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Cinergie
Il cinema e le altre arti

A cura di Andrea Minuz

n. 7, marzo 2015, pp. 162
ISSN 2280-9481

Il settimo numero di «Cinergie» si apre con un corposo speciale dedicato a Jaws – Lo squalo (1975), cult-movie per antonomasia, di cui si celebra in questi giorni il quarantenario. Nella sua introduzione, Andrea Minuz ne ripercorre la rocambolesca genesi, dal libro di Peter Benchley al film di Steven Spielberg. In particolare, l’attenzione viene posta da un lato sull’artigianalità degli effetti speciali (con conseguenti ricadute sulla narrazione), dall’altro su come la pellicola abbia rappresentato un punto di svolta per il cinema americano, imponendo un nuovo modello di business basato sul brand e segnando il passaggio dalla Nuova Hollywood ai blockbusters e agli hi-concept movies.

La sfida interpretativa lanciata da questo speciale è quella di trovare il giusto bilanciamento tra gli aspetti produttivi e realizzativi dell’opera spielberghiana. Significativo, in tal senso, il contributo di Warren Buckland, il quale sottolinea come nel dibattito critico sul film l’aneddotica del making of abbia spesso soffocato qualsiasi riflessione di tipo estetico. Segue una minuziosa analisi filologica di alcune scene-chiave, centrata in larga misura sull’uso delle rime visive e sul rapporto tra spazio e personaggi.

Alla celebre partitura composta da John Williams è dedicato l’intervento del musicologo Emilio Audissino che di recente ha dato alle stampe la prima monografia sul compositore statunitense (John Williams’s film music, Madison, University of Winsconsin Press, 2014). L’analisi della colonna sonora mette in valore l’operazione di ri-attualizzazione del cinema classico: riproponendo i modelli sinfonici della Vecchia Hollywood, Williams è riuscito a ricreare, tramite una formidabile economia di mezzi, un segnale musicale universale.

Di taglio più culturalista sono gli interventi di Andreina Campagna e Frederick Wasser. La prima, riprendendo il saggio The imagination of disaster di Susan Sontag, analizza il ruolo di Jaws nell’immaginario dei disaster movies. Secondo la studiosa, lo squalo è un metaforico monito che mette in dubbio le capacità di sopravvivenza dell’uomo e sottolinea la sua dipendenza dalle protesi tecnologiche. Wasser, autore di un saggio intitolato Steven Spielberg’s America, nota invece come il fattore perturbante del film risieda nell’impossibilità di dare un giudizio morale sui personaggi, e come, combinando l’Hitchcock di Psycho (1960) con una forte attenzione al realismo del sovrannaturale, Spielberg anticipi i gusti del pubblico americano.

La sezione Art and Media Files registra due focus di respiro internazionale. Il primo, a firma di Artsvi Bakhchinyan, mette sotto la lente di ingrandimento due film sovietici armeni, Zaré di Hamo Beknazaryn (1926) e Kurds-Yezids di Amasi Martirosyan (1932), mostrandoci come, nonostante il forte sentimento anti-curdo presente in area armena dai tempi del genocidio, l’ideale internazionalista dell’Unione Sovietica abbia dato di quel popolo un’immagine positiva. L’intervento di Kamila Kuc, Cinema Without Film, è invece uno sguardo d’insieme sulla storia del cinema di avanguardia polacco degli anni 1916-1934. Evidenziando la frammentarietà delle fonti, e affrontando questioni metodologiche imprescindibili, Kuc cerca di rivalutare autori generalmente sottovalutati dalla storiografia internazionale come Feliks Kuczkowski, Jan Brzękowski, Henryk Berlewi e i più noti Franciszka e Stefan Themerson.

Nella sezione Caméra Stylo Anna Masecchia propone una lettura a tutto tondo di Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio di Pedro Almodόvar, sottolineando la componente sperimentale e la disinvoltura creativa del regista spagnolo.

La sezione Orienti e Occidenti, con un articolo di Stefano Locati (Identità ai margini), analizza il cinema di Hong Kong tra post-colonialismo e nazionalismo, prendendo le mosse da tre pellicole di recente produzione: Floating City di Yim Ho (2012), Bends di Flora Lau (2013) e The Midnight After di Fruit Chan (2014). Questi film, basati su una poetica della marginalità, rappresentano per lo studioso i luoghi di negoziazione di un’identità sociale eternamente precaria.

Nella sezione Critica, Cinefilia e Film Studies prosegue la riflessione di Diego Cavallotti, iniziata nello scorso numero della rivista, sul rapporto tra le pratiche del cinema privato e le evoluzioni tecnologiche. L’articolo, Produzione discorsiva e tecnologia: note teorico-metodologiche per una ricerca sulle riviste per videoamatori, parte da alcune riflessioni di James Moran per poi interrogarsi su quale configurazione epistemologica sia in grado di definire la specificità mediale dell’orizzonte videoamatoriale.

Chiude il numero il consueto spazio Recensioni dedicato alle novità bibliografiche. Si segnalano, in particolare, due articoli di Giacomo Di Foggia rispettivamente sugli ultimi lavori di Francesco Casetti, The Lumière Galaxy. Seven Key Words for the Cinema to Come (Columbia University Press, New York 2015) e di Giovanni Fiorentino, Il flâneur e lo spettatore. La fotografia dallo stereoscopio all’immagine digitale (Franco Angeli, Milano 2014).

Si registrano, infine, a conclusione del volume, i reports di due importanti festival cinematografici: il New York Film Festival 2014, a firma di Angela Dalle Vacche, e il Torino Film Festival 2014, di Lucia Tralli.


di Raffaele Pavoni


La copertina

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