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Claudio Meldolesi

Pensare l'attore

A cura di Laura Mariani, Mirella Schino, Ferdinando Taviani


ISBN 978-88-7870-833-4

  

Pensare l’attore è, parafrasando il Taviani dell’introduzione, un gesto di riguardo nei confronti degli studi di settore. Non si tratta di una novità: i saggi che compongono questo testo sono stati già tutti pubblicati e sono certamente capitati più e più volte solto gli occhi degli addetti  ai lavori, degli studenti e degli artisti. Non è una novità, si diceva, ma nel senso più comune di ciò che non è inedito; è invece un libro nuovo nell’assetto vitale attraverso cui questi pezzi d’arte sono stati accostati dando loro la possibilità di tornare a comunicare, nell’incontro, un senso nuovo.

Che il titolo possa trarci in inganno è cosa abituale nelle produzioni d’arte di Claudio Meldolesi; ‘pensare è sinonimo – qui – di rovesciare’, rovesciare il teatro, rovesciare l’attore, rivoltandolo come si fa con un calzino, geograficamente e temporalmente, ma con la dolcezza delle mani di una mamma. Rivoltare il calzino perché l’acqua limpida di un pensiero rispettoso gli possa ridare lindore e profumo. Allora non tanto, o non solo, di attori si parla in questo libro ma prevalentemente di approccio metodologico alla storia ‘particolare’ che è quella che interessa l’arte della recitazione, la ricognizione storiografica sull’attore e la proposta di una valutazione critica aggiornata alla pluridisciplinarità di un  metodo scientifico che si adatti al proprio oggetto di studio: il teatro.
Parlare di Meldolesi al passato, o di questo libro come di una commemorazione postuma sarebbe cosa alquanto ingiusta laddove si è in presenza di un ‘pensiero’ che fermenta nella mente di chi legge con curiosità questi saggi. A colpire sono gli spunti di riflessione che certe idee abbozzate o certi veloci commenti offrono allo studioso di oggi. ‘Invenzioni sprecate’ chiama Meldolesi certe esperienze artistiche di rilievo ma sottovalutate per mancata perseveranza, per ottusità o per colpa di cecità sociale. Questo libro è un invito a non sprecare ma a sfruttare le linee accennate, le vie aperte, brutalmente, opportunisticamente.

 

I primi tre saggi che compongono il volume si fanno premessa di Una storia di tre secoli e più e costituiscono lo zoccolo antico di questa ricognizione critica sui teatri e i suoi attori, con un’attenzione maggiore rivolta alla sfera italo-francese. In Il teatro dell’arte di piacere. Esperienze italiane nel Settecento francese, La rivoluzione degli artisti e il terzo «Théâtre Italien», La microsocietà degli attori. Una storia di tre secoli e più, l’invito è quello di sottoporre i dati d’archivio (e oggi ne abbiamo certamente di più), le informazioni storiche e gli studi preesistenti al vaglio critico di uno sguardo di lunga durata che attraverso una metodologia sociale analizzi il fenomeno delle vicende dei comici italiani in Francia individuando i nodi da sciogliere relativi al ‘mistero’ che quel tempo ancora nasconde. Dunque la smania italiana di piacere la si ritrova inserita nella prospettiva di un’economia in perenne instabilità, il trasformismo politico di età rivoluzionaria avvalora la tesi di una “realtà contemporaneamente teatral-sociale e social-teatrale” in quanto esperita da ‘uomini simili agli uomini’, ma dotati, al contrario degli ‘uomini comuni’, del potere di dominare le emozioni. Strumenti d’uso consigliati in partenza, invenzioni da non sprecare, sono allora: biografie degli attori, studio del repertorio, studio della struttura economica di base.


Ancora dentro il solco dei ‘tre secoli’ ci troviamo con il quinto e il sesto saggio: Alla ricerca del Grande attore: Shakespeare e il valore di scambio; Modena rivisto, tuttavia è intercorsa tra i due tempi di questa prima parte una riflessione sullo stato dei lavori, una ricognizione sulla figura dell’attore negli studi: L’attore, le sue fonti e i suoi orizzonti, che introduce la figura di attori non nuovi ma ‘rivisti’ da un punto di vista rinnovato e quadruplo. Non può scaturire una corretta riflessione sull’attore professionista di tutti i tempi, ci dice l’autore, se l’osservatore del fenomeno porta una benda pregiudiziale su un occhio.

 

Individuati quattro livelli nella cassetta degli attrezzi dello studioso avveduto – Il livello delle immagini esterne, il livello delle immagini intime, il livello delle tecniche, il livello contestuale – Meldolesi ha osservato che la storiografia tradizionale ha tenuto conto solo del livello delle immagini esterne e di quello della tecnica, tralasciano gli altri e fornendo così un quadro distorto, o almeno mutilo, dei fatti.

 

Ecco dunque presentarci la fortuna scespiriana attraverso gli attori del Settecento e dell’Ottocento e poi Gustavo Modena arricchiti dalla chiarezza delle immagini intime (autoimmagine dell’attore, aneddoto, biografia) e dal dato contestuale (termometro culturale e situazione socio-politica); denominatore comune per i due saggi di cui sopra è l’etichetta “il Grande attore rivisto”. Le invenzioni – di metodo – da non sprecare, sono ancora le stesse e si affinano negli esempi di cui i saggi sono ricchi.

 

La lunga durata dei tre secoli attraverso cui leggere l’evoluzione della microsocietà dell’attore si chiude, senza chiudersi, con il capitalismo teatrale; quando il mestiere si fa seriale e ripetitivo, quando soggiace a leggi non più sue, la microsocietà apparentemente scompare e va rintracciata in tutte quelle forme pervase di artigianalità, sia essa marcatamente tradizionale che tecnologica. Il libro si chiude dunque con due tempi e un intermezzo: L’indipendenza prima di tutto. Il caso di Totò; Per una storia del teatro nel romanzo in Europa. Gli apici del «Pasticciaccio» e del «Castello»; Gesti parole e cose dialettali. Su Eduardo, Cecchi e il teatro della differenza. Il primo tempo dedicato a Totò, l’intermezzo che insegue il teatro dentro il romanzo, un secondo tempo incentrato su una dinamica di passaggio di tecniche e sapere scenico tra Eduardo De Filippo e Carlo Cecchi.

 

Il filo conduttore è la “differenza”, come indipendenza, come scrittura, come sopravvivenza di una modalità personale di resistenza teatrale dell’attore artista nel Novecento. Questo filo ritesse la trama di un Totò vecchio e cieco che desidera produrre un film muto con l’oralità dialettale cupa/vivace dell’Italia pre e dopo guerra nella lingua di De Filippo. Uno sguardo sul presente, quello di Meldolesi, eclettico ma sempre attento e umile, disposto nella maturità, come nella formazione, a cambiare idea, rivedere, mettere in discussione: “Personalmente, devo ringraziare Carlo Cecchi per avermi spinto a ricercare Eduardo oltre l’eduardismo”: è questo atteggiamento che informa il testo, il dialogo costante tra la scena e la cattedra, tra l’attore e lo studioso.

 

 

di Chiara Schepis


La copertina

cast indice del volume


 


 




 
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