Laccurata ricognizione degli scritti teatrali (trattati, libelli, opere morali, lettere, opere drammatiche), operata da Ubaldo Floris, significativamente si divide in due parti: “Teatro negato” e “Teatro possibile”, in relazione da un lato alla condanna di certe pratiche attoriali e spettacolari da parte delle autorità religiose e civili della Francia del XVI-XVII secolo, dallaltro alla liceità di certe forme “epurate” di teatro, ammesse purché morali, rispondenti ai canoni di “decoro” che importanti trattatisti enunciarono compiutamente nel periodo preso in esame. Ma ancor più significativamente, la prima parte, quella di opposizione al teatro, è molto più ricca, in termini di pagine e di voci critiche, volte a riprendere la secolare tradizione che individuava nel teatro tout cour una forma sottile, subdola, pericolosa perché affascinante, di distrazione delluomo, del fedele, dalla vita virtuosa e dalle pratiche di devozione e carità e che aveva conosciuto nei Padri della Chiesa (SantAgostino in primis) i più alti ed insigni teorici.
La prima parte del volume è dedicata alla minuziosa e ragionata disamina dei pronunciamenti della Chiesa di Parigi nei secoli XII-XVII sul teatro, sulla danza, sulle attività ludiche e, soprattutto (forse il punto più interessante della trattazione) sulla figura dellattore. Floris analizza gli Statuti Sinodali delle più importanti chiese francesi (da Parigi a Lione) e alcuni decreti vescovili nel periodo preso in considerazione, tutti fermamente contrari alle rappresentazioni pubbliche di histriones, mimi, jongleurs, saltimbanchi e attori girovaghi, colpevoli di portare lascivia e impudicizia nelle regolate vite dei fedeli. Un aspetto importante è dato, in questi testi, dalla condanna della maschera e del travestitismo: elementi etico religiosi, come il timore delle trasgressioni sessuali, si legano indissolubilmente ad altri fattori, politico-sociali, come la confusione tra gli ordini sociali (la distinzione tra luomo e la donna, tra il signore e il reietto, tra gli appartenenti ai diversi ordini sociali, si basava prima di tutto su una caratteristica esteriore e visibile, come labito). Il rovesciamento burlesco e carnevalesco portava con sé quello, pericoloso, delle gerarchie sociali; per questo era fieramente avversato. Così come venivano processati coloro che andavano contro natura, sodomiti ed ermafroditi, colpevoli di turbare lequilibrio sociale e morale della società.
Il capitolo dedicato alla figura dellattore è particolarmente interessante, perché consente di avere un quadro esaustivo della considerazione che godevano in Francia a quel tempo i commedianti e i farceurs. Lattore veniva bollato come infame (secondo unatavica e secolare condanna), portava con sé un discredito non solo morale (era colui che invadeva il “tempo del sacro” e il “tempo del lavoro”, generando confusione tra due categorie, direi medievali, della vita del cittadino-fedele), ma anche unemarginazione formale e giuridica (non poteva ambire a cariche pubbliche); esisteva per lui la possibilità di riabilitazione, che doveva passare attraverso le “Lettres Patentes” del Re, ratificata, cioè, dal potere politico. Lopposizione al teatro da parte degli ambienti calvinisti, che trovarono un deciso esponente nel teologo André Rivet, con la sua Instruction Chrestienne touchant les spectacles publics (1639), si basava sulla considerazione che il mestiere dellattore era non solo spiritualmente ma anche materialmente improduttivo e che si potesse fare miglior uso dei termini tempo-denaro-lavoro. Si giunge, effettivamente, ad un paradosso: una società, come quella francese del Seicento, che ama il teatro, non riconosce lattore se non nella finzione, gli nega lesistenza come soggetto sociale. Leco delle parole di SantAgostino, emblematiche in questo senso, è viva e attuale ancora nel XVII secolo inoltrato: “donare quippe res suas histrionibus vitium est immane, non virtus” (In Epistulam Joannis ad Parthos Tractatus).
Ricche si presentano le sezioni dedicate allanalisi dei documenti di prima mano, come il divieto da parte del Procuratore Generale di Parigi del mistero del Vieux Testament, che i Confrères de la Passion intendevano realizzare nel 1542. Ne risulta che, oltre alla condanna “ideologica” da parte delle autorità religiosa e civile, ben altre motivazioni furono alla base di quel pronunciamento: lo spreco di denaro, prima di tutto, speso per lallestimento, la diminuizione delle elemosine e, non in ultimo, il rischio di intrusioni nei misteri di suggestioni protestanti e di elementi apocrifi. Occorrerà lintervento del re Francesco I, con una lettre patente datata 18 dicembre 1541, per consentire la ripresa dellallestimento. Importante anche lepisodio, indagato con minuziosa precisione dallautore, di una querelle tra gesuiti e calvinisti, svoltasi tra Lione e Ginevra nei primissimi anni del Seicento. I gesuiti, dopo la loro espulsione dalla Francia nel 1594, riammessi da Enrico IV nel 1603, seguendo una consuetudine prevista dalla Ratio Studiorum, organizzarono allinterno del loro collegio una rappresentazione teatrale, Le jugement universel. Un anonimo autore di fede calvinista nel 1607, pubblicando un Recit che condannava pubblicamente quello spettacolo, aprì una guerra condotta a suon di libelli e pamphlets, tra calvinisti e cattolici. Oltre ad accuse di carattere tecnico (troppi espedienti scenografici e troppi denari spesi per questo allestimento, che doveva essere a luoghi deputati), i calvinisti ne mossero una che ci riporta al carattere infamante, per gli attori, di una rappresentazione organizzata a fini di lucro. Il volume contiene anche unaccurata disamina circa lattribuzione al teologo André Rivet de La Verge au dos des fols, scritto fustigatore del mestiere dellattore, quasi un compendio delle secolari condanne rivolte dagli ambienti religiosi.
La pars construens riporta il dibattito francese dinizio XVII secolo sulle forme teatrali accettabili, quelle cioè dotate di verisimiglianza e quindi credibilità, quelle investite da aspetti etico-morali, prima di tutto nei moeurs (caratteri) e sentiments (pensieri) rappresentati sulla scena, fino ad un aspetto tecnico-formale, come il rispetto delle unità di tempo, azione e luogo. Aspetti che si troveranno poi nella ben più famosa querelle du Cid, in seguito al successo dellomonima opera drammatica di Corneille. Teorici come Chapelain, Scudéry (con lo scritto Apologie du Théātre), La Mesnardière puntarono lattenzione sul carattere morale che il teatro doveva avere: lazione drammatica poteva modificare lo stato psicologico ed emotivo dello spettatore, orientandolo verso comportamenti positivi (attraverso, ad esempio, la regola della “giustizia distributiva”, secondo cui ogni malvagità deve essere punita). Questo moto dellanimo è reso possibile dallactio dellattore, che sintetizza in sé, appropriandosene, le passioni del personaggio di cui interpreta il ruolo: tanto più li sentirà propri, quanto più riuscirà a commuovere e, quindi, ad edificare lo spettatore. Una capacità empatica che può essere sollecitata, oltre che dallattore, anche da un testo drammatico “persuasivo” e altamente morale nei suoi contenuti.
Un dibattito, quello riportato criticamente nel libro di Ubaldo Floris, che consente da una parte di vedere come molte idee otto-novecentesche sul teatro abbiano una traccia nel secolo XVII, e dallaltra di aggiungere in modo estremamente accurato alcuni dettagli allo studio delle vite degli attori in Francia, allinizio delletà moderna. Lo studio si pone come un esaustivo e ragionato compendio di teorie e prassi teatrali, proponendo un accurato metodo di indagine, puntuale, ragionato, preciso nellincrocio delle fonti, sicuro merito dello studioso recentemente scomparso.
di Giacomo Villa
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