Con Scena francese del secondo Novecento II. Antoine Vitez – Patrice Chéreau, Gianni Poli completa il dittico iniziato con il volume del 2007, riuscendo a mantenere inalterata leccellenza nella metodologia investigativa. La continuità della ricerca e limpostazione di fondo del lavoro lega indissolubilmente i due volumi luno allaltro, tanto che lo stesso autore in questa Introduzione (in cui tra laltro spiega il suo punto di vista, in merito al già detto sui due artisti) rimanda a quella precedente «soprattutto per le indicazioni metodologiche rimaste, coerentemente, invariate». Limponenza della bibliografia di riferimento, che prende in considerazione fonti primarie darchivio, scritti (inediti e pubblicati) dei due uomini di teatro, loro interviste, studi critici sia sulla loro opera che sui loro spettacoli, fonti audiovisive e tesi di laurea, continua a porre fondamenta robuste per il corpus del lavoro. Daltra parte, come sottolinea Michel Corvin nella Prefazione, il modus operandi di Poli si pone a metà tra quello umorale – tipico dei giornalisti – e quello erudito, in un approccio che, acquisendo ricchezza da entrambi, riesce pur tuttavia a rimanere scevro da troppo facili entusiasmi e da eccessivi virtuosismi tecnici, senza però minare scrupolosità e perfezionismo.
Scena francese del secondo Novecento II, come il precedente, ha una struttura bipartita e simmetrica, molto funzionale per il lettore e ben articolata in senso logico. Si è introdotti nelluniverso di riferimento a ciascun autore attraverso la trattazione dei Temi e problemi collegati – anche in termini di stato dellarte e contestualizzazione cronologica e concettuale – e delle Coordinate biografiche. A queste due sezioni seguono quella dedicata agli Spettacoli e i Bilanci.
Si riportano qui gli estratti delle due sezioni Temi e problemi relative a ciascun autore, seguite dalle Abbreviazioni e guida alla lettura.
ANTOINE VITEZ
IL REGISTA-POETA. NEL CORPO DELLE IDEE
Cherchez le petit
pour trouver le grand…
A. Mnouchkine, Aux acteurs,
pour ‘Les Ephémères, 2006.
1. Temi e problemi.
In una discendenza storica riconoscibile, sempre contraddetta e mai tradita, da Antoine a Copeau e Dullin, da Jouvet e Barrault a Vilar, la civiltà teatrale francese attribuisce ormai ad Antoine Vitez il ruolo di protagonista nella propria tradizione rinnovata. Il prestigio crescente del metteur en scène aveva forse ritardato lapprezzamento di altre essenziali componenti della sua figura di moderno umanista del teatro: attore, poeta e traduttore; saggista, pedagogo e direttore. La pubblicazione organica e pressoché completa dei suoi Écrits, vere Opere Complete in edizione critica, esaustiva se non integrale[1], consentiva, a breve distanza dalla morte, la prima conoscenza essenziale ed equilibrata della personalità e della sua opera. Ciò è stato possibile anche grazie allarchiviazione dei documenti resi disponibili allo studioso in misura, qualità e tempestività eccezionali [2].
È notevole come nel lavoro di Vitez si accompagni alla creazione scenica una continua riflessione teorica e una sistemazione critica. Così alla memoria visiva ed emotiva delle sue realizzazioni è accostabile il progetto precedente, per una verifica di intenti e risultati. Un certo carattere sistematico è rilevabile in tutta lopera, comprendente anche versi, saggi e traduzioni. A un dato momento della loro collaborazione, lautore belga René Kalisky raccomandò al regista di raccogliere i suoi scritti: «Dans tes mises en scène […] ton travail savance comme la fête […]. Mais tout ceci il faudrait le dire, lécrire. Pourquoi ne ferais-tu pas un livre sur le théâtre? Ce serait la fin des malentendus» (Lettre 10 février 1976, «Prospero», 1, 1991, p. 4). Assumono inoltre notevole sostanza le Interviste, alle quali lartista si è concesso con prodigalità, formulandole con precisione concettuale e formale.
Vitez homme de théâtre et écrivain. Du nombre de ceux qui comme lui sont lun et lautre, il est le seul à ne pas toucher au théâtre en tant quécrivain. […] Vitez homme de raison. Homme de certitudes et de provocation. Les convictions chez lui ne forment pas un socle, elles fusent comme autant de projectiles pour pousser plus loin la connaissance. […] Les contradictions ne le déchirent pas mais lalimentent – son combustible quotidien [3].
Un linguaggio prossimo più alla fisica e alla fisiologia che al gergo del palcoscenico distingue quello stile: nel suo segno di flagrante immaginazione, il Teatro (come la mente dellautore) è crogiuolo dellAnalogia, mediante la quale la materia delle idee, precipitata nel corpo dellattore, dà luogo alleventuale spettacolo. Rari, ma acuti e puntuali, i saggi francesi sullautore. Un bilancio a metà carriera, sotto forma di conversazione guidata dal Copfermann, è in De Chaillot à Chaillot (1981, 17-18), da cui risaltano i punti di svolta, come la creazione del Théâtre des Quartiers dIvry e la direzione di Chaillot. Un riepilogo di Teatrografia fu redatto nel 1981, seguente al contributo di Raymonde Temkine del 1977. Lanalisi della critica sullattività a Chaillot è fornita nel 1998: «Les chroniques théâtrales au fil des sept saisons passées par Vitez à Chaillot dévoilent bien comment il a pratiqué ‘la représentation critique de la réalitè» [4]. Anne Ubersfeld produce due monografie, nel 1994 e nel 1998. In Italia, eccettuate le recensioni a singoli spettacoli e leco della sua presenza passeggera (in una Mostra romana del 1984; lallestimento al Piccolo Teatro di Milano del Il Trionfo dellamore nel 1985), la figura di Antoine Vitez resta purtroppo sconosciuta, specialmente allultima generazione. La vicenda delledizione italiana dei suoi Scritti, annunciati in Antologia nel 1997-98 e mai pubblicati, aggrava un silenzio durato ormai ventanni [5].
Lesordio del regista con Électre (1966) è relativamente tardivo rispetto allinteresse per larte del teatro che risale agli anni Quaranta. A quellinclinazione aveva certo contribuito lammirazione del padre di Antoine per gli artisti del Cartel. Fotografo di professione, aveva fecondato nel giovane la sensibilità per le immagini e la loro elaborazione. Larte e la letteratura apparivano in famiglia come acquisizioni ed espressioni disinteressate, la cultura venendo intesa come valore in sé e non come mezzo di promozione sociale. La cifra distintiva del ragazzo è un grande amore, mai venuto meno, per le lettere e la poesia e una straordinaria inclinazione alle lingue. Nel mondo dello spettacolo, a cui savvia frequentando scuole di recitazione, cercherà la prima fonte di sostentamento con la pubblicità radiofonica; come doppiatore e comparsa cinematografica (CHA, 52).
De dix-huit à trente-quatre ans, jai essayé de faire du théâtre comme acteur sans y arriver et en désespérant dy arriver. […] Javais alors envisagé de continuer mes études de russe, pour être traducteur. Et cest à partir du moment où jai cessé de vouloir faire du théâtre que jai commencé à en faire (TEI, 225).
La traduzione, in particolare, diventerà permanente dedizione al testo, costante nellideale viteziano di messa in scena [6]. É importante inoltre la lezione di Tania Balachova, al cui metodo dinsegmnamento nasce una prima reazione originale. «Balachova paraissait à Vitez le modèle de lenseignement anti-intellectuel, qui debarassait lacteur de la tyrannie du sens» (AVP, 9). E il principiante attore, ben sensibile allimpostazione di Stanislavskij, tende subito a individuare una pedagogia propria, desunta dallincessante riflessione sul fenomeno attorale, assunto come base dogni esperienza creativa di palcoscenico. Frattanto, aveva iniziato a collaborare con «Théâtre populaire», proprio con un articolo sul maestro russo [7]. «Antoine Vitez est un marginal du théâtre – ha osservato Bernard Dort – […]. Sa marginalité singulière tient à ce quil a été, avant tout, un pédagogue» (ETE, 11). Il suo impegno in quel campo inizia con un atelier presso lUniversité du Théâtre des Nations nel 1965; dal 1966 al 1969 tiene corsi di «approche du texte» alla Scuola di mimo di Jacques Lecocq.
È interessante seguire e distinguere, a partire dal confronto con Stanislavskij, mediato dalla Balachova, fino alla rivelazione della convenzione secondo Mejerchold, levoluzione dellidea di Vitez sul teatro e sul suo determinante centrale, lattore. La Scuola si pone così immediatamente e continuamente oltre che come luogo ideale di apprendimento e trasmissione di sapere, come momento della creazione scenica. Infatti, prima viene la scuola poi la messa in scena, derivata questa da quella, in un processo non di filiazione dai precursori, ma di generazione daffinità ideale. Con «LÉcole est le plus beau théâtre du monde» (ETE, 237) il Maestro echeggia lideale di Charles Dullin, riportandolo a una più radicale coerenza creativa. Nellitinerario di Vitez insegnante (aspetto forse sfuggito anche allo studioso e allo spettatore attento, avanti luscita degli Écrits e dei filmati delle sue lezioni, alla Scuola consacrati) si incontrano, a partire dal lavoro presso Lecocq, le mete primarie e i procedimenti per raggiungerle, registrati diaristicamente:
Je me suis obligé à tenir ce journal au debut pour des raisons pratiques, comme on tient un journal de bord. Puis la forme a changé […]. Et cest aussi la nature de ce travail qui a changé. Au debut je pratiquais une sorte de thérapeutique de lacteur, ou plutôt du non-acteur se faisant acteur et mon travail reposait entièrement sur la notion dexercice; […] jai renoncé à lexercice pour lui-même […] cette dérive est lhistoire dune critique lente et pas toujours consciente de Stanislavski (ETE, 56).
Si afferma in quel passaggio la figura di un moderno umanista che si sente maître in un gruppo di attori, fra umiltà pedagogica ed esuberanza di vocazione; che dalla Scuola passa alla messa in scena con logica naturalezza, poiché appunto «cest lÉcole qui est la première». Linsegnamento infatti è inserito in un progetto che si riconosce provvisorio, metamorfico e relativo; che nellaspirazione al nuovo, allinaudito, attraversa lintera tradizione, perché non si dà ”conservazione” se non “critica”. Ne deriva il principio della «non-identification des acteurs aux personnages», fondamentale tanto nella didattica, quanto nella pratica della mise en scène. Per Banu, «Ce pédagogue écartelé» che si proponeva quale «maître dévoyé» tramite un «programme scandaleux», basato sulla gratuità, linutilità, votato quindi allinadempimento; eleggendo «lécole à règle monastique [… ]. Il reste sa fiction inaccomplie: lécole comme recommencement» [8]. Ne consegue un elogio dell immaturité come virtù, per cui il docente si sente accomunato agli allievi sia per la sua ignoranza sia per curiosità di ricerca. Pertanto, Vitez fu il vero successore di Jouvet: «Lui, le meyerholdien né, écrit une phrase qui le rattache à Jouvet dont il fut le véritable successeur, par-delà les nombreuses filiations quil sest constituées». Nello sviluppo viteziano, la concezione del corpo dellattore passa dalla dimensione poetica a quella epica - sempre per Banu - seguendo lanalogia fra scuola e marionetta, che comporta il pericolo del «corps manieriste», retorica della radicalizzazione corporea nellarte dellattore [9].
La scelta della «convention consciente», cui si alludeva, coincide dunque con la scoperta di Mejerchold, sentito in opposizione a Stanislavskij, nelleterno scambio fra naturalismo e antinaturalismo. E la scissione dellArte amata nei due aspetti inconciliabili di sperimentale e popolare, gli appare errata, quando dallinizio si chiede: «Y a-t-il deux théâtres?» [10]. Più tardiva, lattenzione a Brecht, che gli offre una concezione condivisibile per ciò che attiene allattore. In tempi di brechtismo ideologico o manieristico, dopo lallestimento di Mère Courage (1973), Vitez chiariva la propria posizione in unintervista: «Je nai besoin ni de le sauver, ni de ne pas le sauver, je nai besoin, moi, que de le traiter» [11]. Il confronto col drammaturgo tedesco prosegue nella corrispondenza con René Kalisky: «Il faudrait préciser ce qui concerne la distanciation brechtienne. Car ce mot est une traduction trop inexacte de Verfremdungseffekt. Il ny a là aucune idée de distance mais détrangéité – on aurait dit en ancien français destrangement: cest le sens du mot russe ostranénié, doù est tiré le mot de Brecht» [12].
Il titolo «Teatro delle Idee», apposto come assolutamente sintetico del suo sforzo, nella prima raccolta dei suoi Scritti, effettivamente risponde al disegno profondo, antico dellautore, conseguenza estetica ed operativa del suo pensiero. «Je découvrais le théâtre des idées», precisava lautore riferendosi alla lettura di Électre. Le Idee sorgono feconde nel creatore assieme alle Immagini emotive: «Lémotion cest lidée même», dichiara in unintervista filmata della maturità (Journal intime de théâatre, 1988. THE 2.91), escludendo lopposizione fra le due tensioni [13]. Analogamente sorgeva, significativa e sintetica, la concezione di un «théâtre élitaire pour tous», espressa nel 1968, ribadita nel 1972 e ripresa nel 1981 (ETM, 61, 69-70, 178) [14]. Finché a conclusione dellesperienza di Chaillot e in vista di quella al Français, Vitez sogna variazioni attorno a un «Grand Théâtre dExercice» (ETM, 186), a un «Musée imaginaire du théâtre» (ETM, 270) o a un «Théâtre dexpérience» (ETM, 311).
Sono poche e ravvicinate le tappe di un cammino piuttosto rapido di espressione ed acquisizione di moventi riconducibili a concreti e probanti risultati scenici. La morte prematura contribuiva a suggellare in Opera definitiva la carriera di un artista unico.
PATRICE CHÉREAU
IMMAGINE, RACCONTO, SCENA
1. Temi e problemi.
La vicenda artistica di Patrice Chéreau, da tempo ormai storicizzabile nel complesso, consente di osservarla quale fenomeno evolutivo articolato, comprensivo dellesordio del talento nativo e del suo sviluppo poliespressivo; di distinguere in essa crisi, deviazioni e affermazioni, fino a una probante maturità, precocemente e rapidamente conseguita negli anni Settanta. La presenza ininterrotta dellartista nellultimo decennio, richiede una considerazione della sua opera, unica nella sua evoluzione, fra i modelli più rappresentativi del mezzo secolo trascorso. Patrice Chéreau, lunico vivente fra quelli da me scelti e studiati, ne costituisce inoltre lesempio (con Mnouchkine e Planchon, fra tutti; escluso Brook, da considerarsi apolide) significativo nella continuità e nella latenza delle ulteriori prove sorprendenti. Problematiche e bilanci restano dunque aperti in questo caso, mentre è ineludibile un consuntivo finora sempre rinviato. Lo rende ancor più necessario lattribuzione del Premio Europa per il Teatro nel 2008, in concomitanza con luscita della prima monografia biografica [15]. La sua opera insomma, ovunque acclamata, non è certo adeguatamente studiata e valutata in Italia.
Nel decennio 1980-90, lartista simponeva da uomo di teatro che, sia mediante confronti memorabili con i classici (Ibsen, Čechov, Shakespeare), sia con lattenzione allautore contemporaneo (preso a modello in Koltès), aspirava a una scena totalizzante, sintetica delle restanti arti dello spettacolo, compreso il melodramma. La prosecuzione dellattività fonde eclettismo e fedeltà ai motivi essenziali, lasciando aperte verso il teatro, lopera e il cinema, le tre opzioni espressive complementari; non trascurando il contributo formativo per le nuove generazioni di attori.
Larte di Chéreau è apprezzabile nei caratteri riconoscibili in ogni sua manifestazione creativa, oltre che dallesame analitico di ciascun allestimento a confronto contestuale con la restante sua opera. Risultano comunque preziosi i testi programmatici e i numerosi (se pure spesso più diseguali e generici) documenti della riflessione teorica, riversata nelle frequenti interviste. Liconografia e la bibliografia più recenti riguardano preferibilmente cinema e melodramma, benché i suoi Archivi, depositati allIMEC dagli anni Novanta, aprano ormai allo studioso la disponibilità di un materiale, cospicuo, a partire dal lavoro iniziale. Essenzialmente concentrato sul lavoro di palcoscenico e sul suo risultato, Chéreau non si prefigge unidea di teatro univoca, quanto un obiettivo teso allassoluto, precisato ad ogni spettacolo. Le note tendono a scomparire, nei programmi di sala degli ultimi allestimenti ed è la sua visione a condensarsi in ritornanti immagini o strutture primarie, appariscenti e sfuggenti, definibili tramite il metalinguaggio, talvolta disagevole, dellallusione descrittiva. Fascino ed emozione, soprattutto a posteriori, ne segnalano la duratura influenza in una memoria accesa e reattiva presso gli interpreti della teatralità contemporanea. Loscillazione permanente va dalluso dello spazio allitaliana al ripudio degli strumenti di quella tradizione, per instaurare condizioni originali, a partire da un vuoto (o nudità) esposti quasi provocatoriamente. Così da ultimo si è avuto con Phèdre lanimazione di un spazio neutro cangiante, adattabile alle risonanze della drammaturgia classica; mentre con Così fan tutte, si riprova il gusto funzionale della boîte allitaliana, sia pure ricondotta a uno spoliamento insolito.
Le varie funzioni del suo linguaggio scenico, enfatizzate di volta in volta in qualche particolare saliente, miscelate secondo proporzioni variabili, riguardano però sempre lintera gamma delle componenti dello spettacolo. Lonnivora disposizione del regista era apparsa dal principio al Copfermann, intervenuto a proposito di Les Soldats: «Attore (ha il ruolo del conte Audy), regista, autore della versione scenica, della scenografia, Patrice Chéreau illustra con genio il tentativo di fare della regia una scrittura totale, quella per cui tutte le altre si trovano sistemate» (COP, 94). In seguito, lidea del regista-demiurgo sera avvalorata nella conversazione con Maria Grazia Gregori. Una posizione discutibile, sulla quale non manca la contestazione puntuale in un discorso più generale [16]. Così, una meta formale scaturisce sempre in Chéreau da una pulsione emotiva poeticamente motivata, circoscritta da unideologia, per confluire in un teatro dellillusione: «Non mi interessa molto che la gente si ricordi che è in teatro, per questo ho sempre utilizzato il teatro, come utilizzerò il cinema, in un certo senso come illusione» [17]. E in unintervista successiva:
P. C. Il fatto che gli attori siano vivi sul palcoscenico, accentua il fatto che si ‘racconti la storia di Re Lear o di Romeo e Giulietta. È lillusione peculiare del teatro.
G. C. Lillusione di un eterno presente.
P. C. Sì, ma è unillusione, assoluta... [18].
Propostosi quale creatore della scena al momento della più vivace polemica sul Teatro Popolare, inerente alla fase critica del T.N.P. di Vilar (sfociata nella stagione della politicizzazione della cultura nel suo complesso), Chéreau gode di uniniziazione allarte in genere e del teatro in particolare, in unatmosfera favorevole, a partire dallambiente familiare nel quale il contatto coi genitori dispone naturalmente a interessi privilegiati. «Ces années denfance se sont transformés en théâtre», ricorda Chéreau, precisando come alle esigenze del gusto corrispondano quelle dellapproccio creativo: «Si on trouve des solutions aux problèmes techniques au détour de ces solutions surgissent les grands lignes, les grandes idées du spectacle» [19]. La prima occasione di mettersi alla prova gli si offre frequentando il liceo parigino Louis-le-Grand, quando lo studente si inserisce nel gruppo teatrale amatoriale. Mentre si esercita traducendo Kleist, incontra Jean-Pierre Vincent, primo compagno di unavventura breve ma intensa, proseguita con ritornanti interferenze. La testimonianza dellamico-collega contribuisce a ricostituire un clima e un ambiente in anni decisivi:
Nous étions, comme on dit, une bande de jeunes. [...] Nous éritions. Une géneration magnifique nous précédait. [...] Nous les prenions pour modèles et pour cibles. La sagacité de Brecht... nous servait de levier dArchimède. Et aussi la lecture dAlthusser, de Barthes. Patrice multipliait les projets de mise en scène. [...] Cétait un style nouveau en France, très gymnastique, allegrement critique, drôle, au tempo très désarticulé [20].
Momento notevole daggregazione per numerosi gruppi teatrali, il decennio Cinquanta-Sessanta registra tentativi di ricerca e sperimentazione importanti, se nel volgere del decennio sorgono da quellambito figure teatrali eminenti. Dai primitivi sodalizi informati alla gestione paritetica e alla creazione collettiva, crescono e si impongono tra le altre – con quella di Chéreau – le personalità di Planchon, Mnouchkine e Vitez [21]. Frattanto, Jean-Louis Barrault viene nominato direttore dellOdéon-Théâtre de France (1959) e Roger Planchon, stabilendosi a Villeurbanne, consolida uno sforzo di decentramento esemplare. Chéreau allestisce nellambito studentesco L'Intervention, di Victor Hugo (1964), affiancato nello stesso spettacolo dalla prova di Vincent, Scènes populaires, di Henri Monnier. Lanno seguente, Fuente Ovejuna, di Lope de Vega, ottiene il massimo riconoscimento al Festival di Erlangen. Si allarga linteresse per Brecht, di cui Vilar ha creato Mère Courage e Arturo Ui. Ariane Mnouchkine esordisce con Gengis Khan di Bauchau nel 1961; collabora con Adamov allallestimento di Les petits bourgeois, di Gorkij (1964 ) e fonda il Théâtre du Soleil, improntandolo decisamente al lavoro collettivo. Chéreau, fra i giovanissimi e più dotati talenti, attira limmediata attenzione della critica, fra cui gli influenti Bernard Dort, Pierre Marcabru e Gilles Sandier. Convinto fautore dellanimazione culturale, accoglie con entusiasmo la proposta di verificarne lefficacia a Sartrouville, dovè chiamato dallAmministrazione municipale a gestire il teatro e le connesse attività.
Il est soucieux délaborer un service public à vocation culturelle [ ... ]. Il a vingt-trois ans. Encore frêle dapparence, il semble parfois douter de ses propres possibilités et sétonne que des Parisiens se déplacent et suivent ses représentations dans une banlieue lontaine [22].
Tre anni, dal 1966 al 1969, ricchi di produzioni di qualità (una ripresa di L'Héritier du village, la creazione di Les soldats, fino a Le prix de la révolte e Dom Juan ), si concludono con ingenti debiti finanziari, principalmente dovuti a ritardi nelle sovvenzioni. Il giovane direttore giunge così alla svolta decisiva del Sessantotto con la coscienza già acuita di un dissidio fra progettualità gestionale e istanze poetiche. Lutopia della “contestazione permanente”, sfociata intanto nelloccupazione dellOdéon, gli consente una reattività critica verso lesperienza, pure fruttuosa e formativa, appena vissuta. Tanto che la co-direzione del T.N. P. di Villeurbanne, alla quale sarà chiamato nel 1971 accanto a Roger Planchon e a Robert Gilbert, testimonierà una scelta di campo, non certo ideologica soltanto, con cui rivendicare autonomia creativa. In un diffuso autodafé, il regista reduce dallimmersione totale nellimpresa periferica, così tracciava il bilancio negativo, e tuttavia ricco di futuro, di quel teatro che
manquait dobjets politiques cohérents et sen étonna. Il ne lui resta bientôt plus quà mourir. Ce quil fit. Aujourdhui, loin de nous lamenter, nous disons que cette mort était saine, quelle était utile et nous la qualifierons dexémplaire [ ... ]. Quelle malhonneteté ! Notre confusion a commencé là ! Nous pensions que faire de l'action culturelle était une pratique automatiquement politique, que, lorsque nous allions dans les comités d'entreprises, notre combat pour la culture était en soi militant [...]. Ce lien entre culture et politique n'a jamais été théorisé dans les théâtres populaires [...]. Mais en nous offrant le plaisir délicat des rêveries humanistes, nous n'avions pas non plus créé un art exigeant: ce théâtre populaire n'avait pas non plus été un lieu privilégié de la recherche artistique qu'il aurait pu être [... ]. Les problèmes de la création y avaient été oubliés... on ne sy était jamais posé de questions sur les formes, sur ce qu'il fallait en faire, comment les créer et pourquoi [23].
La svolta è decisiva per lautocritica che suggerisce con coraggio un chiarimento di vocazione - senza misconoscere lopera di Vilar - seguita alla verifica sul campo della dichiarazione sottoscritta a Villeurbanne dalla riunione degli Stati Generali del Teatro.
Dans une période, doit-on le rappeler, dune extrème violence idéologique […] Chéreau trouve donc la lucidité dassumer la pleine ambiguïté de son lien à lhéritage culturel, de poser sa quête théâtrale avant tout comme une recherche artistique avec ce que cela suppose dindividualisme et dofficialiser le divorce de son art davec laction politique [24].
Tale esame di coscienza trova riscontro per analogia nella severa riflessione di Vitez sulla sua adesione al Partito Comunista. Bernard Poirot-Delpech rileva allora lallentamento della tensione popolare sostenuta da Vilar e denuncia un disimpegno che coinvolge Chéreau [25]. La situazione del momento, colta attraverso la drammaturgia, è illustrata da Bernard Dort, consapevole di come legemonia assunta dalla «concezione neo-marcusiana della cultura considerata come elemento di integrazione» trascuri il considerevole lavoro sui classici lungo un ventennio, per sfociare nellutopia di un cambiamento radicale. Pertanto, la stagione 1968-69 (“del rovesciamento” e non soltanto per Chéreau), fa registrare la rapida cancellazione dai cartelloni dei classici contemporanei, per fare spazio a inediti drammaturghi viventi. Proprio allora Chéreau, lasciata Sartrouville, apre la parentesi italiana al Piccolo Teatro di Milano, al lavoro del quale sera ispirato agli esordi. Lapplicazione della sensibilità ai metodi di lavoro e alle mete estetiche viene determinando la decantazione e latrofia di alcuni elementi distintivi del primo stile, quali la brechtiana “povertà” dei materiali, degli oggetti e dei costumi; la recitazione tesa, “espressionista”, sottolineata dal pesante maquillage degli attori e linsistenza su pochi temi-chiave, con la preferenza accordata alle figure rappresentative della crisi della borghesia, della quale lintellettuale si fa insigne rappresentante; in polemica non larvata con la scelta precedente del personaggio “eroico” presso Vilar.
Il sincretismo dei mezzi scenici e il processo di mise en abyme sevidenzia nel biennio italiano che comprende Splendore e morte di Joaquin Murieta, di Neruda (1970), Toller, scene di una rivoluzione, di Dorst (1970), Lulu di Wedekind (1972) con la digressione a Spoleto (XIV Festival dei Due Mondi, 1971) per presentare La finta serva, di Marivaux. Così, avendo iniziato ventiduenne a denunciare la precarietà della classe egemone (da Les soldats a Dom Juan ), a ventisette anni, non più enfant prodige ma professionista discusso e ammirato, Chéreau si dispone a condividere dieci anni di un teatro che nellinclinazione estetizzante riconosce la massima valenza “politica”. Davvero molto doveva avere contato lesempio di Planchon, catalizzando in lui una significativa controtendenza. Quando infatti nel 1972 il Théâtre di Villeurbanne aveva ereditato il marchio dellimpresa vilariana, Chéreau era riuscito a sottrarsi alla vicenda burocratica conseguente, rilanciando anzi rinnovate aspirazioni formali. Dopo la Finta serva e lannuncio del rientro, Dort notava: «Le talent de Chéreau nest pas en cause mais bien le tour, qua pris son travail. De plus en plus, quels que soient les auteurs quil choisit, Chéreau est tenté de senfermer, avec complaisance, dans ses propres fantasmes» [26]. Una lettura molto posteriore considera un “triplo lutto” da elaborare dopo gli scacchi subiti dallartista. Superato il periodo milanese, un altro “manifesto” segnala il progresso prefigurato: La mousse, lécume. Litinerario estetico procede in funzione dellideologia assunta:
Sil nemploiera jamais lexpression théâtre dart, sans doute pour lui ridondante, il ne perdra aucune occasion de se définir comme artiste et - surtout après son séjour à Milan - comme artisan du théâtre. [… ] Car Patrice Chéreau comme la plupart des metteurs en scène que nous relions au théâtre dart a voulu de sa prémière mise en scène inventer un passé à son geste artistique se choisissant des racines théâtrales, se dotant dune généalogie plus ou moins révée [27].
Quegli anni offrono uno spettro completo dellArte della Regia (Age de la représentation è la formula introdotta da Dort), attraverso una costellazione variamente accesa da fuochi artistici successivi. Iniziando con 1789, la Mnouchkine crea nel novembre 1970 a Milano uno spettacolo memorabile, per il successo del quale la leader itinerante per spazi extrateatrali, giungerà ad installarsi alla Cartoucherie di Vincennes (1972), mettendovi in scena 1793. La cité révolutionnaire est de ce monde. Poi con lÂge d'or (1975) insegue ancora la creazione collettiva. La parabola ascendente di Antoine Vitez, attivo al Théâtre des Quartiers dIvry, tocca i massimi contigui di Faust (1972), Mère Courage (1973), Le pique-nique de Claretta (1974), Phèdre e Partage de midi (1975), concentrandosi nella tetralogia di testi di Molière nel 1978. La capitale ospita frattanto, in atipico, fecondo isolamento, il lavoro di Peter Brook al Centre International de Créations Théâtrales, insediato al Théâtre des Bouffes du Nord, dove dal 1974 al 1990 produce un continuum straordinario.
Dallo slancio iniziale ai diversi esiti assoluti degli anni Settanta, è possibile una coerente interpretazione dei fondamenti dellarte di Chéreau, se non addirittura ricomporre una retorica di stilemi, moduli e canoni peculiari. Il lavoro immediatamente successivo, svolto a Nanterre dal 1982 al 1990, sarà in grado di mostrare, per conferme o differenze, il completamento di una vocazione definita nei suoi confini maturi e decisivi, attraverso la complementarità e laudacia di spettacoli quali Peer Gynt, Combat de nègre et de chiens, Les Paravents e Hamlet. La tetralogia koltesiana, in particolare (1983-1988) e le singolarità di Les paravents e Hamlet, ammettono più che una radicalizzazione di espressività o uninversione di tendenza, una maggiore complessità di interferenze fra codici e immagini, mezzi impiegati e visioni suscitate. Con laccesso alla nuova sede, le ragioni artistiche hanno molto influito anche sullimprenditorialità della gestione, dai rapporti col pubblico allattività della scuola di formazione dellattore. Ancora sotto legida istituzionale, si esalta il ruolo di outsider, del resto congeniale alla personalità di Chéreau. Ma non nel senso di un individualismo anarchico, fino alla deviazione da obiettivi definiti statutariamente con la co-direttrice Catherine Tasca, come è stato sostenuto da uninformazione parziale e acritica, purtroppo introdotta in Italia [28]. Al Théâtre des Amandiers, Chéreau trova un luogo «où lon utilise des techniques et des expériences de travail et de production nouvelles […] où les exigences artistiques sont primordiales, un lieu traversé par les autres et replié sur lui même». Più avanti, avvertendo il rischio della sclerotizzazione, trae un temporaneo bilancio: «Six années que Nanterre existe […]. Nanterre fonctionne à limpatience, mon impatience, en tous cas […]. Après six ans, il faut modifier certaines des règles du jeu si lon veut échapper à la sclérose» [29]. In quel Centro di ricerca e produzione, anche punto di raccolta e di confronto di esperienze straniere, attraverso ospitalità e collaborazioni a respiro europeo, vive una stagione di libertà, nella quale si ripresenta al creatore la “tentazione” cinematografica.
Se lequilibrio fra poesia del testo e sua immagine rappresentativa viene spostato verso obiettivi sempre più ambiziosi, sinstaura un nuovo sfruttamento dello spazio, mentre cresce la solidarietà con lattore nel riconoscimento dei suoi pieni connotati psicofisici. In tale ambito si situa il ricorso ad attori-monstres come Desarthe, Casarès, Piccoli, Maillan e la simpatia per vedettes italiane, come Alida Valli o Valentina Cortese, conosciute e apprezzate nel soggiorno precedente. Parallelamente, lartista dà adito a riserve sui risultati dellaccumulazione e della dilatazione nel trattamento dei testi “nuovi” di Koltès, affrontati alla stregua di quelli classici, in una sequenza dai rari precedenti. Il Théâtre des Amandiers resta connotato da una stagione intitolata al suo direttore (che vi produce ancora Quartett di Müller e uno spettacolo da Čechov, Platonov nel 1987), conclusa nel 1990, quando alla direzione subentra Jean-Pierre Vincent [30].
Quel periodo devoluzione generale e di intersezioni fra le maggiori personalità creative vede Lavelli alla conquista di un proprio spazio nazionale al Théâtre de la Colline. Il suo repertorio esaurisce Copi, con La nuit de Mme Lucienne (1985) e Une visite inopportune (1987). Vitez ha sostenuto la massima responsabilità al Théâtre National de Chaillot rappresentandovi Le triomphe de l'amour e Ubu roi (1985), L'Échange (1986). Georges Lavaudant, introdotto Le Balcon di Genet alla Comédie-Française (1986), diviene codirettore a Villeurbanne lanno seguente. Ariane Mnouchkine conduce, fino al 1992, un grandioso spettacolo multiplo sul mito degli Atridi, che ha attratto alla Cartoucherie pellegrinaggi di un pubblico fedele e cosmopolita. Chéreau, nuovamente transfuga dallistituzione, affronta Botho Strauss, con un allestimento di Le Temps et la chambre nel 1991. Lo stesso lavoro di Strauss lo vede subito impegnato nella versione cinematografica; indi si dedica al progetto di La Reine Margot, presentato al Festival di Cannes nel 1994.
Lungo gli allestimenti successivi, la poetica di Chéreau, colta fino allultima attualità, conferma il pragmatismo di un adeguamento del gusto a precisi obiettivi fissati occasionalmente. Se Phèdre ne è finora il coronamento, probante e contraddittorio insieme (mentre le letture-performances di Dostojevkij, Duras e Guyotat, non sembrano alterare lequilibrio mantenuto fra performance attoriale e quella del metteur en scène o del cineasta), leminenza del “demiurgo” è confermata fra i creatori di eventi “moderni”, che per il Lista comprendono lopera di Strehler (Cap. VII, La scène magnifiée, Lista, 1997).
Tracciato così un reticolo innanzi tutto cronologico, dapprossimazioni e confronti fra nodi estetici e circostanze operative - nel quale non tutti i dati sono riconducibili alle loro reciproche influenze - si possono individuare le costanti - in tendenze o acquisizioni vere e proprie - dellarte della scena secondo Chéreau. La puntualità delle recensioni, un certo ritardo di valutazione storico-estetica in prospettiva, lasciavano che il dinamismo dellartista anticipasse e spesso disorientasse il giudizio sullopera, fissata nei significativi e basilari contributi a cura dellAslan (Les Voies de la création théâtrale e della De Nussac (Nanterre-Amandiers. Les années Chéreau). Finché il riepilogo di Colette Godard ha risistemato il trajet completo dellautore, ammettendone limportante voce di commento a integrare dati comunque obiettivi. Così Patrice Chéreau consegna di sé il ritratto di un artista instancabile, ma che non ha lavorato per accumulare performances, né tantomeno per compiacersi di riconoscimenti e premi.
Il faudrait surtout, jaurais surtout envie de dépasser cette liste de spectacles […]. La vie dun metteur en scène, ce nest pas enquiller un projet après un autre, cest construire des ponts […]. Cest un métier, le mien, plus simple quon ne croit (GOD, 275).
Sapendo di restare in tensione, in cammino verso un traguardo ideale, riproposto anche nellultima confessione: «Jy arriverai un jour».
* * * * *
* Abbreviazioni e guida alla lettura (Antoine Vitez)
OPERE
TEI Le Théâtre des idées, 1991.
ETE Écrits sur le théâtre, I. L'École, 1994.
ET1 Écrits sur le théâtre, II. La Scène 1954-1975, 1995.
ET2 Écrits sur le théâtre, III. La Scène 1975-1983, 1996.
ET3 Écrits sur le théâtre, IV. La Scène 1983-1990, 1997.
ETM Écrits sur le théâtre. Le Monde, 1998.
CHA Conversations avec Antoine Vitez (De Chaillot à Chaillot),1999.
CRITICA
AVP A. Ubersfeld, Antoine Vitez, metteur en scène et poète, 1994.
ALB N. Léger, A. Vitez. Album, 1994.
** Abbreviazioni e guida alla lettura (Patrice Chéreau)
OPERE
ARR P. Chereau, Jy arriverai un jour, 2009.
CRITICA
COP É. Copfermann, Il teatro continua, in A. Lazzari, La traversée du désert, 1969.
TRE N. Treatt, Chéreau, 1984.
CHE O. Aslan (cura di), Chéreau, 1986.
MSP R. Temkine, Mettre en scène au présent. II, 1979.
NAN S. de Nussac (cura di), Nanterre / Amandiers. Les années Chéreau, 1990.
QUA F. Quadri, Chéreau, in Il teatro degli anni Settanta, 1982.
BDO B. Dort, A double tranchant, Chéreau, in J. de Jomaron, Le Théâtre en France, 1988.
GOD C. Godard, Patrice Chéreau un trajet, 2007.
Il riferimento fra parentesi nel testo rinvia alla scheda bibliografica completa dellopera, secondo la modalità: Autore, data pubblicazione, pagina. Labbreviazione, allopera e alla pagina.
[1] UnAntologia degli Scritti (a cura di Georges Banu e Danièle Sallenave) era apparsa appena postuma: A. Vitez, Le Théâtre des idées, Paris, Gallimard, 1991. Cfr. inoltre gli Écrits sur le théâtre, 5 voll., Paris, P.O.L., 1994-1998.
[2] Oggi i Fonds Antoine Vitez sono depositati integralmente presso lIMEC-Institut Mémoires de lÉdition Contemporaine. Abbaye dArdenne (Caen). Su tale base è condotta ledizione P.O.L. (a cura di Nathalie Léger). La Bibliothèque Nationale de France conserva i documenti relativi al lavoro presso il Théâtre National de Chaillot (1981-1988) e al Théâtre des Quartiers dIvry; la Comédie-Française, quelli relativi alla biennale amministrazione di Vitez.
[5] Cfr. G. Poli, Scena francese nel secondo Novecento. I: J. Vilar – J.-L. Barrault, Genova, Il melangolo, 2007, p. 16.
[6] Cfr. Le devoir de traduire. Entretien, «Théâtre/Public», 44, mars 1982 (TEI, 287) e G. Banu - D. Sallenave, De la traduction généralisée, Postaface a TEI, cit. Inoltre, CHA, 54.
[13] A. Vitez, Le Théâtre des idées (1986), TEI, 13. Cfr. G. Lascault, Théâtre des idées, théâtre des figures, «LArt du Théâtre», 10, 1989 e G. Banu - D. Sallenave (cura di), op. cit., 1991.
[15] C. Godard, Patrice Chéreau un trajet, Monaco, Éditions du Rocher, 2007. Il libro, comprendente inserti del Regista, riporta la sua prima ammissione dellomosessualità (finora intuibile o sospettabile), risalente agli anni Sessanta: cfr. p. 40.
di Gianni Poli
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