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Veronica Pravadelli

Le donne del cinema. Dive, registe, spettatrici


Editori Laterza, Bari-Roma, 2014, 211 pp., 22,00 euro
ISBN 978-88-581-1109-3

 

Quali sono i luoghi, le posizioni che il soggetto femminile può occupare in relazione al cinema? Da questa domanda parte il ricchissimo lavoro di ricerca che Veronica Pravadelli ha condotto intorno al rapporto tra cinema e questione femminile, che ha dato come frutto il prezioso volume Le donne del cinema. Dive, registe, spettatrici, una panoramica esauriente, un'indagine molto dettagliata che fotografa il rapporto delle donne con il cinema, dalle origini ai giorni nostri.  Il volume è frutto del lungo e proficuo lavoro dell'autrice sul cinema delle donne e di una fitta rete di scambi tra studiose e progetti in progress, come il progetto sul women's cinema contemporaneo, di cui Pravadelli ci regala i primi esiti nel capitolo dedicato alle registe.

 

Tutto il libro ruota intorno alla forte impronta di genere che le donne hanno dato al cinema, ancor prima che si potesse parlare di femminismo. Pensiamo al fatto che sin dalle origini della settima arte le donne, nelle vesti di registe e sceneggiatrici, hanno rappresentato l'universo femminile in maniera nettamente differente rispetto alla società del loro tempo. Un esempio per tutte è Alice Guy, pioniera del cinema, che dal 1896 al 1920 dirige, nonché sceneggia e produce, circa mille film e che, probabilmente, ha girato il primo film a soggetto della Storia, La fée aux choux, La fata dei cavoli, una commedia di una sola inquadratura dove una fata, al centro di un campo di cavoli, “coglie” i bambini maturi. Oltre ad essere progenitore dei film di finzione, La fée aux choux è importante per la tematica femminile che si fonde con la commedia, la forma che Guy predilige per mettere in scena le dinamiche di gender, gli equilibri di potere che governano il rapporto uomo-donna. Molte delle sue commedie sono incentrate sulla questione della parità dei sessi, se non addirittura sul ribaltamento dei ruoli, come Les Résultats du féminisme (1906), ambientato in un ipotetico futuro in cui gli uomini fanno le faccende di casa, mentre le donne vanno a lavorare, al bar a bere e a corteggiare; infine però i ruoli tradizionali vengono nudamente ristabiliti. Apparentemente reazionario, mettendo in scena un mondo capovolto, il film mostra e dunque in una certa misura pare auspicare ad una vera e propria rivolta femminile. Alice Guy è la prima di una schiera di donne che ha occupato le scene del Cinema e lo ha animato secondo un punto di vista prettamente femminile. Una schiera non certo folta, almeno non nel campo della regia, come giustamente sottolinea Pravadelli, spiegando come le donne abbiano trovato posto, con una certa facilità, solo quando i modi di produzione hanno richiesto capitali ridotti, e quindi nei primi anni del cinema, quando ancora vigeva un sistema di produzione artigianale, o nel periodo delle avanguardie o ancora nel cinema  femminista e documentaristico. Le donne sono potute stare dietro la macchina da presa quando al centro era posto il prodotto e non l'apparato di produzione. Infatti, dopo la Golden Age del cinema muto, dobbiamo aspettare le nouvelles vagues, e quindi il cinema d'autore, per assistere al ritorno delle donne nel cinema di narrazione, e certamente in maniera più significativa in Europa, mentre in America dobbiamo aspettare gli anni '80 e '90 per assistere alla nascita di una nuova forma di women's cinema,  più noto come cinema indipendente che ha avuto una forza propulsiva a partire dal Sundance Film Festival di Robert Redford, per poi diffondersi un po' ovunque.

 

Il cinema indie fonda il suo statuto principale proprio sulla questione di genere, sul racconto della soggettività femminile, dell'identità razziale o della preferenza sessuale. Oggi, ci spiega Pravadelli, ed è certamente uno dei motivi che rende questo libro necessario a chi voglia indagare le nuove frontiere del cinema di genere, possiamo parlare di World cinema, di quella mappa geografica virtuale disegnata dalle donne del cinema contemporaneo, che finalmente include quelle che sino a non molto tempo fa erano considerate le periferie del Mondo, come l'Africa e il Medio Oriente. Un concetto democratico e inclusivo, che permette di far circolare e mettere in rete movimenti e nuove ondate di film che raccontano storie femminili personali connesse a problematiche politiche e culturali, storie di amicizie che spesso sottolineano le differenze tra le donne, come Le chant des mariées (2008) della francotunisina Karin Albou e Caramel (2007) della regista libanese Nadine Labaki.

 

Le spettatrici nella sala buia, le dive davanti alla macchina da presa e le registe rivoluzionano i modi di rappresentazione e le aspettative di fruizione. Ciò che emerge dalla lettura dell'intenso lavoro di Veronica Pravadelli, e che la rende imperdibile, è il loro ruolo di soggetto attivo. Oltre alla questione di genere, l'altro concetto chiave che accomuna le tre figure che l'autrice analizza con dovizia di particolari, è il concetto di modernità, quella modernità che sin dalla fine dell'Ottocento, con la grande rivoluzione sociale, economica e culturale, ha decretato il profondo cambiamento  della condizione delle donne nella società. Lavori e spazi urbani si aprono alle donne, che guadagnano autonomia economica ma soprattutto autonomia esistenziale e sessuale. Questa nuova donna, la donna moderna dei primi del Novecento, così come la donna moderna delle epoche successive che si riflettono nei vari movimenti di avanguardia e nelle nuove ondate, definisce il nuovo immaginario sul femminile. La figura che fa da ponte tra i desideri delle spettatrici e le esigenze narrative delle registe è l'attrice, la diva, che nel corso dell'evoluzione cinematografica si è evoluta essa stessa, intercettando e interpretando stili di vita e tipi sociali, rispondendo a desideri e aspirazioni, dettando mode e tendenze. Pravadelli ci accompagna in viaggio attraverso la Storia del cinema illustrandoci le eroine irraggiungibili e allo stesso tempo così vicine, che hanno popolato gli schermi di tutto il mondo. Da Clara Bow, la New woman degli anni '20, che ha interpretato lo stile moderno del suo tempo fatto di indipendenza economica ma anche di un nuovo modo di relazionarsi al tempo libero, al lavoro e al sesso. Una working girl di estrazione popolare che ambisce al riscatto sociale tramite il lavoro. Capelli a caschetto e  gonne più corte, non disdegna l'alcool, le piace divertirsi e ha una sessualità molto libera. Un concentrato di dolcezza e ribellione, innocenza e sensualità, gioventù e mondanità, con tratti tipicamente maschili ma senza perdere femminilità. Veronica Pravadelli definisce invece la diva delle nuove ondate come una «New new woman», una figura femminile moderna che si confronta con le nuove forme di autonomia conquistate dalle donne della società di massa, in apparenza oggetti sessuali ma in realtà soggetti di trasgressione. Come non parlare allora di Brigitte Bardot, simbolo della gioventù ribelle degli anni '50 ed espressione di una sessualità libera. BB evolve l'immagine della diva classica diventando, suo malgrado, non solo diva cinematografica ma icona della moda e celebrità pubblica, un modello di culto della cultura popolare, in opposizione con l'immagine della donna borghese proposta dalla moda e dal cinema del tempo. Non è un segreto che i giornalisti, durante le presentazioni dei suoi film, concentrassero la loro attenzione più sui suoi abiti e acconciature, che non sulle sue doti interpretative. Tornando in America e andando ancora avanti nel tempo, Pravadelli ci fa incontrare una figura emblematica nello scenario del divismo mondiale, Jane Fonda, un'attrice che interpreta appieno la modernità del suo tempo e coniuga l'aspetto della sessualità con l'attivismo e radicalismo politico. Fonda si esprime pubblicamente, come nessuna prima aveva fatto, riguardo la sfera politica e sociale, manifestando contro la guerra in Vietnam e il nucleare, abbracciando il femminismo e diventandone il simbolo per due generazioni. Di fatto apre la strada ad un nuovo concetto di diva, la celebrity, una mutazione profonda che implica il fatto che l'attrice provochi fascinazione pubblica più per l'aspetto privato della sua vita, che non per i ruoli e i film che interpreta. E parlando di celebrity culture Pravadelli non  può non accennare ad Angelina Jolie, un modello di diva per ora del tutto inimitabile, famosa certamente più per il suo impegno umanitario e il suo rapporto d'amore con l'attore Brad Pitt, che per ragioni cinematografiche. Pochi sono i titoli, infatti, per cui ricordarla, in cui interpreta personaggi molto diversi tra loro e caratterizzati soprattutto dalla forza fisica o da una psicologia disturbata, come la poliziotta di The Bone Collector, e la sociopatica internata in un ospedale psichiatrico, per cui vinse l'Oscar, in Girls Interrupted, (entrambi del 1999), nonché l'eroina tutta muscoli della saga di Lara Croft. La vita privata dell'attrice, la sua storia d'amore con Brad Pitt e la costruzione di una grande famiglia multietnica hanno infatti sempre prevalso rispetto alla carriera cinematografica, destando un interesse morboso da parte dei media, sino a coniare il termine Brangelina, dalla fusione dei nomi dei due attori, ma non sono certo serviti a farle ottenere ruoli che rispondessero alla sua figura di madre, se pensiamo che l'unico ruolo in cui Jolie interpreta una madre, appunto, è nel film Changeling di C. Eastwood (2008).

 

Donne registe e donne attrici che, dal cinema muto sino al World Cinema, hanno scritto e interpretato  stili di vita, sogni e valori, storie al femminile, drammi sociali che enfatizzano la differenza sessuale e il cambiamento dei ruoli maschili e femminili, come la prostituzione, la gravidanza, l'aborto, la preferenza sessuale. Esse hanno dato e danno alle spettatrici la possibilità di guardare dal di fuori il proprio mondo, rendendole soggetto attivo di sguardo, come bene dice Pravadelli, non oggetto passivo delle strategie di identificazione. La visione di un film si trasforma così in un'esperienza intellettuale, ma anche, con il cinema contemporaneo, e con le nuove possibilità di visione oltre alla sala buia, in un'esperienza che si può definire affettiva, poiché il film stabilisce anche una prossimità, una vicinanza tra i soggetti. Certo Pravadelli, con questo suo importante e appassionante, che va a colmare la sete di sapere intorno al cinema delle donne, stabilisce una prossimità molto stretta tra le lettrici e i lettori e i mille volti femminili che lo popolano.

 

 

di Emma Gobbato


La copertina

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