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Theatre Research International
in association with the International Federation for Theatre Research

vol. 37, n. 3, October 2012, p. 100, £53
ISSN 0307-8833

 

Elaine Aston, a conclusione del mandato triennale come Senior Editor di «Theater Research International», ripercorre i punti nodali del lavoro svolto. La sua linea direttiva, in cerca di nuovi interessi e di rinnovati strumenti d’indagine, vuole estendere i confini dell’ambito disciplinare al fine di sviluppare il dialogo e l’incontro trans-nazionale tra studiosi e artisti. Obiettivo impegnativo che deve misurarsi con diverse difficoltà: dal sottile lavoro di traduzione all’analisi critica di tradizioni e pratiche sceniche spesso trascurate, attinenti le culture orientali e il mondo arabo. Nella vasta rosa delle tematiche affrontate e approfondite da Aston ricordiamo: la performance come luogo di denuncia di argomenti sociali, sessuali, politici e culturali (36,1); la censura e le modalità di scambio culturali tra le nazioni (36,2); l’analisi dell’evento scenico a partire dalla sua dimensione genetica (36,3); l’adozione di nuove strategie di indagine nella ricerca teatrale (37,1); le capacità trasformative del teatro (37,2). Un triennio soddisfacente per la studiosa e la rivista dell’Università di Cambridge che ha acquisito prestigio e maggior respiro internazionale, registrando, inoltre, un incremento dei collaboratori e degli abbonati, nonostante la recessione economica globale.

 

Il presente numero di TRI focalizza l’attenzione su alcune forme spettacolari difficilmente catalogabili, capaci di provocare nello spettatore un forte impatto emotivo. Il contributo di Bryoni Trezise analizza il concetto di «Spectatorship that Hurts» sulla base dell’esperienza artistica della Socìetas Raffaello Sanzio. Secondo Trezise la compagnia italiana costruisce con lo spettatore una pratica meta-affettiva, le cui premesse si possono rintracciare nella sorpresa ontologica e nel coinvolgimento emozionale degli astanti, attraverso le immagini crude e evocative dei loro spettacoli. Gli spettatori provano, per mezzo di un’inversione dei meccanismi della rappresentazione, la stessa sofferenza dei corpi lacerati che appaiono in scena. La Socìetas, partendo dall’essenza dei sentimenti in quanto tracce di un’emozione vissuta, riconfigura i corpi scenici in modo da provocare negli spettatori ripercussioni etiche e politiche legate alla loro memoria culturale. Tutto questo, conclude lo studioso, «genera un’esperienza che provoca dolore, emotivo e fisico».

 

Gareth White esamina il concetto di «Immersive Theatre» sulla base della peculiare pratica teatrale di due compagnie stabili londinesi: Shunt e Punchdrunk. Entrambi gli ensemble utilizzano ampi spazi che il pubblico attraversa ed esplora alla ricerca dello spettacolo, diventandone, talvolta, protagonista. Nella prima parte del saggio si descrivono le «architetture d’interni» e i movimenti degli spettatori, dimostrando come questi elementi diventino parte fondamentale del lavoro drammaturgico. L’autore analizza poi l’accezione metaforica del concetto di «immersive» in relazione allo spazio e alle diverse accezioni linguistiche; mette infine in relazione la poetica delle compagnie londinesi con l’estetica fenomenologica di Heidegger e la teoria di (syn)aesthetic di Josephine Macon. Macon riconosce il tratto distintivo della poetica di Shunt e di Punchdrunk nell’operazione di coinvolgimento sensoriale dello spettatore e nel processo di auto-conoscenza che egli compie.

 

Vectors of Partecipation in Contemporary Theatre and Performance di Sruti Bala esplora la nozione di partecipazione in un doppio contesto: nel teatro contemporaneo e nella sfera pubblica. Bala esamina le diverse manifestazioni della «rappresentazione», della «collettività» e della «teatralità» - concetti che l’autrice definisce come «vettori della partecipazione» - nel doppio contesto artistico e sociale. Il saggio mette in luce, con esempi tratti da diverse realtà culturali quali Sudan, Russia, Libano e Olanda, come l’intervento degli spettatori diventi talvolta parte centrale della performance e come quest’ultima diventi, a sua volta, elemento fondamentale di eventi di carattere pubblico e socio-politico.

 

Il contributo di Willmar Sauter si sofferma sulla singolare installazione d’arte realizzata dalla studentessa svedese Anna Odell nel gennaio 2009 su un ponte di Stoccolma, dove la giovane artista mette in scena un tentativo di suicidio, esperienza realmente vissuta anni addietro. Sauter osserva l’evento a partire dall’azione ‘scenica’, esaminando successivamente le fasi dell’arresto, del trasferimento nell’ospedale psichiatrico, del processo, della sentenza e della risonanza mediatica dell’evento. Lo studioso indaga, inoltre, il linguaggio della comunicazione artistica in rapporto alle consuetudini socio-morali della società svedese; mette in rapporto l’accusa di «prassi fraudolenta» del pubblico ministero con le ragioni artistiche della Odell; considera le conseguenze di ordine culturale e sociale dell’azione di Odell; affronta infine le difficoltà dello storico nel definire e circoscrivere una simile esperienza nel contesto della prassi spettacolare.

 

Lo studio di Gillian Arrighi focalizza l’attenzione, invece, sulle prime performance di arti marziali apparse sulle ribalte australiane all’inizio del Novecento. L’autrice esamina le esibizioni della squadra giapponese di combattenti di sumo e la loro ricezione in rapporto al contesto politico internazionale coevo, scosso dalla guerra russo-giapponese (1904-’05). Il saggio interpreta la circolazione degli spettacoli marziali sulle scene popolari australiane come luogo di scambio culturale e territorio di dinamiche politiche transazionali che hanno contribuito, inoltre, a contrastare gli stereotipi razziali che dominavano la cultura australiana dell’epoca.

 

Concludono il volume le recensioni delle ultime pubblicazioni anglosassoni in ambito teatrale.  

 


di Adela Gjata

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