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I sogni della ragione
La rappresentazione dell’altro nel teatro della Rivoluzione francese (1789-1794)

Arezzo, Bibliotheca Aretina, 2011, pp. 245, € 18
ISBN 978-88-903255-4-0

Se c’è un teatro negletto dagli studi specialistici, questo è il teatro della Rivoluzione francese. Scarsa, e per lo più datata, la letteratura scientifica che ha tentato non si dice di approfondirlo, ma quantomeno di inventariarlo sugli scaffali delle discipline dello spettacolo. Un silenzio protrattosi fino alle monografie di Giovanna Trisolini (1984) e di René Tarin (1998), che, con il convegno di studi organizzato a Vicenza in occasione del bicentenario della Rivoluzione (1989), hanno riportato sotto i riflettori un capitolo ingiustamente trascurato della storia del teatro.

 

Ed è utile non dimenticare, in una prospettiva contestuale, sia il “classico” volume di Mona Ozouf sulla festa rivoluzionaria (1976), che i contributi raccolti negli atti (a cura di Paolo Bosisio) del congresso internazionale milanese dedicato nel 1989 a Lo spettacolo nella Rivoluzione francese.

 

Il volume di Barbara Innocenti, uscito per le edizioni della Bibliotheca Aretina, offre un contributo a più livelli proficuo. Non solo e non tanto in quanto esso si pone come risarcimento di una lacuna storiografica; ché limitarlo a questo sarebbe riduttivo. Si pensi agli ambiziosi intenti dell’autrice, dichiarati fin dalla Introduzione, che si prefiggono la riconsiderazione critica e metodologicamente aggiornata del teatro rivoluzionario mediante il superamento dei pregiudizi che ne hanno deformato la visione.

 

Una “missione” tutt’altro che scontata. I drammi francesi degli anni 1789-1794, tumulati sotto il giogo del giudizio classicista ottocentesco, sono stati a lungo classificati come mostri privi di decorum e schiavi della stessa ideologia che li ha partoriti. Oppure, nel migliore dei casi, sono stati liquidati come curiosità da mettere agli atti e dimenticare in fretta. In breve: inquietanti «alterità», guardate a distanza non senza una punta di imbarazzo.   

 

Le cose non sono andate meglio nel corso del secolo che ci è alle spalle. Gli studi novecenteschi sono incorsi nella miopia di considerare il teatro rivoluzionario come un aspetto condizionato, uno dei tanti, della Rivoluzione. Un teatro “in funzione di”, come “riflesso di”: teatro di propaganda. Come se si potesse parlare di una regìa concertante e tentacolare (che in realtà non c’è mai stata). Come se i drammi scritti nei giorni caldi dei moti parigini fossero davvero ascrivibili a «pièces di circostanza», dettate dall’avvenimento del giorno, e non aspirassero a obiettivi più alti. Una trappola nella quale è finita per cadere la stessa Trisolini, il cui punto di vista sulla questione tradisce un’ambiguità di fondo dovuta a quegli stessi pregiudizi.

 

Merito non secondario dello studio di Innocenti consiste, dunque, nell’indagare analiticamente i rapporti tra letteratura drammatica e avvenimenti storici – tra fiction e realtà – alla luce della ricognizione di un contesto più ampio. Rapporti, quelli tra Storia e teatro, complessi, non univoci, contraddistinti dalla reversibilità. In sintesi, non è solo la Storia che agisce sul teatro, ma è anche il teatro ad agire (o a tentare di agire) sulla Storia.   

 

Ne deriva un quadro interattivo, multi-sfaccettato, nel quale il teatro rivoluzionario non è «effimero strumento propagandistico o specchio degli avvenimenti contemporanei», bensì «grande fucina di sperimentazione», volta alla creazione di un mondo nuovo sulle ceneri del mondo vecchio (ribattezzato in fretta “ancien régime”), i cui antichi protagonisti (gli aristocratici, il clero) sono gli “esclusi” e gli uomini nuovi (i rivoluzionari) gli “inclusi”. Un teatro basato sulla ricerca della verità. Che non si riconosce in un unico manifesto ma frantuma la propria identità in un arcipelago di prefazioni e avvertenze autoriali o la dilaziona nel decorso drammatico di singole pièces.

 

Non dunque i soli drammi (indicizzati in Appendice), ma le cronache, gli articoli di giornale, i pamphlets, le satire, i testi legislativi, costituiscono il solido tessuto documentario che sta alla base di questo studio. Una corposa messe di materiali eterogenei che, nell’ottica del superamento di un’ormai anacronistica visione testocentrica, e alla luce dell’intertestualità metodologica, risulta finalizzata alla ricostruzione rigorosa, puntuale del “dentro” e “fuori” scena di un teatro ancora parzialmente frainteso.

 

 

di Gianluca Stefani


La copertina

cast indice del volume


 



 
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