Terzo cambio di veste grafica e impostazione nei sette anni della direzione di Leonardo Quaresima: "Bianco & Nero", la più longeva e blasonata rivista italiana di cinema, ci ha abituati, nei suoi settanta anni di vita, a tante sintomatiche trasformazioni, di cui lattuale è solo lultima di una lunghissima serie. Non più "rivista darte", quale era stata negli ultimi anni, segnata dalla presenza di Stefano Ricci come progettista della grafica e autore di tanti disegni, fra cui le copertine di svariati numeri; si torna a unausterità che la qualità della carta e delle illustrazioni rivelano da subito. Se ne avvantaggia il prezzo: da 45 a 15 euro.
Cambia la direzione scientifica (Sandro Bernardi, Paolo Bertetto, Roberto De Gaetano, Giorgio De Vincenti, Giorgio Tinazzi); si è dunque compiuto lultimo passo verso l"accademizzazione" della rivista iniziata ormai diversi anni fa. Questa trasformazione ha avuto come effetto un ruolo di sempre maggior prestigio conquistato nellambito degli studi di cinema: nellultimo decennio, in particolare, le migliori ricerche italiane vi hanno trovato ampio e documentato rilievo. Probabilmente per questa ragione non si è ritenuto necessario cambiare limpostazione generale, che nel fascicolo 563 ricalca quella degli ultimi anni con piccole varianti. Restano la parte introduttiva monografica (La prima stanza) e le Mappe (saggi e contributi di studiosi che espongono le loro ricerche), ma si fa anche avanti una nutrita sezione Documenti (qui riservata allavventura di Rudolf Arnheim in Italia) che, nella presentazione, il direttore spiega così: "Questultima scelta non mira a far prevalere unimpostazione storiografica o filologica, non punta a una applicazione privilegiata al passato delle energie e degli investimenti. Lobiettivo è semmai quello dellintegrazione tra riflessione teorica e indagine storiografica, è sulle modalità della ricerca e sulle prospettive di generalizzazione dei suoi risultati che lattenzione sarà sempre tenuta viva". Ne sono conferma le Mappe del numero.
Quattro contributi, tutti importanti. Il primo saggio, Arte, sensazione, spettatore di Roberto De Gaetano, ha una forte valenza teorica e riflette sulle due logiche del pensiero estetico occidentale, classica e romantica, dalla prospettiva delle teorie del cinema, ripercorrendo i testi classici di Epstein e le riflessioni contemporanee di Jacques Rancière cui lautore ha altrove dedicato studi approfonditi.
Gli altri tre saggi, tutti di giovani studiosi, si collocano invece sul versante della storiografia del cinema più aggiornata. Federico Vitella rilegge con accuratezza una stagione dimenticata dellopera di Michelangelo Antonioni, quella teatrale: la breve ma significativa avventura del regista con la compagnia "Antonioni-Sbragia-Vitti" allEliseo di Roma (1957-1958) è ripercorsa con lausilio di numerose fonti nella convinzione che in particolare il suo testo teatrale Scandali segreti, qui analizzato, costituisca una significativa anticipazione (e banco di prova) della trilogia dei sentimenti: "Diana e Vittoria sono evidentemente molto vicine ai personaggi femminili de Lavventura (…) e la stessa figura di Marco è chiaramente proiettata nel futuro". Al sodalizio artistico fra Nino Oxilia e Lyda Borelli per Fior di male del 1915 Irene Lottini dedica un altrettanto ben documentato studio sul muto italiano nel suo inesausto intreccio con le altre arti (soprattutto con la letteratura popolare dappendice), attraverso il quale si definisce con precisione il ruolo del nuovo tipo attorico incarnato dalla Borelli, unico nella capacità di interpretare le tensioni e le sconfitte della Donna Nuova di inizio novecento attraverso una fitta trama simbolica. A uno dei simboli per eccellenza del primo cinema italiano, il volo, Denis Lotti dedica infine una ricognizione esaustiva, dagli Icari del comico che si sposano al fantastico mélièsiano, alle tragiche guerre volanti degli anni Dieci, per arrivare alla "diva alata" per eccellenza, ancora una volta la Borelli, aviatrice nella vita e sullo schermo (La memoria dellaltro, 1914).
La prima stanza, dal titolo Anni difficili. Trittico veneziano, compone un altro tipo di affresco storico, ancor più ambizioso, dove alla discontinuità dei tempi fa eco la continuità del luogo, la Mostra del Cinema di Venezia, illuminata in tre momenti significativi del suo articolato percorso nella cultura italiana e internazionale. Luca Mazzei si muove in modo spregiudicato e originale fra storia e teoria partendo dallanalisi di un articolo del 1935, qui ripubblicato, del fondatore di "Bianco & Nero", Luigi Chiarini. Chiarini è sia teorico del cinema che artefice della sua prima storiografia, ma il contributo da lui reso alla definizione di un nuovo evento culturale del novecento (il festival) è forse ancor più decisivo nel definirne il ruolo strategico nella cultura cinematografica italiana. Dopo il minuzioso excursus di Ernesto G. Laura sullultima edizione della Mostra prima del successivo decennale silenzio, a cavallo della seconda guerra mondiale, ritroviamo infatti ancora Chiarini, ma nel volgere amaro e conclusivo della carriera, direttore della Mostra del Cinema nellanno della contestazione e delle sue definitive dimissioni. Nel saggio esemplare di Giacomo Manzoli Il carnevale di Venezia: 1968 si affaccia unaltra stagione della storia del cinema, quella della modernità, con i suoi miti e le sue rissose cecità. Salgono alla ribalta delledizione della contestazione, poi ripercorsa da unampia documentazione fotografica (Fototeca dellArchivio Storico delle Arti Contemporanee di Venezia) nel contributo di Silvio Celli Un Leone solitario, i nemici istituzionali di Chiarini e i contestatori – Pasolini, Zavattini, Ferreri – che accerchiano il professore fino ad esautorarlo dal suo ruolo. E la resa dei conti tardiva della società italiana con il fascismo, ma "non si avvertono motivi di particolare orgoglio per nessuna delle parti in causa". Manzoli riserva lepilogo del suo racconto a un "fuori campo" della tormentata vicenda Chiarini, riportando un ritratto controcorrente del direttore del festival. Carmelo Bene, a Venezia con Nostra signora dei Turchi, ebbe infatti a dichiarare: "Mi è simpatico perché è arrogante e perentorio, perché decide da solo ignorando i regolamenti e le proteste, perché non ha paura di sbagliare da solo, senza stare a coprirsi le spalle con le decisioni collegiali e le votazioni a maggioranza".
"Forse più a suo agio di chiunque altro nellatmosfera surreale di quei giorni", Manzoli definisce il Bene dellepoca. Ci appare proprio così, uno che se la gode. Sprofondato su una poltroncina, con aria compiaciuta e di sfida, tiene in mano, sbilenco, il suo trofeo (il premio speciale della giuria presieduta da Guido Piovene) nella bellissima foto di copertina della rivista. di Cristina Jandelli
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