Ventitré anni sono trascorsi dalledizione statunitense dellOpera in Seventeenth-Century Venice: The Creation of a Genre di Ellen Rosand, monografia destinata a occupare, fin dal suo apparire, un posto privilegiato sugli scaffali della letteratura musicale di ogni tempo. Un “classico” che torna finalmente alle stampe in rinnovata veste, per le Edizioni di Storia e Letteratura, tradotto in lingua italiana da tre specialisti: Nicola Michelassi, Pietro Moretti e Giada Viviani. Unoperazione meritoria, che consente finalmente di apprezzare in italiano lintatta freschezza di questo lavoro.
Svariati gli elementi di forza del ponderoso volume, a partire dallo sguardo multilineare adottato da Rosand nellindagare il complesso fenomeno dellopera in musica nel suo primo secolo di vita. Nella disamina critica della studiosa americana il punto di vista letterario ha sì una preminenza strategica: e lo dimostrano i molti libretti dopera accuratamente descritti e citati come costanti grimaldelli argomentativi. Però lattenzione per la librettistica si coniuga con una dedizione paritetica alle altre componenti dello spettacolo operistico, in primis quella musicale. Valgano per tutte le duecento e più pagine in appendice che riproducono novantuno brani esemplificativi desunti dalle partiture originali, a corredo integrativo dei puntuali riferimenti musicali nel testo.
Non solo. Anche i cantanti ottengono nella trattazione il loro meritato spazio: un intero capitolo (lottavo) è dedicato ai più canori cigni e alle suavissime sirene – le star delle platee – senza cui non potrebbe darsi spettacolo (ledizione statunitense del volume di Rosand uscì un anno prima di Singers of Italian Opera: the History of a Profession di John Rosselli, monografia che ha riabilitato definitivamente la figura del cantante come protagonista dellopera in musica). Così anche il pubblico dellopera è tenuto nel giusto conto (il sesto capitolo è intitolato alla nausea di chi ascolta): quel “terzo vettore” che, nel teatro musicale pubblico inaugurato nel 1637 con lapertura del san Cassiano, costituisce il fine ultimo della fabbricazione dello spettacolo destinato a spettatori paganti.
Nella sua erudita ed equilibrata indagine del fenomeno del mercato operistico e del sistema produttivo lagunare che ne è la base, circolano – è evidente – limprescindibile lezione di Ludovico Zorzi, insieme ai fondamentali studi, tra gli altri, di Nicola Mangini, Giovanni Morelli e Lorenzo Bianconi. Giustamente Rosand parla, per la «produzione operistica veneziana fino al XVIII secolo», di «organizzazione tripartita e cooperativa», individuando «tre agenti responsabili delloperazione: i proprietari del teatro, gli impresari e gli artisti» (p. 80). Quindi la studiosa ripercorre le principali tappe dellimpresariato teatrale a Venezia dalla menzionata apertura del san Cassiano fino al biennio 1677-1678, segnato dallinaugurazione del santAngelo e del san Giovanni Grisostomo, allorché ebbe inizio un «nuovo capitolo della storia dellopera» (p. XV). In questo arco cronologico spiccano da un lato quella straordinaria impresa che fu il teatro Novissimo (capitoli terzo e quarto), episodio a sé stante nella storia delle sale dopera commerciali della Serenissima, la cui ricostruzione è indebitata con un esemplare studio di Bianconi e Thomas Walker (Dalla “Finta pazza” alla “Veremonda”. Storie di Febiarmonici, in «Rivista Italiana di Musicologia», 10, 1975, pp. 379-454); dallaltro, liniziativa impresariale di Giovanni e Marco Faustini (capitolo sesto), tracciata sulla scorta dei documenti raccolti da Remo Giazotto ormai quasi mezzo secolo fa (nella Guerra dei palchi - prima serie, in «Nuova Rivista Musicale Italiana», 1, 1967, 2, pp. 245-286).
I risultati raggiunti sono ancora oggi notevoli, benché in parte superati – fatalmente – dalla fioritura degli studi successivi, compresi quelli della stessa Rosand (si pensi alla curatela delledizione critica delle opere di Francesco Cavalli, avviata nel 2012 per leditore tedesco Bärenreiter, o alla promozione di un convegno internazionale di studi sullo stesso compositore cremasco, i cui atti sono usciti per Ashgate nel 2013). Del resto, integrare il volume con le scoperte e le reinterpretazioni intercorse fino ai giorni nostri sarebbe equivalso a «riscrivere completamente il libro», come la stessa studiosa precisa nella Premessa all'edizione italiana (p. XI). Nondimeno, è apprezzabile lo sforzo a cura di Nicola Usula di aggiornare la nuova bibliografia con i titoli bibliografici più rilevanti comparsi dopo il 1991, opportunamente contrassegnati da asterisco. Anche se laggiornamento non sempre soddisfa lo specialista. Da segnalare, infine, il cogente ed essenziale apparato iconografico calato nel volume (ventotto illustrazioni), compresa la riproduzione di scenari, scenografie e altro materiale documentario.
di Gianluca Stefani
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