La sezione “La prima stanza” del
n°568 di Bianco&Nero apre il fascicolo della rivista con leditoriale di Roger Odin, dal titolo È giunta lera del linguaggio cinematografico,
in cui lautore espone il tema del numero. Si tratta della possibilità di gran
parte dei telefoni cellulari di effettuare delle riprese, tema questo, che gli
studiosi intervenuti si propongono di analizzare nei suoi vari aspetti e
conseguenze, a partire dalla definizione di una “specificità” del mobile movie, che per Odin risiede in
primo luogo nelle condizioni di fattibilità del film. In quanto oggetto infatti
il videofonino permette lesistenza di film altrimenti irrealizzabili, come le riprese
effettuate in clandestinità o gli eventi inattesi, filmati perché chi li ha
girati semplicemente aveva un telefonino in tasca. Odin mette però in guardia
dal rischio di “perdita di senso” che lattuale proliferazione di immagini cui
il videofonino contribuisce, comporterebbe.
Doppia firma. Ontologia del mobile movie è il titolo dellarticolo di
Maurizio Ferraris ed Enrico Terrone, in cui i due autori
affrontano il tema del numero da un punto di vista filosofico, definendone una
sorta di ontologia. Attingendo al vocabolario heideggeriano, individuano i
tratti essenziali del videofonino in 1. Jemeinigkeit (il suo essere
individuale, personalizzato) 2. Zuhandenheit (il suo essere a portata di mano,
tascabile) 3. Befindlichkeit (la sua capacità di coinvolgere la dimensione
affettiva). Il videofonino rende il soggetto ovunque filmante e filmabile; tuttavia
la fotografia in bassa risoluzione, la luce ambientale, il suono esclusivamente
in presa diretta e la mancanza di montaggio, sono tutte caratteristiche che fanno
sì che il mobile movie della prassi
del cinema conservi soltanto linquadratura e anche questa con modalità
peculiari: lo standard del videofonino è infatti la camera a mano, mentre la ripresa fissa è
leccezione. Lopzione realista è al momento quella che prevale nellambito del
mobile movie, che nella maggior parte
dei casi è una sorta di “tranche de vie” in un unico piano sequenza,
eventualmente importabile in un sistema software di post-produzione. Secondo
gli autori il mobile movie individua
una specifica modalità di realismo, per cui levento ripreso e la persona che
lo riprende scrivono a quattro mani il testo del film. Di qui il titolo
dellarticolo.
Nellarticolo seguente, YouTube but iPhone: quanto sono
cinematografici i film girati con il telefonino? Jan Simons tenta di rispondere alla domanda sulleffettiva
appartenenza dei phone movies al cinema.
Lautrice ritiene che essi rappresentino un ritorno al cinema puro o al cinéma
verité in quanto molti di questi filmati, per lo più opera di cineamatori,
seguono la strategia del “point-and-shoot” (“inquadra e filma”), sostenuta dal
movimento cinematografico danese Dogma 95. Molti mobile movies sono una semplice registrazione di eventi, oggetti,
corpi e parti del corpo. La definizione di “pocket film” correntemente in uso
per questo tipo di immagini, da un lato si riferisce ai “film che si portano in
tasca”, visibili cioè sullo schermo del telefonino; dallaltra ai film girati
con la videocamera del telefonino. Ne consegue la riflessione sul fatto che non
tutti i film girati con il videofonino sono pensati per essere visti sullo
schermo del cellulare. Il mobile movie si delinea dunque come un concetto di
ambigua interpretazione, per cui film fatti apposta per il videofonino non
necessariamente devono essere stati girati con esso; mentre film girati con il
cellulare spesso non vengono distribuiti né visti tramite questo dispositivo,
ma messi a disposizione per la condivisione in internet. I mobile movies circolano così attraverso un gran numero di canali e
schermi, in cui si fondono con altri tipi di informazioni.
Rafael R. Tranche nel suo articolo Immagini portatili: dallo schermo al computer, si sofferma sulla
natura delle immagini girate con il videofonino: spesso mere registrazioni del
reale.
Una delle sue principali
applicazioni del camera phone sono
state la fotografia e il cinema di famiglia. Principale potenzialità del
cellulare è la sua capacità di trasformare il soggetto in testimone attivo, in
quanto si trova sempre in tasca. Sebbene lambito informativo sia quello in cui
risultano più efficaci le “immagini mobili”, tuttavia la diffusione in internet
ha incentivato il fenomeno del mobile
movie, attraverso micro-festival in rete. Resta però da chiarire se sia
opportuno parlare di cinema senza il supporto materiale, tecnico e stilistico
del cinema. Inoltre lobbligo della breve durata dei video – spesso imposto dai
vari festival – comporta lo stravolgimento della narrazione e il predominio
dellimperizia dilettantesca.
In Mobilscape: il circuito delle immagini nella cultura portatile, Laurence Allard propone una carrellata
su alcuni video girati col videofonino a la loro diffusione nel “mobilescape planetario”, ovvero in un
contesto di globalizzazione culturale.
Allard parte dallanalisi della funzione
sociale del videofonino in quanto oggetto ed evidenzia come in molte comunità
disagiate esso riscuota grande successo in quanto “tecnologia del sé”. Per i
ragazzi delle piccole e medie città indiane; per le donne africane dei Grameen
Village Phone, ad esempio, esso funziona come una tecnologia
dellindividualizzazione. Lo stesso vale in Europa per gli adolescenti
francesi, per i quali il cellulare riveste la funzione di un simbolo esponibile
della propria soggettività. Il telefono cellulare è però anche una tecnologia
di comunicazione e un dispositivo di sorveglianza, o meglio di “subveglianza”,
termine con il quale Steve Mann indica la vigilanza da parte del pubblico sui
sistemi di sorveglianza e le autorità che li controllano.
Poi i video girati con il
telefonino possono essere pubblicati sui social network e su Twitter o su
YouTube, attraverso la catena di produzione-diffusione delle immagini che
costituisce il mobilecape. Il
“comune” produttore di immagini diviene così al tempo stesso artista, critico,
diffusore e spettatore, grazie alla reversibilità dei ruoli consentita proprio dal
mobilescape. «Venduti come tecnologie
del sé, i telefoni cellulari
rivoluzionano il campo estetico».
Con larticolo Film “portabili”
in Cina, Paola Voci valuta la relazione
tra cinema e mobile movies nel
contesto della Cina contemporanea. In Cina i film girati con il videofonino
circolano soprattutto fuori dai festival riconosciuti, spesso scambiati tra un
utente e laltro, oppure pubblicati on line
sui siti di condivisione video o blog
personali. A favorirne il successo è la natura personale e personalizzata dei
telefoni cellulari, rilevante nellattuale contesto cinese, in cui si avverte
un pressante bisogno di affermare lindividualità sullidentità di gruppo. Attraverso
il telefonino si attua infatti una ridefinizione dello spazio privato come
insieme protetto e condiviso. I phone
movies sono stati inclusi nellarea di ricerca che si interessa al ruolo
avuto dai media nella diffusione dellattivismo tra i cittadini e nel
potenziamento della società civile in Cina; rimane invece inesplorato luso
creativo di tali immagini nel contesto del Paese.
Sia i video-attivisti cinesi, sia
le produzioni autoriali-amatoriali più artistiche, hanno portato i film fuori
dalle sale cinematografiche, in uno spazio privato «dove le soggettività sono
definite individualmente e interconnesse
tramite i media, e non più soltanto sottoposte al condizionamento
mass-mediatico».
In Un nuovo tipo di cinema? Alcune osservazioni preliminari sui phone
films, Alexandra Schneider
affronta il tema della rapida espansione dei phone films attraverso tre esempi specifici. Lautrice osserva come
la ricezione dellimmagine filmica stia cambiando, dal momento che oggi è
possibile un accesso ad essa potenzialmente illimitato. La produzione stessa di
immagini in movimento sta cambiando: i social network hanno infatti creato
nuovi pubblici e nuovi mercati, mentre lo spettatore è diventato un “prosumer”
(un produttore e un consumatore insieme) e la produzione di film sta diventando
una pratica potenzialmente aperta a tutti. Anche la struttura dei media sta
cambiando poiché oltre al formato dominante del lungometraggio di finzione sta
emergendo una grande varietà di prodotti e formati, come le clip diffuse su YouTube.
Gli spazi della cultura inoltre si stanno anchessi modificando: lubiquità
della visione di immagini in movimento o la circolazione di materiale privato
nei social network, intaccano infatti la tradizionale separazione tra pubblico
e privato. Il cinema dunque da mezzo di comunicazione “di massa” sta diventando
un medium appartenente a un insieme di
singolarità che agiscono in modo collettivo. Ecco allora che i phone films diventano simboli del
superamento nella società contemporanea dei confini tra professionale e
amatoriale, tra privato e pubblico, attivismo e contemplazione e infrangono le convenzioni
sui luoghi prestabiliti per la ricezione e la circolazione delle immagini in
movimento.
Chiude questa prima sezione del
fascicolo lintervista di Roger Odin a Benoît Labourdette, creatore e responsabile
del Festival Pocket Films al Forum des Images di Parigi. Il festival, nato nel
2005, è il primo dedicato ai film girati col videofonino. Lidea della
manifestazione scaturisce dalla volontà di indagare cosa e come cambierà le
nostre vite il fatto di avere tutti in tasca sempre a portata di mano una
videocamera in grado di fare riprese in qualunque momento. Lidea-madre del
festival è quella di proporre a chiunque ne abbia voglia di servirsi del telefonino-videocamera
per compiere un atto creativo. Si tratta di film “che non potrebbero essere
girati con una cinepresa, ma solo con un
videofonino”. Poiché il videofonino è una videocamera che portiamo con
noi indipendentemente dalla nostra volontà, ne consegue che latto del filmare
possa verificarsi in qualunque momento.
Labourdette parallelamente al festival organizza durante lanno dei laboratori
pedagogici per insegnare il linguaggio delle immagini: un lavoro indispensabile
nella società odierna, in cui chiunque può realizzare immagini e diffonderle.
Odin conclude lintervista chiedendo a Labourdette di soffermarsi sui film che
egli stesso realizza con il videofonino.
La seconda sezione del numero di
Bianco & Nero, intitolata “Figure”, ospita un servizio fotografico di Giusy Calia, fotografa e videoartista
formatasi alla John Kaverdash School di Milano. Dal commento alle immagini di Lucia Cardone (nellarticolo intitolato
Non
ora, non qui. Foto di Giusy Calia) emerge come cinema del passato e del
futuro dialoghino nelle immagini realizzate dallartista. Sullo sfondo di
vecchi binari in disuso di un deposito abbandonato nei pressi di Alghero,
appare una figura femminile dagli occhi bistrati, che sembra uscita da un
vecchio film muto, intenta a guardare dei video sul suo iPhone.
Chiude il numero della rivista la
sezione “Documento”, con larticolo Spalle
al pubblico. Lyda Borelli tra cinematografo e teatro, in cui Mattia Lento prosegue sulla strada
iniziata da Gerardo Guccini e Cristina Jandelli, per precisare il
rapporto tra attività teatrale e cinematografica nel “diva film”, prendendo in
esame il caso specifico di Lyda Borelli.
Lautore si propone di dimostrare che fu proprio il cinema a consentire
allattrice di avvicinarsi stilisticamente ai grandi interpreti teatrali dellOttocento
e permetterle di ottenere unanaloga libertà creativa, economica, gestionale e
autoriale. Lento conduce la sua ricerca basandosi sul raffronto dei carteggi dellattrice
conservati al Burcardo di Roma e allIstituto Campano per la Storia della
Resistenza “Vera Lombardi”, con quelli pubblicati dal Mics di José Pantieri. Segue
lanalisi epistolare un confronto tra lattività della diva cinematografica e
quella di Adelaide Ristori: se questultima è considerata una pioniera della moderna
organizzazione teatrale industriale, la Borelli benché non direttamente
impegnata nella struttura produttiva della Cines era senzaltro cosciente degli
aspetti organizzativi legati a un film. Inoltre accomuna le vicende
professionali delle due artiste lattenzione al personaggio, perno attorno al
quale ruotava la performance del Grande Attore ottocentesco. Correda larticolo
di Lento Latto di nascita di Lida
Isabella Cesarina Borelli, riportato sia in trascrizione che mediante il
fac-simile del documento originale.
di Elisa Uffreduzzi
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