Il settimo numero di «Cinergie» si apre
con un corposo speciale dedicato a Jaws –
Lo squalo (1975), cult-movie per
antonomasia, di cui si celebra in questi giorni il quarantenario. Nella sua
introduzione, Andrea Minuz ne
ripercorre la rocambolesca genesi, dal libro di Peter Benchley al film di Steven
Spielberg. In particolare, lattenzione viene posta da un lato
sullartigianalità degli effetti speciali (con conseguenti ricadute sulla
narrazione), dallaltro su come la pellicola abbia rappresentato un punto di
svolta per il cinema americano, imponendo un nuovo modello di business basato sul brand e segnando il passaggio dalla Nuova Hollywood ai blockbusters e agli hi-concept movies.
La sfida
interpretativa lanciata da questo speciale è quella di trovare il giusto
bilanciamento tra gli aspetti produttivi e realizzativi dellopera
spielberghiana. Significativo, in tal senso, il contributo di Warren Buckland, il quale sottolinea
come nel dibattito critico sul film laneddotica del making of abbia spesso soffocato qualsiasi riflessione di tipo
estetico. Segue una minuziosa analisi filologica di alcune scene-chiave, centrata
in larga misura sulluso delle rime visive e sul rapporto tra spazio e
personaggi.
Alla celebre partitura composta da John Williams è dedicato lintervento
del musicologo Emilio Audissino che di
recente ha dato alle stampe la prima monografia sul compositore statunitense (John Williamss film music, Madison,
University of Winsconsin Press, 2014). Lanalisi
della colonna sonora mette in valore loperazione di ri-attualizzazione del
cinema classico: riproponendo i modelli sinfonici della Vecchia Hollywood, Williams
è riuscito a ricreare, tramite una formidabile economia di mezzi, un segnale
musicale universale.
Di
taglio più culturalista sono gli interventi di Andreina Campagna e Frederick
Wasser. La prima, riprendendo il saggio The imagination of disaster di Susan Sontag, analizza il ruolo di Jaws nellimmaginario dei disaster movies. Secondo la studiosa, lo
squalo è un metaforico monito
che mette in dubbio le capacità di sopravvivenza delluomo e sottolinea la sua
dipendenza dalle protesi tecnologiche. Wasser, autore di un saggio intitolato Steven
Spielbergs America, nota invece come il fattore perturbante del film risieda
nellimpossibilità di dare un giudizio morale sui personaggi, e come, combinando
lHitchcock di Psycho (1960) con una forte attenzione al realismo del sovrannaturale,
Spielberg anticipi i gusti del pubblico americano.
La sezione Art and Media Files registra due focus di respiro internazionale. Il primo, a firma di Artsvi Bakhchinyan, mette sotto la lente di ingrandimento due film
sovietici armeni, Zaré di Hamo Beknazaryn (1926)
e Kurds-Yezids di Amasi Martirosyan
(1932), mostrandoci come, nonostante il forte sentimento anti-curdo presente in
area armena dai tempi del genocidio, lideale internazionalista dellUnione
Sovietica abbia dato di quel popolo unimmagine positiva. Lintervento di Kamila Kuc, Cinema Without Film, è invece uno sguardo dinsieme sulla storia del cinema di avanguardia
polacco degli anni 1916-1934. Evidenziando la frammentarietà delle fonti, e
affrontando questioni metodologiche imprescindibili, Kuc cerca di rivalutare
autori generalmente sottovalutati dalla storiografia internazionale come Feliks Kuczkowski, Jan Brzękowski, Henryk Berlewi
e i più noti Franciszka e Stefan
Themerson.
Nella sezione Caméra Stylo Anna Masecchia
propone una lettura a tutto tondo di Luci, Bom e le altre ragazze del
mucchio
di Pedro Almodόvar, sottolineando la componente sperimentale e la
disinvoltura creativa del regista spagnolo.
La
sezione Orienti e Occidenti, con un
articolo di Stefano Locati (Identità ai margini), analizza il cinema di Hong Kong tra post-colonialismo e
nazionalismo, prendendo le mosse da tre pellicole di recente produzione: Floating City di Yim Ho
(2012), Bends di Flora Lau
(2013) e The
Midnight After di Fruit
Chan (2014). Questi film, basati su una
poetica della marginalità, rappresentano per lo studioso i luoghi di negoziazione
di unidentità sociale eternamente precaria.
Nella sezione
Critica, Cinefilia e Film Studies prosegue la riflessione di Diego Cavallotti, iniziata nello scorso
numero della rivista, sul rapporto tra le pratiche del cinema privato e le
evoluzioni tecnologiche. Larticolo, Produzione discorsiva e tecnologia: note teorico-metodologiche per una
ricerca sulle riviste per videoamatori, parte da
alcune riflessioni di James Moran per poi interrogarsi
su quale configurazione epistemologica sia in grado
di definire la specificità mediale dellorizzonte
videoamatoriale.
Chiude
il numero il consueto spazio Recensioni
dedicato alle novità bibliografiche. Si segnalano, in particolare, due articoli
di Giacomo Di Foggia rispettivamente
sugli ultimi lavori di Francesco Casetti, The
Lumière Galaxy. Seven Key Words for the Cinema to Come (Columbia University
Press, New York 2015) e di Giovanni Fiorentino, Il flâneur e lo spettatore. La fotografia dallo stereoscopio allimmagine
digitale (Franco Angeli, Milano 2014).
Si registrano, infine, a conclusione del volume, i reports di due importanti festival
cinematografici: il New York Film Festival 2014, a firma di Angela Dalle Vacche, e il Torino Film
Festival 2014, di Lucia Tralli.