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Alessandro Fersen

Critica del teatro puro

A cura di Clemente Tafuri e David Beronio

AkropolisLibri- Le Mani, Genova, 2013, euro 18

Critica del teatro puro, iniziata alla metà degli anni Settanta e portata a termine vent’anni dopo, è forse l’opera più ambiziosa del regista e drammaturgo Alessandro Fersen (1911-2001). Di famiglia ebreo-polacca, si stabilisce dapprima a Genova dove si laurea in filosofia con una tesi dal titolo L'Universo come giuoco; a seguito delle leggi razziali si trasferisce poi a Parigi ed in Svizzera. Con lo scenografo Lele Luzzati (1921-2007) instaura un pluridecennale sodalizio artistico al Teatro Stabile di Genova; a Roma fonda una scuola per attori ispirata al metodo Stanislavskij.

La categoria del teatro puro delineata in queste pagine ne riafferma il primato conoscitivo ed esperienziale. Talvolta il discorso si fa astratto nella sua intransigenza, ma di certo è antidoto alla disinvoltura culturale, ieri come oggi. D'altra parte, la significativa attività di teorico di Fersen è stata di fatto ignorata da buona parte della critica. Delle due versioni complete e delle numerose frammentarie conservate presso il Museo Biblioteca dell’Attore di Genova, viene presentata qui la più recente annotata dall’ autore; l’altra in appendice è la versione ridotta, più vicina alle logiche editoriali e mai pubblicata.

Se è giusto dire che il teatro ha origini rituali, per Fersen è più esatto affermare che il rito ha origini teatrali.  L’atto del «teatrare» è organicamente incorporato nell’essenza del rito, che è un interiore atto della memoria. La persistenza della struttura rituale del teatro vive nel passaggio dall’evento misterico alla fase profanata del rito e in termini più affievoliti, da questa al teatro come solitamente conosciamo, ovvero nella sua mediazione letteraria e cristallizzata. Fersen disegna i confini che dividono il teatro dal non teatro in una sorta di mappa ideale. Dove l’interiorità dell’attore e dello spettatore non è coinvolta, dove la suggestione scenica cede il passo al discorso, dove lo psicologismo sostituisce l’ illusione simbolica, comincia la zona equivoca del non-teatro. Egli arriva così a rappresentare il nucleo creativo della rappresentazione attraverso un itinerario a ritroso nel tempo individuale e storico che segue tecniche e procedure simili a quelle della ritualità primitiva. 

Mentre queste teorie prendono forma, Fersen si allontana definitivamente dalla sua attività di regista e di direttore di teatri; dopo il 1978 il lavoro con gli attori viene condotto in ambito non teatrale. A partire da considerazioni di ordine filosofico, egli mette a punto la tecnica psicoscenica e la pratica del mnemodramma che ne rappresenta un'originale sintesi; alla base c’è una ricerca interdisciplinare che tiene conto soprattutto dell’antropologia. Nel 1957 Fersen parte dall’ introspezione nel comportamento dell'interprete e ben presto supera l’approccio psicologistico: per lui l’alternativa fra mimetismo istrionico teorizzato da Diderot e naturalismo di Stanislavskij ignora le ambiguità dell’evento teatrale. L’attore deve invece intraprendere un vero e proprio viaggio all’ interno della propria interiorità per mezzo di tecniche che sono allo stesso tempo psicologiche e sceniche, sprofondando in uno stato di trance ed a latitudini interiori in cui la coscienza non è più presente. L'immedesimazione scenica non appartiene alla vita e neppure alla simulazione della vita; ha invece la qualità del gioco e del sogno, così reale nella sua irrealtà. Scopo degli esercizi è quello di incanalare la spontaneità della vita emotiva che si manifesta liberamente sulla scena. 

L’attitudine a dissociarsi dalla propria identità abituale è quindi manifestazione della vocazione al teatro. E gli attori - entusiasti o depressi, così socialmente difficili- cosa rappresentano nel contesto della società moderna? Il fatto che la vocazione dell’attore porti in sé elementi di precarietà interiore e di labilità nervosa non fa che ribadire per l'autore il carattere enigmatico di un’attività ai margini. Fersen ci mette in guardia ancora una volta dagli allettamenti della vita borghese, perché l’attore non tradisca se stesso e la sua arte a surrogare la vocazione con la professione.


di Michela Zaccaria


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Alessandro Fersen (1921-2006)
Alessandro Fersen 
(1911-2001)



 
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