Dal 6 al 13 ottobre 2012 si sono svolte a Pordenone Le Giornate del Cinema Muto, lannuale Festival giunto questanno alla sua 31ª edizione. Il ricco programma ha gettato uno sguardo sulla produzione internazionale del muto, attraverso percorsi diversi e transnazionali. Le dieci sezioni in cui si è articolato il Festival hanno infatti tracciato ciascuna un differente iter cinematografico, consentendo così una visione prospettica polivalente e perciò stesso più fertile di idee e interpretazioni analitiche.
Per la sezione “Eventi Speciali”, ha aperto le danze Les Adventures de Robinson Crusoé (1902). Il film di Georges Méliès è stato proiettato nella versione restaurata dalla Cinémathèque française e dai laboratori Éclair, a partire da un copia recentemente donata dal collezionista Olivier Auboin-Vermorel. La copia è interamente colorata a mano e seppur priva di didascalie, accompagnata da un commento probabilmente redatto dallo stesso Méliès, pubblicato nel 1905 per il catalogo americano dei film del regista. Per la serata del 6 ottobre tale commento è stato letto nella traduzione inglese da Paul McGann, mentre laccompagnava lapposita partitura di Maud Nelissen. Negli splendidi colori di questa versione policroma, i rinomati trucchi del celebre pioniere del cinema francese, risplendono e affascinano ancor più.
In occasione del suo novantesimo compleanno, Jean Darling, intatta nel suo charme, ha incontrato ancora una volta il pubblico delle Giornate per ricordare gli anni doro di Hollywood e cantare alcuni successi del passato, accompagnata da Donald Sosin, suo abituale partner sul palcoscenico. Tra i capolavori del muto riproposti cerano anche La passion de Jeanne DArc (Carl Thedor Dreyer, 1928) e Woman of affairs (Clarence Brown, 1928), nelle proiezioni speciali rispettivamente accompagnate dallOrchestra e Coro San Marco di Pordenone (nel suggestivo scenario del Duomo di Pordenone) e dalla FVG Mitteleuropa Orchestra (al Teatro Verdi).
Le grandi aspettative per Phono-Cinéma-Théâtre (Paul Decauville, 1900) non sono rimaste deluse: la Cinémathèque française e i Gaumont Pathé Archives hanno collaborato per portare a termine lambizioso progetto di ricostruire nel modo più completo possibile il repertorio del Phono-Cinéma-Théâtre, lo spettacolo concepito da Paul Decauville per lEsposizione universale del 1900, a Parigi, nello spazio appositamente allestito in seno a quella manifestazione, a modello del “Pavillon frais” di Angel Jacques Gabriel (Versailles, 1751). Poco prima dellapertura dellEsposizione stessa, vennero effettuate da Clément Maurice Gratioulet, un collaboratore dei fratelli Lumière, le riprese dello spettacolo poi proiettate a partire dal 28 aprile del 1900, giorno della prima. Ne risulta un pastiche di generi spettacolari – danze, pantomime, music-hall e circo – che raccoglie alcuni dei più celebri artisti dellepoca, tra i quali figurano anche Sarah Bernhardt, celebri ballerine come Carlotta Zambelli e Cléo de Mérode, cantanti, i clown Footit e Chocolat e il comico Polin. Vedere quei film oggi, molti dei quali colorati a mano e accompagnati dalle registrazioni fonografiche originali di canzoni e brani teatrali, non solo è unemozione indescrivibile, ma si prospetta come unindispensabile occasione di studio anche per le altre arti sceniche, dal teatro alla danza e al canto lirico, per l(in)consapevole documento delle tecniche sceniche dellepoca che costituisce. Fa da contrappunto ideale a una ricostruzione filologica così accurata Le petit nuage (Renée George, 2012), film muto dei giorni nostri, realizzato sulla scia del recente successo di The Artist (Michel Hazanavicius, 2011), film al quale la stessa regista ha collaborato in qualità di aiuto del caposquadra elettricisti. Sebbene se ne discosti per ambientazione (Le petit nuage è girato a Parigi, mentre The Artist ad Hollywood) e atmosfera ricercata (manca qui il ricorso nostalgico agli stilemi degli ultimi fuochi del muto americano), il film di Renée George recupera dalla regia di Hazanavicius il tono ironico e insiste sui motivi pantomimici, più ridimensionati nellopera del regista francese. Concepito come primo episodio di un progetto più ampio – un lungometraggio intitolato 7 Short Films About Love e articolato appunto in sette cortometraggi – Le petit nuage è forse fin troppo intriso di un preteso esprit parisien, tuttavia ironia e fantasia ne fanno comunque unoperazione lodevole, se non altro perché tenta una strada – quella del muto ai giorni doggi – che molto ancora può rivelare dal punto di vista dellespressività attoriale e della tecnica filmica.
Nel bicentenario della nascita di Charles Dickens, le Giornate del Cinema Muto dedicano uninteressante rassegna al celebre scrittore, “il padre della sceneggiatura” non solo nella misura in cui nel solo periodo del muto in svariati Paesi furono realizzati circa cento film tratti dalle sue opere, ma anche perché – come ebbero a notare già Griffith ed Ejzenstejn – la sua tecnica narrativa conteneva in nuce i prodromi del racconto cinematografico e non è dunque un caso che si presti ancora oggi alla trasposizione cinematografica. Si tratta di film spesso poco fedeli allopera dorigine, eccessivamente statici (pressoché univoca la soluzione narrativa data dallalternanza di piano dinsieme/didascalia), ricchi di scene superflue e perciò stesso noiosi agli occhi smaliziati del pubblico del XXI secolo. Tuttavia occorre sottolineare che il cospicuo numero di adattamenti che la manifestazione friulana ha raccolto, ha costituito uniniziativa di indiscutibile interesse, non solo perché ha permesso di visionare riscoperte recenti come The Death of Poor Joe (G.A. Smith, 1900?/1901?), ritrovato negli archivi del British Film Insitute solo lo scorso febbraio, ma anche perché, mediante unacuta articolazione del programma, ha riunito le trasposizioni di uno stesso titolo dickensiano (Il circolo di Pickwick, Le avventure di Oliver Twist, Canto di Natale, ecc.) in ununica sessione o al massimo in due, permettendo così una visione comparativa che ha consentito non soltanto di apprezzare i progressi della cinematografia mondiale nel corso del periodo muto e il variare delle soluzioni visivo-narrative da Paese a Paese, ma anche di valutare la presenza o meno di uniconografia sedimentata nel tempo, limitatamente a uno stesso titolo.
Nel corso delle Giornate è stata allestita al secondo piano del Teatro Verdi di Pordenone anche una piccola ma accurata mostra intitolata Dickens in Italy, curata da Laura Minici Zotti per il Museo del Precinema collezione Minici Zotti (Padova). La mostra, “partendo” dal viaggio che Dickens fece in Italia tra il 1844 e il 1845, ha esposto una serie di vetri fotografici per Lanterna Magica originali di fattura inglese, che mostrano le città italiane visitate da Dickens. Oltre a un esemplare di lanterna magica di fabbrica inglese della fine dellOttocento, erano esposti vetrini e positivi fotografici dipinti a mano, illustranti due tra i più celebri racconti dickensiani: The Marley's Ghost e The Chimes. Questi ultimi, commentati dalle stesse parole dellautore, erano visibili anche su schermo, in modo da poter gustare comodamente seduti tutta la suggestione che i più fortunati tra i bambini dellultimo scorcio dellOttocento dovettero provare guardando e ascoltando quelle affascinanti storie.
Tra le sezioni più interessanti del Festival, una retrospettiva interamente dedicata ad Anna Sten (1903-1993), star del cinema sovietico muto dalla carriera sfortunata nonostante il grande talento, evidente anche allo spettatore di oggi. Nata in Ucraina, mosse i primi passi in ambito sovietico: un periodo della sua carriera di difficile ricostruzione, cui seguirono due consistenti campagne promozionali, una tedesca (1930-32) e una americana (1932-35), curata da Samuel Goldwyn, che volle farne una diva, senza capire che latout della Sten non stava nellinvariabile immagine dellicona cinematografica, legata a un ruolo univoco e ben definito, ma piuttosto nella sua camaleontica capacità di calarsi in parti anche molto diverse, passando con naturalezza da un genere allaltro, da uno stile di regia allaltro, dai film di montaggio russi, alle produzioni hollywoodiane. Un errore di valutazione che costò a Goldwyn tre insuccessi al botteghino e alla Sten la fine della carriera. Tra le perle riproposte dalla rassegna di Pordenone, La ragazza con la cappelliera (Boris Barnet, 1927) è stata una delle più attese. Commissionato dal Ministero Popolare delle Finanze per propagandare la lotteria di Stato, il film in realtà rivela lo scopo pubblicitario soltanto nellultima parte del film, lasciando così ampio margine alla recitazione naturalistica della Sten, qui alle prese con una trama tragicomica, nella quale trovano spazio sia momenti tipici dello slapstik, che scene più improntate alla resa dellambientazione e della realtà sociale di un Paese, la Russia degli anni Venti.
A William Wymark Jacobs (1863-1943), autore di numerosi best-seller della prima metà del ‘900, è dedicata la sezione intitolata appunto “W. W. Jacobs, narratore”. Grazie al lavoro di ricerca del British Silent Film Festival, le Giornate del Cinema Muto hanno proposto la serie di adattamenti cinematografici dei racconti dello scrittore inglese, realizzati da Horace Manning Haynes e Lydia Hayward tra il 1922 e il 1927.
Fa il paio con la rassegna dedicata al narratore dimenticato, quella intitolata “Selig Polyscope”, come la casa di produzione che si vuole riproporre, nellambito del progetto dedicato a “Gli innovatori dimenticati”, ovvero alla riscoperta dei primi studios americani. Tra i film proposti figurano western come Saved by the pony express (1911), con protagonista Tom Mix, che torna come regista, sceneggiatore e interprete anche in The stage-coach driver and the girl (1915), il cui nucleo narrativo è lo stesso de La grande rapina al treno (Porter, 1903) e The Spoilers (1914), primo lungometraggio di produzione americana di due ore. Se le Giornate del Cinema Muto ripropongono oggi una retrospettiva su William Nicholas Selig (1864-1948), è perché uno dei pionieri del cinema americano, è oggi a torto dimenticato. Molteplici invece le ragioni per ricordarlo: fu il primo a girare western nel vero West, il primo ad aprire uno studio cinematografico a Los Angeles e creò il genere di film davventura ambientati nella giungla, facendo di Kathlyn Williams la protagonista di una fortunata serie di film.
Per la serie di film riservata al “Cinema danimazione tedesco” (1910-1930), il Festival ha proiettato divertenti cortometraggi pubblicitari danimazione, che ben al di là del prosaico scopo promozionale, svelano interessanti risvolti artistici, dando prova di unampia gamma di tecniche danimazione e colorazione, oltre che di una brillante fantasia narrativa.
Per “Il Canone Rivisitato”, oltre al già citato La passion de Jeanne DArc (Carl Thedor Dreyer, 1928), tra i capolavori del muto proiettati, La via senza gioia di Georg Wilhelm Pabst (1925) incanta e stupisce ancora oggi, per lattualità delle tematiche trattate nonostante le mutate condizioni politico-economiche. Exemplum della Nuova Oggettività, attraverso quattro vicende parallele, delinea un ritratto realistico della Vienna del 1921. Le forti sperequazioni sociali, tra lalta borghesia cittadina con le sue ipocrisie da un lato e i quartieri operai dallaltro, con i loro abitanti costretti a compromessi sempre più alienanti, dipingono una realtà drammatica e coinvolgente, in cui risaltano le doti interpretative degli attori che compongono il cast internazionale: da Asta Nielsen a Greta Garbo, per citarne due tra le più celebri. Censurato, tagliato e ri-montato più volte, nonché già passato attraverso altri due restauri, La via senza gioia alle Giornate è stato proiettato nellultima ricostruzione realizzata dal Filmmuseum München e dal Filmarchiv Austria (2009), che si avvale di materiali da poco riscoperti e del colore, ripristinato sulla base delle copie originali disponibili, attraverso il procedimento Desmet.
Ancora per “Il Canone Rivisitato” I tessitori di Friedrich Zelnik (Germania, 1927), dimostra come dopo La corazzata Potëmkin di Ejzenštejn, negli anni ‘20 i film inneggianti a una rivoluzione proletaria si rifacessero tutti, seppur in misura variabile, al modello russo, mutuando da quello il montaggio rapido, le tecniche di ripresa, nonché il tema della rivolta operaia e la focalizzazione della vicenda più sulla collettività che sul singolo individuo.
La ricca sezione dedicata al “Cinema delle Origini” dispiega una nutrita serie di brevi film, come le tre versioni di Gaston Velle (una per la Cines nel 1906 e due per la Pathé, nello stesso anno) del Voyage autour dune étoile, che viste in successione permettono una valutazione comparativa; o Après la bataille (Paul Decauville, 1903). Questultimo, pur non incluso nella selezione dei materiali restaurati del Phono-Cinéma-Théâtre, è in realtà un altro magnifico esempio del lavoro di restauro e ricostruzione recentemente (2012) condotto dai Gaumont Pathé Archives in collaborazione con la Cinémathèque française: presenta infatti una buona sincronizzazione con il cilindro fonografico originale ed è forse uno dei primi esempi di doppiaggio; dal momento che la vedette delloperetta francese Mily-Meyer sembrerebbe aver prestato la propria voce a uninterprete più giovane e avvenente.
Per il comparto “Riscoperte e restauri”, il Festival ha riservato gradevoli sorprese come De Bertha di Louis H. Chrispijn, risultato del lungo lavoro di inventario compiuto dal Eye Film Institute di Amsterdam sui circa 2000 rulli acquisiti di una collezione privata. Sempre grazie al restauro (2011) del Eye Film Institute Netherlands (in collaborazione con Haghefilm Foundation), proviene The Spanish Dancer (Herbert Brenon, USA 1923), con Pola Negri e Kathlyn Williams. Si tratta di una commedia romantica in costume, libero adattamento della pièce di Adolphe dEnnery e Philippe Dumanoir, Don César de Bazan. Non sempre volontariamente comico, il film è risultato godibilissimo nella serata pordenonese, grazie anche al coinvolgente accompagnamento di chitarre (Donald Sosin, Guenter A. Buchwald, Massimo Cum), batteria (Frank Bockius) e viola (Günter A. Buchwald). Interessanti anche i frammenti Two-color Technicolor in programma, provenienti dalla George Eastman House: si tratta di brevi stralci, originariamente accompagnati da colonne sonore oggi perdute, di grande interesse per luso del colore che documentano. Per citare un esempio, si pensi alla preziosa sequenza a colori di The Broadway Melody (Harry Beaumont, USA 1929), primo lungometraggio MGM completamente parlato, estratto che sopravvive in un unico esemplare.
Ancora nella sezione Riscoperte e restauri, figura litaliano Gli spazzacamini della Val DAosta (1914), in unedizione del Festival povera di cinema italiano. Il film di Umberto Paradisi, prodotto dalla Pasquali & C., è stato proiettato nella versione restaurata dal Museo Nazionale del Cinema di Torino e dalla Fondazione Cineteca Italiana di Milano, presso il laboratorio LImmagine Ritrovata (2010). Basato sullomonimo dramma di Giovanni Sabbatini (1854), Gli spazzacamini della Val DAosta, sovraccarico di luoghi comuni stilistici e contenutistici, affronta tematiche dimpegno civile come il lavoro minorile e le differenze di classe.
Un discorso a parte merita il documentario di Marco Segato sulla figura di Piero Tortolina (1927-2007), Luomo che amava il cinema (Italia 2012), per la sezione “Ritratti” del Festival. Attraverso stralci di video-interviste a Tortolina stesso e ad amici e collaboratori come Ornella Buratto e Tatti Sanguineti, per citarne due, emerge il profilo de «lultimo vero cinéphile» – come lo ha definito il regista stesso – che nel 1972 aveva fondato lo storico cineclub “Cinemauno” di Padova e messo insieme la pregevole cineteca privata che donò alla Cineteca di Bologna alla fine degli anni Novanta.
Lungi dallessere un resoconto con pretese di esaustività (per il quale sarà ben più esauriente il catalogo della manifestazione, cui per altro si è fatto anche qui riferimento, consultabile anche online allindirizzo http://www.cinetecadelfriuli.org/gcm/default.html), il presente consuntivo ha piuttosto lo scopo di dare il polso della 31ª edizione delle Giornate del Cinema Muto, dando conto dellimpatto teorico ed emozionale di una manifestazione capace di “far emergere il nuovo dallantico” e di imporsi a livello internazionale nellambito di un sapere circoscritto ma tuttaltro che esaurito, come quello del cinema muto.
[di Elisa Uffreduzzi]
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