Il direttore dellOdéon-Théâtre de lEurope, appena passato alla guida del Festival dAvignon, elude provocatoriamente la continuità logica del suo discorso, sia teorico sia professionale, ma non lintima coerenza poetica, per tuffarsi con intelligente compiacimento in immagini e ipotesi ardite che trascinano il lettore nel magma delle sue visioni. Il regista può contare anche sulla complicità degli spettatori, per ravvivarne la memoria con inedite suggestioni. Il Teatro è per Py un fenomeno, nel senso proprio di phainómenon, e lessenza del proprio lavoro è più nel vissuto cosciente che non nella ricerca della teatralità; prevalenza della parola in azione (poetica dunque) e non rappresentazione di temi e problemi drammatici. Lattenzione alle estetiche e ai principi enunciati e perseguiti lungo il Novecento è ben presente in questi suoi appunti sintetici. Il Teatro Popolare, ad esempio, non tenderebbe al divertimento, ma a sollecitare il pensiero: «Le théâtre ne dénonce rien. Il est lannonce que ce qui est ne peut pas mourir» (p. 38). E come per Vilar, lavventurosa occupazione dello spazio aperto avignonese è per lui utopia: «Ce que Vilar voulait à Avignon […] cétait leffondrement de tous les murs du théâtre bourgeois. […] Le théâtre est une machine à voir le ciel de légalité sociale» (p. 181). Viene poi il rilievo del carattere intrinsecamente «reazionario» del Teatro più autentico, in quanto affermazione di un respiro e duna esperienza mistici che invitano allo scavo nei recessi più profondi e non allo slancio tipico delle avanguardie formali. Defizione 50 : «Le théâtre est un décélérateur. En cela il est toujours réactionnaire, la vitesse et la virtualité sont les maladies de la modernité» (p. 24).
Il teatro supera le religioni e si impone con lunicità e lassolutezza della sua parola. Poiché mistero e parola hanno stesse sorgenti, si attraversa prima la mistica poi lestetica. «Le théâtre est lincommensurable qui vient dans la mesure» (p. 27). Del resto, è costante il parallelo con la fede cristiana nellIncarnazione di Cristo, che Py richiama spesso quale evento analogo a quello prodigioso e irripetibile del palcoscenico. «Le théâtre est linfini qui vient dans le fini» (p. 57), acquistando rango divino: «Le théâtre est limmateriel qui vient dans la matière» (p. 108). Il regista allora si sente demiurgo e testimone: «Dieu est celui par qui les choses ont la permission dapparaître. Lhomme, cest celui qui voit et témoigne de lêtre des choses. Pour cela, il lui fallait la possibilité non pas de voir seulement mais de représenter» (p. 30).
Nello stile, emerge la figura dellossimoro, su cui si basa il canone reiterativo delle sue espressioni. Approssimazioni per difetto, per via negativa o per illuminazione abbagliante, compongono le formule aforistiche di altrettanti tentativi di descrizione dellineffabile. Eppure, elementi concreti non mancano alle sue osservazioni, come quelli sul lavoro dellattore, sviato dalla ricerca di unidentificazione sentimentale che non saprebbe garantirgli il risultato creativo necessario: la meta è la verità poetica, non quella psicologica (p. 137). Frequenti anche i confronti con le idee e le soluzioni proposte dai Maestri della scena del Novecento, da Brecht a Vilar, da Pirandello a Mejerchold («Le théâtre est le bouton qui attache le ciel à la terre», p. 88). Pertanto Py vaglia criticamente le maggiori ideologie correnti del suo secolo; sullo sfondo onnipresente della mitologia classica e della teologia cristiana. Considera Wittgenstein e Benjamin, cita Jacques Derrida di Spectres de Marx (1993) riconducendolo alle proprie tesi sullattualità storica. Con langoscia di Amleto si spiegherebbe lo smarrimento dellOccidente al momento della caduta del muro di Berlino (p. 71). Limpegno politico del teatro sarebbe peraltro efficace non tanto perché fomenta la lotta di classe, ma perché ingaggia «une lutte de groupe contre une surmasse, une lutte de formations contre linforme» (p. 76), frutto di unaristocrazia illuminata. In tal senso, il teatro può costituire la risposta più violenta al sistema culturale, confidando in una forza utopica che per la gratuità della poesia saprebbe superare le categorie culturali imposte dalla società. Il teatro infatti - più che arte, archetipo di tutte le Arti - nasce dal desiderio ed è alimentato dallinsoddisfazione del suo bisogno. Così si otterrebbe laffrancamento dal godimento, falsa promessa della società dei consumi. «Le théâtre est un lieu où le désir est un acte» (p. 80). Quindi la funzione privilegiata dellattore consiste nel rendere concreta lincarnazione della Parola; la sua condizione implica unascetica della perdita e «le théâtre est la joie de tout perdre affirmée comme art» (p. 155).
Talvolta la perorazione dellartista appare volta a contraddire la Storia di fronte alla sorgente inesauribile della vita bagnata dal senso del Mito. «Le théâtre est un présent vécu comme un récit mythique, et un mythe vécu comme un présent inouï» (p. 147) precisa Py, assumendosi responsabilità quasi profetiche: «Le théâtre est une révolution intime. LHistoire ny comprend rien. [...] Les hommes ne sont pas historiques. Le théâtre donne à lindividu et à son anedocte la dignité que lHistoire oublie de lui accorder» (p. 166). E forse sono questi gli accenti che meno si condividono col Direttore di un Festival storicamente popolare per eccellenza. La misura frammentaria del libro mostra tuttavia una coerenza e ununitarietà notevoli, appunto nella ripetizione e nella variazione; nellasintoto fra il finito e linfinito, il materiale della messa in scena e il suo ideale, latente compimento immaginario. Il riconoscimento della natura, anche sessuale, dellesigenza espressiva teatrale apre alla dimensione di unumanità che si riconosce, oltre che pensante, desiderante, secondo le categorie adottate da Eugenio Scalfari per definire luomo attuale. «Le théâtre est un mode de relation sexuelle» (p. 135) e ancora, «un debordement denergie spirituelle» (p. 131). Cogliendo anche casualmente le sollecitazioni di questopera, si scoprono i tesori depositati in una specie di miniera, da riportare alla luce con precauzione. Lo stesso autore ammonisce di non illudersi che tutto quanto ne affiora sia traducibile in moneta corrente: «La vérité est comme ces trésors que lon remonte du tréfonds et qui, sitôt à la surface, tombent en poussière» (p. 160). Nellimmaginario, i principi di realtà non sono applicabili e lartista mentre li insegue, li denuncia e li contraddice. Paradossale coerenza.
di Gianni Poli
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