Manuscrits du théâtre et de lopéra è il titolo del dossier al quale è dedicato il nuovo numero monografico della Revue dhistoire du théâtre. Un carnet di studi concepito nellambito di un ambizioso progetto che, a partire dalla collezione Manuscrits modernes dellUniversité Paris 8 (a cura di Jacques Neefs e Béatrice Didier), si prefigge di censire, inventariare ed esaminare i manuscrits du théâtre, ossia quei manoscritti che non si limitano a restituire la drammaturgia nuda e cruda, ma che registrano un lavoro in progress fatto di aggiunte e correzioni, appunti di regia, integrazioni varie di attori, scenografi, perfino di suggeritori. Il tutto in una prospettiva intertestuale, nellottica cioè del confronto proficuo di documenti e materiali eterogenei. Un tentativo di superamento, ci sembra, di quella visione testocentrica che ancora ristagna in certe frange della storia per lo spettacolo doltralpe, nella consapevolezza che la messinscena teatrale è, prima di tutto, qualcosa di vivo, e il risultato di uno sforzo collettivo.
Nel primo contributo, Pauline Girard sceglie un originale punto di vista sullo spettacolo: la buca dellorchestra. Oggetto della sua indagine, la musica di scena negli allestimenti teatrali francesi dellOttocento, attraverso lo spoglio dei manoscritti conservati presso la Bibliothèque nationale de France, e in particolare di quelli racchiusi nel fondo del Théâtre de la Gaîte. È poi la volta del costume di scena, accessorio teatrale tuttaltro che “accessoriale” nelleconomia dello spettacolo fin dallantichità, in alcune fasi storiche addirittura princeps. Noëlle Guibert ne ripercorre la fortuna a partire dalletà moderna, con il teatro dei comici dellArte prima, con quello di Molière, Marivaux, Beaumarchais poi, soffermandosi infine sul ruolo-guida che lhabit esercitò nella riforma scenica attuata a cavallo tra Sette e Ottocento dagli attori Lekain, Mlle Clairon, Talma e sulle sue ricadute novecentesche.
Raphaëlle Legrand passa al microscopio lo spartito del Dardanus di Rameau (conservato alla Bibliothèque-musée de lOpéra), ponendo in evidenza le correzioni e gli aggiustamenti che segnarono il destino dellopera. Laccavallarsi delle notazioni direttamente appuntate sullo spartito da parte del direttore dorchestra ma anche degli altri protagonisti dello spettacolo (i musicisti, i cantanti, i ballerini, gli stessi copisti) apre una breccia significativa sulla realtà dialettica che anima il mondo del teatro, musicale e non solo.
Segue lincursione di Dina Mantchéva nelluniverso beckettiano, e in particolare in quello dei suoi quaderni di mises en scène. Dove si vede come alcuni di questi complessi manoscritti, relativi a capolavori quali Waiting for Godot, Endgame, Happy Days, Krapps Last Tape, non si limitino a registrare le fasi di gestazione di quelle opere medesime, ma evidenzino allo stesso tempo i germi di quella poetica minimalista destinata a sbocciare nellultima produzione del drammaturgo irlandese.
E se Marcio Müller si fa alfiere dellapplicazione metodologica della génétique textuelle al teatro, offrendone dimostrazione nello studio condotto sullAutour dune mère, prima creazione scenica di Jean-Louis Barrault (1935), Jean-Marie Thomasseau prende le mosse dalla presentazione in radio dellAtelier volant di Valère Novarina per riflettere sul “teatro di parola” e sul ridimensionamento dei codici drammaturgici cui esso conduce.
Infine, Marie-Françoise Christout, partendo da alcuni allestimenti di Cartel, Barsacq e Barrault, ricostruisce analiticamente il lavoro di questi registi ma anche del metteur en scène in senso lato, incrociando testi di natura diversa: libretti di regia, journaux de bord, corrispondenze, bozzetti scenografici, costumi, fotografie, articoli di giornale, e così via.
di Gianluca Stefani
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