantor.
Nellinsieme degli Scritti, Kantor non mira a risolvere
lenigma dellarte, come gli si presentava dallinizio e come gli si
prospettava nella vita assidua e faticosa: «Une trop grande explication de
lœuvre dart en diminue le secret, cest-à-dire la force daction», sostiene
per lo spettacolo su Wielopole (p. 150). Il libro neppure ambisce a teoria
sistematica e gli spunti più originali e interessanti – per lo storico e il
teatrante – forse sincontrano nelle pagine sintetiche di esperienze venate di
utopia.
Così, in Réflexions sur les chemins parcourus, una «storia» secolare del
Teatro è attraversata secondo una sensibilità lampeggiante, dove i movimenti e gli
stilemi di riferimento (poche, le citazioni dei maestri, passati o presenti),
come La Baraque de foire (di Blok, cara a Mejerchold) e il costruttivismo, portano alla problematica composta
da illusione e finzione (pp. 169-171). Limpegno appare nel sostituire in scena lillusione naturalista
tradizionale con un urto violento: «Après un certain temps, ce remplacement de
lIllusion par le choc brutal avec la
rugosité du matériau de la vie est devenu une demarche reconnue» (p. 190). Fenomeno
di cui consiglia poi di diffidare, per il rischio duna nuova perniciosa
convenzione.
La radicalità necessaria dellintervento è tuttavia ribadita: «Cest cette
opération mortellement risquée qui se sert de la distance, privée de toute
logique dans la vie, entre ces deux mondes. Cest cette opération qui est
lessence de laction théâtrale» (p. 217). Quanto alla concezione
dellattore, il regista lo connota quale «oggetto», essenziale nellambito di
un luogo creato fuori dal teatro. «Mais
cette réalité ne sexprimais plus par le LIEU qui dictait ses lois à tous les
éléments du théâtre. LOBJET est devenu ce médium.
Autonome, concentré sur lui-même. LOBJET DART. […] Je lai appelé BIO-OBJET» (p. 191).
Quale vera svolta primaria, lartista
rifiuta ledificio teatrale consacrato dalla storia, nella «contestation du
lieu artistique» applicata dagli anni Quaranta. Aspirando alla «réalité matérielle du lieu», invoca il passaggio da «lautre
monde au monde dici» (p. 187). Un superamento e uninvenzione (a
partire dagli happenings) del luogo
mitico e sostitutivo (chambre, classe décole, lit matriciel) capace di condensare un supplemento di realtà verace,
raccontare la «fable du lieu» (p. 187). Con una sorta di schizofrenia auto imposta
(per analizzarsi e giudicarsi?) persegue lo sdoppiamento di sé (p. 242) imponendosi
silenzioso in scena accanto ai suoi attori.
Spesso in forma di elenco o in
formule paradossali, si costruisce per lartista eretico (pp. 179-180) limpossibile sistema dei valori
alternativi alla rappresentazione. Le sue opposizioni insolubili sorgono tutte
sotto lincombere della morte, divenuta personaggio eminente e incarnata anche
dallautore. La rivolta radicale e simbolica allannientamento definitivo si
trova nella vitalità con cui Kantor risponde in successione con le prove nelle
forme rinnovate. La nozione di prova (répétition)
guida sempre lartista fino allallestimento di Aujourdhui cest mon anniversaire, durante le prove del quale
morirà. Nel libro, la sua partition
in sette atti, ne rende testamentario il tragico epilogo.
di Gianni Poli
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