Il
libro raccoglie gli Atti della Giornata di Studi organizzata da Rosanna Brusegan presso lUniversità di
Verona nel 2011 ed indaga la genesi dei testi di Dario Fo da un punto di vista strettamente linguistico: dal parlato
teatrale delluso di alcune commedie a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta
allo sperimentalismo del gioco onomatopeico del grammelot in applicazione alle fonti scritturali e medievali ed ai
materiali della Commedia dellArte.
I
debiti di Fo con la lingua di Ruzante
risalgono a molti decenni fa; ma è con lo spettacolo Dario Fo recita Ruzante (1993) che vengono saldati definitivamente,
sebbene la marcatura dei dati fonetici e musicali del pavano originale perda in
Fo la sua specificità e si sbilanci verso un generico lombardo-padano. La lezione-spettacolo
prevede infatti inserti testuali parodicamente reinventati attraverso
normalizzazione linguistica o reinterpretazione facilior dei tratti più incomprensibili (saggio di Ivano Paccagnella).
Nel
più recente Lu santo jullàre Françesco
(2002) lautore contamina ancora con massima
libertà e in chiave comica forme antiche e moderne di varia provenienza. E
sempre il Medioevo tragico e violento del potere della sopraffazione e della
fame, quello proposto da Fo e con chiavi narrative fondate sul paradosso e sul
controcanto, fra sublimitas dargomento
e humilitas di rappresentazione.
Loperazione
di contaminazione e riuso di fonti tipi e stilemi convenzionali, dialetti e
lingue è indagata da Luigi Matt. Da
una parte rimanda alle tradizioni ed ai riti popolari; dallaltra alla poesia
giullaresca delle origini, al teatro delle sacre rappresentazioni e dei misteri
buffi, delle farse e delle moralità, delle giullarate e dei fabulazzi osceni. In
particolare, Rosanna Brusegan
ritrova nel monologo de La Parpàja tòpola
le forme del recupero/reinvenzione della lingua giullaresca, nella quale
sono qualità sonora della parola ed espressività del dialetto a motivare le
scelte drammatiche, le esigenze dellorecchio a contare più di quelle
retoriche.
Monica Longobardi presenta alcuni esempi dello
«scurrile poetico», dellerotico e dellosceno nella drammaturgia di Fo; mentre
Simona Brunetti prende in analisi Hellequin Harlekin Arlekin Arlecchino
(1985), monologo affabulatorio in grammelot
inserito in uno spettacolo ad episodi, separati da brevi intermezzi
musicali e punteggiati da veloci azioni acrobatiche.
La
tendenza alla contaminazione testuale trova corrispondenza anche nelle commedie
regolari composte fra il 1959 e il 1961. Nicola
Pasqualicchio rileva come qui il drammaturgo aderisca alla forma della pièce bien faite di intrattenimento
borghese (Feydeau e la pochade) per
poi scardinarla attraverso liberi rovesciamenti di intreccio. Il tema è la
reiterata infrazione del sistema gerarchico nel rapporto fra potenti e
subalterni; la predilezione è per la deformazione caricaturale ed il
marionettismo biomeccanico. Tuttavia anche in un contesto di teatro impegnato,
il richiamo alla gag ed al ghigno
dissacrante emergono prepotenti e restituiscono la cifra più consona al grande
poliedrico autore.
I
testi presentano un parlato teatrale medio, volutamente colloquiale e privo di
particolari asperità; rispecchiano insomma in misura davvero attendibile
quellitaliano di ampia diffusione pan-regionale in circolazione nel nostro
paese proprio negli anni Sessanta e Settanta del Novecento. Claudio Giovanardi si sofferma sugli
aspetti più significativi della sintassi: costrutti che arieggiano certe
semplificazioni tipiche della comunicazione parlata; anacoluti e strutture
frante nella direzione di una mimesi non parossistica del parlato. Anche per
quanto riguarda il lessico è confermata la medietas
con presenza di frasi idiomatiche, giochi di parole ed uso esasperato dei
puntini di sospensione.
Piero Trifone rileva infine i collegamenti con
la tradizione lombarda dello sperimentalismo linguistico. E il tema
fondamentale dellantinaturalismo del grammelot
come ibridazione aberrante allinterno dellantinaturalismo iper-comunicativo
di Fo. Se ne trovano ampia esemplificazione nelle numerose soluzioni
linguistiche anomale ed innaturali quanto creative che accompagnano la parodia
dei gerghi tradizionali e dei codici specialistici e si estendono ai linguaggi
della malavita, della medicina o della burocrazia, così come agli stessi
formulari stereotipati dei movimenti politici di sinistra.
di Michela Zaccaria
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