Questo numero di «Theaterheute» si apre con un omaggio a Peter Zadek, regista di primo piano della scena tedesca e internazionale recentemente scomparso. Un attore, Gert Voss, racconta il suo rapporto artistico con il maestro, coronato da spettacoli di successo a partire da Herzogin von Malfi di John Webster in scena nella Deutschen Schauspielhaus di Amburgo nel 1985 e il cechoviano Ivanov presso il Wiener Akademietheater che ospitò nel 2000 libseniano Rosmerholm, per continuare, tra gli altri, con Der Jude von Malta di Christopher Marlowe nel Burgtheater.
Lintervento di Henning Rischbieter ripercorre la carriera di Zadek e sottolinea il suo contributo dato alla ricostruzione del teatro nel dopoguerra. Emigrato a Londra nel 1933, il regista di origine ebraica si formò presso la Old Vic School e nel1947 curò le sue prime messinscene (Salomè di Oscar Wilde e Sweney Agonistes di Thomas S. Eliot), per poi ottenere riconoscimenti internazionali con Les Bonnes e le Balcon di Jean Genet. Rientrato in Germania, lavorò a Colonia, Ulm, dove diresse The Hostage di Brendan Behan provocando polemiche e scandalo, poi a Brema, Bochum, Amburgo, Monaco, Vienna Berlino. Utile per approfondire litinerario creativo del regista è la rassegna stampa, formata dalle recensioni pubblicate da Theaterheute agli spettacoli ritenuti più significativi, quali Otello di William Shakespeare (Deutsches Schaspielhaus di Amburgo, 1976), Bygmester Solness di Henrik Ibsen (Bayerrisches Stattsschauspiel di Monaco, 1983), The Mercant of Venice del Bardo (Schauspiel di Bochum e Burgtheater di Vienna, 1972 e 1988), Lulu di Frnz Wedekind (Deutsches Schauspielhaus di Amburgo, 1988), Ivanov e Visnevji sad (Giardino dei ciliegi) di Anton Cechov (Akademietheater di Vienna, 1990), Hamlet (Wiener Volkstheater, 1999). Franz Wille espone il metodo di lavoro del regista che produsse allestimenti spesso scandalosi, a causa della spregiudicatezza con cui trattò i testi, e per via di un uso concettuale della scenografia con il ricorso a tecniche di montaggio scenico di tipo cinematografico, con le gag montate in sequenza.
Per quanto riguarda le novità prodotte dalla scena contemporanea, la rivista berlinese si occupa dellannuale Festival di Salisburgo. Dal ricco cartellone sono emersi allestimenti originali e di qualità. È il caso di Die Lichtprobe, monogramma di Daniel Kehlmann in cui lautore racconta il proprio vissuto come regista teatrale e cinematografico. Ha ben figurato anche Sebastian Nübling con il suo progetto Judith, intreccio drammaturgico dellomonimo lavoro di Frederich Hebbel con Juditha triumphans di Antonio Vivaldi, affidato allinterpretazione di Algelika Leuter, Sebastian Röhrle, Jonas Fürstenau, Anne Tismer, Tajana Raj, Dino Scanduriato. Hanno entusiasmato pubblico e critica André Jung, protagonista di Krapps Laste Tape di Samuel Beckett e allestito da Joss Wieler e Welcome to Nowhere di Kenneth Collins con il suo Gruppe Temporary Distortion. La compagnia olandese Dries Verhoeven ha scelto la reception di un hotel di Salisburgo come spazio scenico per linstallazione di You are here.
Nella sezione “Akteure” trovano posto il profilo artistico di Trangott Buhre, importante attore della scena tedesca contemporanea che salì alla ribalta nel 1985 interpretando la parte di Bruscon in Der Theatermacher di Thomas Bernhard, nellallestimento ideato nel1985 da Claus Peymann. Seguirono altre fortunate rappresentazioni teatrali ricavate dal repertorio dellinquietante drammaturgo austriaco e collaborazioni con registi di primo piano come Peter Palitzsch, Clauss Peymann, Hans Hollmann, Andrea Breth. Altro personaggio di rilievo è Matthias Pees, dramaturg a partire dal 1990 del Volkstheater di Berlino. Il contributo, firmato dallo stesso, ricostruisce le tappe essenziale della sua brillante carriera segnata da collaborazioni con Heiner Müller, Frank Castorf, Carl Hegemann, Christoph Schlingensief.
Il testo del mese (“Das Stück”) scelto dalla redazione di «Theaterheute» è Teheran 1386 di Claudius Lünstedt. Lopera è ispirata ad un viaggio compiuto dallautore nel 2005 nella capitale iraniana, come spiega nellintervista che illustra i contenuti della commedia. Emerge il quadro di una società raccontata da un osservatorio giovanile che vive loppressione della politica, religione e famiglia. Arricchisce la conoscenza della società iraniana lo scritto di Zoha Aghamehdi, giovane docente in servizio presso luniversità Humboldt di Berlino, e di Cameron Abadi, giornalista in esilio.
di Massimo Bertoldi
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