drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti

cerca in vai


Silvana Matarazzo

La parola e la scena
Conversazioni con dieci drammaturghi contemporanei e una testimonianza di Toni Servillo
Prefazione di Antonio Audino

Pieve al Toppo (Ar), Zona, pp. 144, € 18, 00
ISBN 978-88-6438-187-9

Una delle caratteristiche della drammaturgia italiana contemporanea è il legame della lingua teatrale alla «matrice geografica e soprattutto alla stampo dialettale da cui deriva». Non solo: come le dinamiche sociali italiane vivono in una costante sospensione tra passato legato alla tradizione e futuro proiettato in una dimensione di modernità, così la produzione teatrale assorbe e riproduce questa dialettica fondata sul mondo di ieri e di domani. Queste osservazioni di Antonio Audino si leggono nella Prefazione al libro di Silvana MatarazzoLa parola e la scena. Conversazioni con dieci drammaturghi contemporanei e una testimonianza di Toni Servillo recentemente pubblicato dalla toscana Editrice Zona. Al centro dell’attenzione ci sono gli autori italiani dei primi anni Ottanta, che la stampa specializzata definì “giovani autori” o “nuova drammaturgia”. Come bene spiega l’autrice nell’Introduzione, essi emersero dalle ceneri dell’avanguardia degli anni Sessanta e Settanta e, mossi anch’essi dall’inquietudine e da propositi innovativi, recuperarono la parola come strumento comunicativo, anche per dare voce «agli scarti, ai marginali», agli esclusi dai modelli dominanti «a cui pure tentano mimeticamente di uniformarsi riproducendone versioni caricaturali e grottesche, nei comportamenti come nel linguaggio». In questa operazione il ricorso al dialetto diventa il filo conduttore e a livello testuale si anima sia come sorta di recupero, aggiornato e rivisitato, della grande tradizione del teatro popolare italiano e come parola in grado di esprimere disagi esistenziali ed emarginazioni sociali.

 

La Matarazzo raccoglie le interviste rilasciate da dieci drammaturghi, presentati da un dettagliato profilo biografico che ripercorre le tappe significative del loro lavoro artistico.

 

Considerato una sorta di capostipite, Manlio Santarelli apre il ciclo degli attori intervistati. Dopo aver illustrato il contesto in cui nacque Uscita di emergenza, testo considerato seminale, spiega le contaminazioni tra lingua ufficiale e dialetto presenti nelle sue commedie e definisce la sua scrittura «selvaggia e labirintica». Si rimane in area meridionale con il siciliano Franco Scaldati, che sviluppa una scrittura fortemente legata al territorio, imbevuta di elementi catartici mossi da visioni purificatrici. Il drammaturgo condivide con altri colleghi l’esperienza dell’attività laboratoriale come fulcro e palestra per l’elaborazione di un linguaggio funzionale alla scena, diretto, senza fronzoli accademici. In modo non dissimile si muove Ugo Chiti, che dal 1983 guida la Compagnia Arca Azzurra Teatro, con la quale realizza spettacoli ispirati alla memoria e alle radici toscane, e fondati sul recupero delle fonti storiche poi rielaborate e collocate in un delicato equilibrio tra realtà e mondo fantastico espresso da situazioni corali. Come altri suoi contemporanei, anche Chiti negli ultimi anni ha abbandonato il dialetto per avvicinarsi alla lingua ufficiale. Si ritorna in area campana con Enzo Moscato, che adotta una lingua manipolata, in cui si intrecciano espressioni linguistiche colte e popolari, elementi dedotti dalla tradizione orale napoletana e dotte citazioni filosofiche. In qualità di scrittore regista e attore, l’autore del celebre Rasoi sostiene una concezione della «lingua corpo» svincolata dalla drammaturgia della testualità, secondo canoni ispirati alla lezione di Artaud. Il contesto culturale che muove il prolifico Giuseppe Manfridi è l’ambiente teatrale underground della Roma agli inizi degli anni Ottanta, dal quale si emancipa per ritornare al testo scritto in modo organico tanto da adottare la metrica dell’endecasillabo, a partire dal celebre Teppisti. Anche il lombardo Edoardo Erba sostiene che «un autore, per non essere astratto, deve fare i conti con la sua lingua di provenienza, anche se scrive in italiano». In questo humus convergono percorsi comici, onirici e grotteschi, come si nota nei testi più riusciti da Maratona di New York a Muratori, da Margherita e il gallo a Senza Hitler.

 

Autore quasi per caso, Antonio Tarantino muove i primi passi al giro di boa dei cinquant’anni e matura una scrittura potente, contaminata da vari dialetti in un impianto narrativo dominato da storie di diseredati, anche protagonisti storici primari come i terroristi del gruppo Baader Meinhof di Materiali per una tragedia tedesca oppure Antonio Gramsci collocato al centro del dramma Gramsci a Turi. Quanto sia importante il contributo degli scrittori meridionali per lo sviluppo della drammaturgia italiana è comprovato dall’attività del messinese Spiro Scimone, in coppia con l’inseparabile Francesco Sframeli. In quanto attore, la sua drammaturgia «nasce dal corpo» e la parola, imbevuta di elementi locali, «deve corrispondere a una nota musicale», che articola testi dominati dalla violenza subita dai suoi personaggi in bilico tra destino di sconfitta e ansia di riscatto. Il repertorio della palermitana Emma Dante, autrice attrice e regista, si enuclea da un impatto antropologico con la realtà e indaga i lati oscuri e violenti della famiglia che sul palcoscenico sono restituiti da una «gestualità scomposta ma pregna di significati». Infine Letizia Russo, giovane autrice di recente affermazione, spiega il suo particolare percorso formativo («sono capitata nel teatro per puro caso») e si sofferma sulla sua scrittura priva di punteggiatura e di congiuntivo, con cui affronta temi crudi e violenti come in Tomba di cani e Binario morto. Preziosa risulta la conclusiva testimonianza di Toni Servillo. Sorta di summa di tutte le esperienze raccolte nel documentato libro della Matarazzo, l’artista napoletano ripercorre la sua carriera avviata alla fine degli anni Sessanta con la fondazione del Teatro Studio di Caserta, spiega l’importanza del dialetto nella sua drammaturgia e illustra i suoi legami con Eduardo De Filippo e Raffaele Viviani.

 

Da questa coralità di voci raccolte in questo volume, corredato da un’Appendice iconografica con belle fotografie ricavate dagli spettacoli principali degli autori intervistati, emerge un quadro variegato in merito ai percorsi narrativi e alle connesse poetiche, sostanzialmente omogeneo per quanto riguarda la vitalità del dialetto e la tipologia dei personaggi attinti dalle zone problematiche e marginali della società. Su tutto domina una caratteristica: la forza del teatro italiano di dialogare criticamente con la società contemporanea, proponendo chiavi di lettura in grado di smascherare le ipocrisie, le contraddizioni, lo squallore.

di Massimo Bertoldi


La copertina

cast indice del volume


 



 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013