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L’Enfant qui meurt. Motif avec variations

A cura di Georges Banu

Montpellier, L’Entretemps, 2010, pp. 320, euro 26,00
ISBN 978-2-35539-117-0

Indagine insolita su un soggetto abbastanza consueto a teatro. La ricorrenza della morte dell’infante, nella drammaturgia di tutti i tempi, è continua e significativa. Questo lavoro di un gruppo di ricerca francofono, applicato a epoche e ambiti culturali diversi, dall’Europa all’Estremo Oriente, offre il resoconto di studi tuttora in corso. Una certa ridondanza, nei rilievi e nelle formulazioni, è presente nel complesso, segno delle costanti ineludibili, ricorrenti nella materia trattata: le circostanze, i moventi, le varianti funzionali all’effetto e all’estetica (il «motif avec variations», appunto) compongono un panorama di decifrazione comunque impegnativa. Gli autori infatti, consci della complessità del loro oggetto, lo aggrediscono a volte con strumenti ambiziosi e disparati; o lo sintetizzano nei dati più essenziali fino alla schematizzazione. Il tipo d’approccio è ora storicistico e documentario, ora teoretico, con escursioni suffragate da psicoanalisi e analisi testuale. Particolarmente stimolanti, se pure più rari, i casi esaminati partendo dagli obiettivi e dai risultati della messa in scena.

 

L’Introduzione e la Prefazione circoscrivono gli “orizzonti” dell’opera: Georges Banu disegna la struttura evolutiva del motivo centrale: «À l’origine de ce livre, une intuition: la mort de l’enfant comme motif récurrent. À force de revenir, il finit par se constituer en centre rayonnant [...]. Le noyau s’organise autour d’un personnage, l’enfant, défini toujours par son âge, sans identité propre ni biographie fournie, enfant voué à la mort » (p. 10). Nel percorso storico, il mutamento delle condizioni sociali determina il mutamento dell’angolo d’osservazione problematica; tuttavia, «la grande question qui surgit et à laquelle le théâtre doit se confronter est toujours celle de la représentation de l’enfant et de son meurtre. Peut-on se limiter au seul discours, ou doit-on se résoudre à représenter l’irreprésentable?» (p. 17). Ulteriore scelta metodologica, non usare l’iconografia, poiché «ce qui échappe à la figuration sur un plateau, ne pourra pas trouver convenablement sa place dans les pages d’un livre. Là où le concrete se dérobe, l’imaginaire se déploie» (pp. 17-18).

 

Véronique Perruchon insegue gli aspetti formali e significativi del soggetto, lungo alcuni testi: da Sauvées a Pièces de guerre, di Edward Bond; da Curlew River di Benjamin Britten a Médée Kali di Laurent Gaudé e a Getting Attention di Martin Krimp. Bond è l’autore di spicco in questa rassegna esemplificativa. «Symboliquement et de manière conceptuelle – conclude la studiosa - faire mourir l’enfant c’est un peu achever l’œuvre en ce sens que la mort de l’enfant est révélatrice du processus de création» (p. 38), sottolineando la drammaticità congenita all’evocazione. Un «approche psychanalytique» offre Serge Reznik, avvalendosi del concetto di «catarsi» secondo Freud e Breuer, applicato agli esempi di Medea, Edipo, Macbeth ed Eyolf. Nel campo del cinema, interviene Marc Duvillier a notare le fasi in cui il motivo è «reporté, occulté, fantasmé». Le arti figurative sono interrogate da Pierre Dalmas. La mostruosità attinta dal mito inizia con Medea di Euripide, opera studiata da Claire Lechevalier nella sua «portée politique et antrhopologique» (p. 65) e il raffronto coinvolge Ino e Clitemnestra. I contributi si raggruppano in Le sacrifice de l’enfant: rituel et stratégie. Pierre Letessier si dedica al Thyestes di Seneca e Gilles Declerc, alla figura di Astianatte in Troades, prendendo spunto dai disegni di un’anfora greca. Una pièce kabuki di Sôsuké Namiki, rappresenta un tipico “sacrificio per sostituzione” nel saggio di Naoko Kakizaki. La serie continua con Le massacre des innocents (Stefana Pop-Curseu) e una situazione da «commedia tragica» è colta in Conte d’hiver, di Shakespeare (Catherine Treilhou-Balaudé). La condizione infantile che nei drammi di Ibsen fa registrare una moria, è giudicata “ecatombe” da Jane Dziwinska; ne deriva la coppia «enfant charnel-enfant métaphorique» (p. 136), individuata nel libro scritto da Théa e Lövborg in Hedda Gabler. Georges Banu analizza il senso della morte di Gricha nel Gabbiano di Cechov. Il simbolismo in Maeterlinck, la situazione melodrammatica nelle rappresentazioni dei Teatri parigini del boulevard, la pittura nel XIX secolo, sono argomenti in  seguito sondati; mentre Médée Kali, dramma di Laurent Gaudé, è oggetto di un’Intervista con l’autore. L’esperienza di regia per l’opera Sumidagawa, di Susumu Yoshida, vissuta dal regista Michel Rostain, origina un racconto emozionante. Poi gli studi si soffermano su testi e produzioni via via più recenti. Diverse pièces di autori oggi dimenticati, accanto a opere testimoni di conflitti più vicini, concorrono in Symptôme social et discours politique: De Tolstoi à Gladkov, di M.-C. Autant-Mathieu; indi, compaiono autori più noti, quali William Faulkner, Franz Xaver Kroetz e Sarah Kane. La trattazione dell’opera di Edward Bond dà luogo a Tavole comparative degli eventi luttuosi rubricati e studiati nella loro specificità (pp. 235-41). La Sezione Tuer l’enfance, infine, allinea studi su Victor, di Roger Vitrac, sul film La nuit du chasseur, di Charles Laughton, su Terre océane, di Daniel Danis, sulla “famiglia” in Joël Pommerat, su Wajdi Mouawad, sul ciclo Tragedia endogonidia della Societas Raffaello Sanzio, con riferimenti a Rembrandt e ad Artaud. L’uso dei mezzi scenici e gli effetti ottenuti in quel ciclo, evidenziano «une relation étroite entre le motif de l’enfant en état de mort paradoxale et le procédé par lequel Castellucci joue sur l’apparition et la disparition de l’image scénique, en suscitant l’exaspération des sens et l’impossibilité d’une interprétation univoque» (p. 306).                              

 

 

di Gianni Poli


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