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Venezia Musica e dintorni, a. VIII, n. 43, novembre-dicembre 2011


pp. 80, euro 5
ISSN 1971-8241

Nata nel novembre 2004, «Venezia Musica e dintorni» entra, con questo numero, nel suo ottavo anno di attività: ai fini di una maggiore maneggevolezza e polifonicità, diminuisce la quantità delle pagine (che passa da 96 a 80) e aumenta invece quella di giovani collaboratori e collaboratrici. A restare immutata – come spiega Leonardo Mello nel suo Editoriale – è però «l’impostazione di base, […] che ha tra i suoi obiettivi primari il racconto delle arti dal vivo, in un’epoca dove i confini tra forme espressive sono sempre più labili e in un territorio che giorno dopo giorno dimostra di essere fertile e vitale».  

 

Ad aprire il bimestrale è un inedito dell’Arcivescovo di Milano Angelo Scola, da lui scritto quando era ancora Patriarca di Venezia e dedicato a una riflessione sul rapporto fra esperienza estetica ed esperienza di fede. In Litania notturna di Ezra Pound si legge: «O Dio […] la mia strada hai segnato / E la bellezza di questa tua Venezia / M’hai rivelata, […] / O Dio, quale grande gesto di bontà / Abbiamo fatto in passato / E dimenticato, / Che tu ci doni questa meraviglia / Sì, la gloria dell’ombra / Della tua bellezza ha camminato / Sull’ombra delle acque in questa tua Venezia. / […] O Dio… / Illimpidisci il nostro cuore». Partendo da questi versi, il Cardinale, che cita fra gli altri il poeta Cyprian Norwid e il teologo Hans Urs von Balthasar, spiega come «la stoffa ultima della realtà» sia «il Mistero», come la bellezza sia in grado di destare «la nostra fame e sete di eternità» e come l’arte, «strumento fondamentale di auto-rivelazione dell’anima», costituisca una vera ancora di salvezza per l’uomo, «quest’essere segnato dalla finitudine eppure irriducibilmente assetato di infinito». L’opera d’arte, così, creando un legame indissolubile fra eterno e temporale, fra infinito e finito, fra totalità e spazio limitato, si fa eco potente di quella logica sacramentale che è il supremo metodo della rivelazione della Trinità (ossia del Mistero) agli esseri viventi. In conclusione, l’arte è la forma espressiva nella quale si manifesta, con un’acutezza che non è riscontrabile in nessun’altra esperienza umana, il paradosso che rappresenta il punto originario dell’estetica cristiana: vale a dire che Gesù Cristo è ciò che esprime, cioè Dio (possiede infatti la sua natura divina), ma non è Colui che Egli esprime (è diverso, come individuo, dalla persona del Padre). Una «insuperabile polarità» di cui è sostanziata anche l’arte, la bellezza: è ciò che esprime ma, nello stesso tempo, non è Colui che Ella esprime, ovvero «fons totius divinitatis».

 

Le pagine della sezione Focus on sono riservate alle recensioni di dieci giornalisti specializzati, differenti per età e orientamento culturale, che esprimono il loro giudizio sulle ultime Biennali, di Musica (alla sua quarta edizione) e di Teatro (alla quarantunesima), svoltesi fra settembre e ottobre e dirette rispettivamente da Luca Francesconi e Álex Rigola: cinque si occupano di quella musicale (intitolata Mutanti) e cinque di quella teatrale. Tecniche argomentative e opinioni, com’è giusto, non potrebbero essere più differenti: Dino Villatico, per esempio, coglie l’occasione offertagli dal titolo della Biennale Musica per lanciare il suo j’accuse contro la situazione di immobilità in cui, «da trenta o forse quarant’anni», versa la cultura in Italia. Alla fine degli ascolti, – si legge – a colpire di più è soprattutto l’impressione «di una specie di paralisi della fantasia, di una defezione del coraggio intellettuale, ma anche dello scatto emotivo, di una umiliante resa della voglia di rischiare, che sembrano possedere come un demone epidemico quasi tutti i giovani musicisti italiani […], divenuti spudoratamente timidi, impavidamente prudentissimi, esperti e raffinati calcolatori dello spazio più ridotto possibile, attenti a non travalicare la sensibilità ombrosa delle vecchie ma ancora agguerrite accademie, a non oltrepassare i limiti di un modello straconfermato dall’uso, i dogmi e i tic di un insegnamento testardamente subito da più di trent’anni». Del festival musicale, c’è chi critica l’eurocentrismo integralista (il vecchio vizio del «cordone sanitario eretto per tener lontani i compositori yankee»), chi la mancanza di un adeguato apparato informativo. E chi, infine, se ne mostra del tutto favorevolmente impressionato: era tanto tempo che in una rassegna di musica – scrive Enrico Giraldi – «non si sentivano sonorità così nuove, che non si vedevano nuove tecniche strumentali di produzione del suono, che non si percepiva uno sfruttamento così radicale delle tecnologie».

 

Quanto alla Biennale Teatro, se delude alcuni per l’assenza di nomi nuovi e scoperte inattese, piace  molto, però, agli amanti del teatro di regia. Renato Palazzi, per esempio, nota che Álex Rigola ha puntato «su un’offerta prestigiosa, sui risultati di una generazione teatrale oggi affermata, più che su un progetto meditato che […] evidenziasse soprattutto delle correnti di ricerca e suggerisse dei temi di riflessione su certe tendenze del teatro». Per Maria Grazia Gregori, invece, «l’incontro con una generazione di teatranti che va dai trentasette ai cinquantadue anni, che ha scelto, magari dopo qualche delusione, di stare giù dal palcoscenico invece che su, di filtrare le proprie idee attraverso un’invenzione critica piuttosto che attraverso un personalismo attoriale sfrenato», ha rivestito un’importanza decisiva per darle un’ulteriore conferma della «necessità indiscussa della regia a qualsiasi latitudine».     

 

Dopo le pagine dedicate alla presentazione della nuova stagione lirica e sinfonica del Teatro La Fenice e a brevi panoramiche retrospettive sull’attività di artisti rock, pop e jazz in concerto nell’aerea veneta fra novembre e dicembre (fra cui, per citarne solo alcuni, Bob Dylan e Mark Knopfler, Lenny Kraviz, Ivano Fossati, e Ryuichi Sakamoto), viene – e va evidenziata – la sezione prosa, composta da articoli in cui sono descritte le tante iniziative organizzate nell’ambito dell’edizione 2011-2012 del progetto Giovani a Teatro (al quale, lo scorso 17 ottobre, alla Pergola, l’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro ha assegnato il Premio della Critica 2011): si tratta di un’edizione che, mirando a coinvolgere nell’esperienza culturale dello spettacolo dal vivo soprattutto le nuove generazioni, contempla la predisposizione di laboratori di teatro, musica e danza, in asili, scuole medie, licei e istituti. A proposito di questa edizione di Giovani a Teatro, significativamente intitolata Essere umani, Cristina Palumbo (consulente per le attività teatrali della Fondazione di Venezia) scrive che il progetto investe «nell’arte, nel pensare, nello scoprire, nell’inventare. Perseguendo una rinnovata idea di Cittadinanza Attiva di cui bambini, ragazzi e giovani – e con loro insegnanti e genitori – possono essere protagonisti trovando nell’incontro con le arti dal vivo la pratica e le regole dello stare insieme, il rispetto e la cura di sé e dell’altro, la solidarietà e la sussidiarietà di essere simili, lo stupore e la consapevolezza del bello e del vero, la forza e il coraggio dell’immaginazione e della creatività».

 

Segnaliamo infine, fra le altre cose, la recensione allo spettacolo Wordstar(s) di Vitaliano Trevisan, con Ugo Pagliai e Paola Gassman, alla mostra (allestita nella casa dei Tre Oci, alla Giudecca) delle opere e dei progetti delle giovani artiste Victoria Samuel Udondian e Tamlyn Young, alla rassegna (promossa dalla Fondazione Cini) dedicata al cinema di Jean Marie Straub e Danielle Huillet, e al libro La vita e il teatro di Carlo Goldoni di Siro Ferrone (Marsilio, 2011), saggio – «maneggevole e autorevole al tempo stesso» – «irrinunciabile per gli studiosi del settore» ma comunque «rivolto più estesamente a tutti gli appassionati di teatro».

 

Chiudono la rivista un ricordo del musicologo Giovanni Morelli (1942-2011) e uno del regista Luigi Squarzina (1922-2010), che ha donato la sua preziosa biblioteca alla Fondazione Cini, e un bel servizio (corredato da numerose fotografie) sulle tre casette, due nella campagna austriaca e una nella val Pusteria, in cui Gustav Mahler compose molti dei suoi capolavori nelle estati fra il 1893 e il 1910.

di Giulia Tellini


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