«Urgono testi impulsivi e generosi che accumulino documenti e testimonianze intorno agli attori che parlano attraverso il personaggio. Le opere degli storici, allorché si tratta di indagare le esperienze in corso, evitano infatti di approfondire la tipologia dellattore interprete». Con queste parole programmatiche Gerardo Guccini apre la Prefazione al volume di Maria Cristina Sarò, Maria Paiato. Un teatro del personaggio (p. 9). Si tratta di un indirizzo metodologico basato sullo studio delle trasformazioni espressive vissute dallartista teatrale nella sua tensione creativa quando modella il personaggio. Lattenzione cade sul cosiddetto «attore meticcio» (il termine è di Marco De Marinis, Dopo letà delloro. Lattore post-novecentesco tra crisi e trasmutazione, in «Culture Teatrali», autunno 2005, n. 13, p. 26), inteso come soggetto artistico che si fonda sulla «propria interculturalità multietnica […]», ossia con la sostanza del proprio vissuto dimenticato o sconosciuto. In merito Guccini cita gli esempi di Molière commediografo, in cui convergono le traiettorie dellattore, del manager e delluomo etico, e, per il teatro contemporaneo, Ermanna Montanari e Luigi Dadina, che, mossi dalla drammaturgia di Marco Martinelli, creano una sorta di circuitazione di analoghi profili da Rhu. Romagna più Africa uguale (1988) a I refrattari (1992), da Sterminio (2006) al recente molériano Avaro (2010).
La ricerca delle molteplicità delle identità culturali nelle modalità performative, del corpo e della parola, costituiscono il filo conduttore del volume di Sarò dedicato a Maria Paiato, frutto della tesi della laurea specialistica svolta presso il Dams di Bologna. La giovane studiosa assume un taglio monografico per raccontare lattrice veneta, a partire dagli anni Ottanta, segnati dalla frequentazione dellAccademia Nazionale DArte Drammatica Silvio dAmico e i primi passi mossi con Pino Quartullo e Roberto Guicciardini, per proseguire con il decennio successivo, quando partecipa a spettacoli diretti da Luca De Fusco, Antonio Calenda, Pierpaolo Sepe. Sostenuta dal supporto di unadeguata rassegna stampa, la ricognizione prende ora in esame una serie di spettacoli significativi, tanto per illustrare la carriera della Paiato quanto per portare alla luce lintreccio creativo e costruttivo dellattrice con lautore e il regista.
La messinscena de La Maria Zanella di Sergio Pierattini è il prodotto di operazioni svolte in sinergia. Scritto inizialmente in versione radiofonica per il Radiogiornale (Radio tre), fu riscritto in versione teatrale e debuttò al Teatro Argot di Roma nel 2002 per la regia di Maurizio Panici. Nel monologo la Paiato è una donna del Polesine, vittima dellalluvione del 1951, turbata da problemi psichici che la mantengono eterna bambina lontana dalla vita quotidiana ordinaria. In questa figura di delicata e turbata fragilità, la Paiato ritrova la sostanza del suo passato: «Quando ho studiato questo monologo – racconta – mi sono resa conto di quante cose ho osservato e registrato da bambina guardando i miei parenti, ascoltando le donne che le sere destate parlavano di nascite e di lune, di ricordi di guerra, di aneddoti comici… La Maria Zanella è tutto questo e anche lopportunità di fare “teatro” con la musicalità poco conosciuta del Polesine, delle campagne e del suo silenzio» (p. 77). Il recupero della memoria, caro al teatro di narrazione non si sviluppa attraverso la cronaca, affiora invece dal mondo della donna che, racconta, attraverso immagini di una mente lucidamente folle, paure e angosce causate dalla decisione della sorella di vendere la casa, devastata dallalluvione, dove Maria era nata e cresciuta. La Paiato, nata ad Occhiobello, si misura sulla scena con il suo mondo e i suoi ricordi, attinge dal suo dialetto ritmi e suoni della parola drammatica. «Io credo che La Maria Zanella sia un testo legato a me», dice infatti lattrice, che in un altro spettacolo cardine del suo repertorio, Un cuore semplice che Luca De Bei (anche regista) ha ricavato dallomonimo racconto di Gustave Flaubert, rivive una sorta di continuità dettata dalla tipologia della protagonista, una donna di campagna marcata dalla follia, devota e mistica. Si ricompone lempatia creativa tra attrice e personaggio, che ritorna anche ne Lintervista di Natalia Ginzburg, allestita da Valerio Binasco nel 2009 presso il Teatro Eliseo di Roma. La Paiato nella parte di Ilaria si affida ad un italiano parlato duttile e musicale, capace di esprimere il senso di una vita sospesa tra realtà e possibilità, segnatamente nella relazione con Marco.
Un teatro del personaggio, come recita il sottotitolo del libro, è quindi lattrice Maria Paiato, per la sua capacità di arricchire e talvolta deviare il soggetto teatrale nei rivi della sua stessa esistenza, nel mondo della sua sostanze di vita. E questo tratto fondante emerge con chiarezza dalla meticolosa e documentata ricerca della Sarò. Utili e complementari sono le Conversazioni riportate nella seconda parte del libro, perché riannodano lintreccio indissolubile tra lattrice, il regista Maurizio Panici e lo scrittore Sergio Pierattini.
di Massimo Bertoldi
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