I saggi del trentasettesimo numero di «Theater Research International»
prendono spunto dallapproccio metodologico tracciato in Making Modernity: Indigenous Theatre and
Salvage Ethnography, presentato da Helen
Gilbert al Congresso Internazionale del International Federation for Theatre
Reasearch (IFTR) svoltosi a Monaco nel giugno 2010. La studiosa riesamina
criticamente alcuni concetti sedimentati nella forma mentis occidentale adottando una prospettiva trasversale che
spazia dalle culture indigene alla pratica scenica contemporanea. Elaine Aston, direttrice della rivista,
considera il metodo della Gilbert un modo efficiente per scavare nei meandri
delle conoscenze acquisite nel tempo al fine di creare nuovi interessi e
strumenti dindagine. I contributi di questo volume affrontano quindi
argomenti, teorie ed eredità del Novecento che si rivelano strategici per il
presente e il futuro degli studi teatrali. Gli autori concordano inoltre che la
rivalutazione critica di certe ‘vecchie intuizioni possa risultare più utile
che lossessionata ricerca di ‘nuove teorie. Un altro filo rosso che percorre gli
interventi riguarda le questioni dell'identità e della differenza, ma anche il complesso
rapporto tra filosofia e teatro, argomento che viene approfondito attraverso
l'analisi ermeneutica delle opere di Gilles Deleuze e Henri Bergson.
Freddie
Rokem, ex-direttore del
TRI, osserva le pratiche narrative di Walter
Benjamin e Bertolt Brecht negli
anni dellesilio mediante le tattiche e le regole di due giochi da tavolo: gli
scacchi e il go, un antico e
complesso gioco di origine cinese. La singolare analogia viene evocata da una
foto del 1934, scattata a Svendborg (Danimarca), che vede i due scrittori
davanti ad una scacchiera. Rokem dimostra come certe strategie narrative,
temporali e spaziali, siano state suggerite ai «giocatori» dalla combinazione
degli schemi di movimento dei due giochi da tavolo. Il
“gioco” del teatro e della filosofia si svela, secondo Rokem, come un«interazione
complessa tra soggetti umani e idee astratte, azioni e pensieri» (p. 10).
Il
contributo di Laura Cull si
focalizza invece sulla vexata quaestio
dellapplicazione della
filosofia nellambito delle arti performative. Sempre più studiosi di teatro
adottano le tesi filosofiche di Platone,
piuttosto che di Heidegger o
Deleuze, come guida metodologica per lanalisi dellevento teatrale. Uno dei
modi per sfuggire alla meccanica applicazione di questi concetti, suggerisce
Cull, potrebbe essere «il ripensamento della pratica teatrale
come una sorta di filosofia». Infine, analizzando lattività eclettica di Allan Kaprow, lautrice auspica che le
riflessioni dei filosofi e degli storici del teatro possano estendersi oltre lo
spettacolo, soffermandosi sulle esperienze corporee e i processi fisici e mentali che emergono dalla sua opera.
Il pensiero di Bergson e Deleuze
riaffiora nel saggio di Mark Fleishman
che esamina la nozione di «performance as research» (PaR). Fleishman è un
accademico/teatrante la cui ricerca teorica è indissolubilmente legata
allattività pratica. Da oltre 24 anni esplora con la compagnia di Magnet
Theatre le potenzialità della PaR in differenti contesti sociali, soprattutto
in aree extra-occidentali. Lautore si confronta con il concetto bergsoniano
dell«evoluzione creativa», oggetto di studio anche per Deleuze, sulla scia
delle proprie esperienze pratiche. A quale tipo di diversità dà luogo il PaR,
si interroga Fleishman, dove risiedono tali differenze, e ancora, esiste un
punto in cui queste diversità si azzerano e dove levoluzione diventa
involuzione?
Language,
Multiplicity, Void: The Radical Politics of the Beckettian Subject di Nicholas Johnson sostiene che la recente storiografia beckettiana
sia tuttora ancorata al passato, incapace di svelare nuove prospettive
dindagine sullopera del drammaturgo irlandese. «Perché continuiamo ancora a
studiare Beckett? In cosa consiste il contributo estetico dei suoi scritti e cosa possono svelarci del secolo in cui nacquero?». Johnson focalizza
lattenzione sui soggetti, luso del linguaggio e il senso del vuoto nella
poetica beckettiana, argomenti non indagati a fondo, ma decisivi per la trasposizione
scenica della sua opera. Il saggio esamina infine i «pensieri post-moderni»
beckettiani legati ai temi dell'identità e della differenza.
Lintervento di Paul
Murphy osserva lincidenza della classe sociale nel campo teatrale, sulla
scia anche degli studi sociologici di Raymond Williams
e Pierre Bourdieu. Lautore estrapola la nozione dello status dalla matrice socio-economica
regolata dalla razza e dal sesso comunemente usata nel
campo delle arti e delle scienze umane. Murphy introduce la nozione di «class as performance»
mettendola in relazione con le vicende di Shiver
(2003), dramma di Declan Hughes che esamina quanto la borghesia
irlandese abbia influenzato il fenomeno del dot.com
bubble, la cosiddetta “bolla della new economy”, verificatasi nel secondo lustro degli anni Novanta.
La seconda parte del
periodico riflette sul tema dellidentità politica femminile in rapporto al
teatro e alla pratica scenica, esaminandone i contesti emergenti. Elin
Diamond, curatrice del dossier, fa una panoramica del ruolo della donna
negli studi teatrali statunitensi, interrogandosi se è ancora opportuno parlare
di attivismo femminile nel ventunesimo secolo. I contributi di Nobuko Anan
(Giappone), Denise Varney (Australia), Katrin Sieg (Germania), Bishnuptiya
Dutt (India) e Tiina Rosenberg (Svezia) affrontano invece largomento
riferendosi al contesto dei loro paesi di origine.
di Adela Gjata
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