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Revue d’histoire du théâtre, n. 2, avril-juin 2011


n. 2, avril-juin 2011
ISSN ISSN 1291-2530

Si apre con un dossier dal titolo curioso, Le cheval et la gloire dans le spectacle vivant, il nuovo numero della «Revue d’histoire du théâtre». Cavallo e scena, dunque: un binomio poco investigato. Eppure di carne al fuoco ce ne sarebbe come dimostrano Mario Longtin, Isabelle Martin, Brigitte Prost e Valérie Nativel nei rispettivi contributi, che svariano in un arco cronologico compreso tra il Medioevo, l’Illuminismo e gli anni Ottanta del secolo che ci è alle spalle.

 

La partecipazione attiva del cavallo nei Mystères francesi tardo-medievali e primo-rinascimentali è al centro dell’articolo di Mario Longtin, finalizzato a una prima ricognizione delle funzioni e dei significati dell’animale in questo tipo di rappresentazioni, nonché alla riconsiderazione critica dello spazio scenico nelle scene equestri.  

Isabelle Martin indaga il rapporto del cavallo con «le spectacle vivant» all’epoca dei Lumi, quando una mutata coscienza civile riabilita i diritti degli animali anche a livello giuridico. Una nuova sensibilità che slitta anche nella percezione che lo spettatore ha del cavallo in scena: un “attore” vibrante di sentimenti e padrone del proprio corpo, oppure un giocattolo-burattino in balia di chi lo cavalca? un “protagonista” di cui ammirare l’intelligenza, o il riflesso della gloria del suo eroico condottiero?     

 

Nel 1985 alla MC93 Bobigny di Parigi va in scena Le misanthrope per la regia di André Engel. Novità dell’allestimento, la dislocazione del classico molièriano in campagna, in un allevamento di cavalli. Brigitte Prost fa il punto sullo spettacolo (animato dalla presenza in scena di quattro destrieri). In appendice si legge un’intervista al regista dove, tra l’altro, si parla della gestione degli animali in palcoscenico e del loro rapporto con gli attori.    

Da Le misanthrope a Hamlet di Shakespeare, nell’allestimento di Patrice Chéreau, anno 1988. Valérie Nativel mette a fuoco un’altra tappa significativa del binomio cavallo/scena e proprio il quadrupede (che Chéreau fa avanzare solitario nel cortile del palazzo dei papi a Avignone) risolve l’annoso problema drammaturgico di come rappresentare lo spettro del padre di Amleto.

 

Fin qui il dossier. A seguire, nella seconda parte della rivista, un contributo di Michèle Sajous d’Oria sulla fortuna delle Liaisons dangereuses (1782) di Laclos, fonte d’ispirazione per altri romanzi e drammi sentimentali e talora oggetto di veri e propri plagi. È il caso di due pièces scritte a mezzo secolo di distanza l’una dall’altra: Le Danger des Liaisons (1783) di Madame de Beaunoir e Les Liaisons dangereuses (1834) di Ancelot e Xavier, caratterizzate da una prospettiva moralizzante responsabile di tagli significativi. Si pensi alla scomparsa dei due eroi negativi. 

 

Julie de Faramond indaga invece l’impatto sulla scena francese della tournée parigina di una compagnia di attori inglesi, tra il settembre 1827 e il luglio 1828. La recitazione emozionale di interpreti di razza come Edmund Kean, Charles Kemble e William Charles Macready, e soprattutto della diva Harriet Smithson, risvegliò in Francia il settecentesco e mai sopito dibattito sui limiti della decenza (la cosiddetta “bienséance”), sortendo ben altri esiti nel mutato contesto sociale.

 

Infine, Roger Klotz pesca nella raccolta Historiettes et Proverbes di Eugène Scribe un piccolo racconto dalle sfumature dichiaratamente autobiografiche, Judith ou la loge d’opéra, che si segnala soprattutto per la descrizione dell’Opéra di Parigi (e del suo pubblico), filtrata attraverso uno sguardo (auto)ironico che preannuncia Zola. 

 

Chiude il fascicolo il consueto spazio dedicato alle recensioni di libri e riviste (pp. 211-216).

di Gianluca Stefani


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