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Fabrizio Crisafulli

Luce attiva. Questioni di luce nel teatro contemporaneo


Corazzano (Pisa), Titivillus Edizioni, 2008, pp. 229, 20 euro
ISBN 978-88-7218-172-x

La luce illumina in maniera mai passiva, è ars combinatoria, specifica ruoli, assegna funzioni, collega relazioni. La storia del teatro del Novecento è anche la storia della riflessione che i suoi protagonisti hanno operato sulla parte che la luce assume nella costruzione della messa in scena.Con Luce Attiva. Questioni della luce nel teatro contemporaneo, Fabrizio Crisafulli offre dapprima una soddisfacente panoramica sulle interpretazioni che dell’uso della luce hanno dato i principali personaggi della ribalta novecentesca; la seconda parte del libro è invece dedicata a una esposizione sulla sua ricerca personale a proposito della "luce attiva".

La luce attiva può essere cosmo e luce azione, può dare vita a un’autentica drammaturgia, riguardare in maniera sostanziale l’organizzazione dello spazio e del tempo, "il senso e la struttura di un lavoro". Se la luce agisce sul senso e la struttura di un lavoro è innanzitutto azione. Se è illuminazione è raro che essa sia lì semplicemente per rischiarare la scena, in ogni caso si fa protagonista di una attività. Anche l’adozione di semplicità nella illuminazione può acquisire "connotazioni simboliche", rischiarare e tessere rapporti, aggiungere significati. La luce-illuminazione può essere intesa anche come "atmosfera", creatrice di un clima o di uno stato d’animo.

La luce è anche oggetto di visione. Grazie all’avvento dell’elettricità, all’influenza del cinema e della fotografia questa sua funzione si accresce e stabilisce nuove estensioni. L’impiego di specifici strumenti crea nuove forme e figure. Per Fortuny, Appia e Craig questa funzione della luce è stata "un fattore innovativo importante nel contesto della riforma dell’illuminazione scenica".

La terza modalità riguarda la luce come fonte, strumento e apparecchio. La luce ha qui un ruolo drammaturgico ben preciso. Come osserva Crisafulli "tale modalità, nel suo uso teatrale assume generalmente spessore quando le motivazioni alla base dell’importanza attribuita al mezzo sono coerenti con le scelte poetiche di fondo dello spettacolo; e quando la posizione dello strumento nello spazio, le sue ricorrenze nel tempo, le sue relazioni con le azioni sono organizzate in rapporto a questioni drammaturgiche, in maniera tale da configurare un ruolo dello strumento stesso". Vari e curiosi sono stati gli usi di questi apparecchi. Moholy-Nagy concepiva addirittura questi apparecchi come parlanti e cantanti, e non è stato l’unico.

La luce dotata di capacità evocative, strutturata in relazione alla impostazione registica o al contesto drammatico aveva bisogno di condizioni tecniche adeguate. Le idee di Appia, per esempio, furono realizzate molto in là negli anni, rispetto a quando furono concepite,dalla terza generazione della famiglia Wagner, grazie al maggior grado di evoluzione della illuminotecnica. Crisafulli opera una riflessione sui lavori di Josef Svodoba, Alwin Nikolais e Robert Wilson. Per Svodoba la scena e la luce erano elementi fortemente interrelati, appartenenti a un unico organismo. Egli sosteneva che l’uso della tecnologia dovesse essere funzionale allo spirito del dramma. Anche il coreografo Nikolais parlava, nel suo teatro di movimento, di interazione reciproca tra corpo, luce, proiezioni e suono. Il danzatore era un vero materiale visivo, in un’unica partitura acquistavano concretezza danza, immagine, luce e suono. Per il texano Wilson usare la luce per un uomo di teatro era come per un pittore usare i colori sulla tela. Con la luce Wilson modellava lo spazio e il tempo dei suoi spettacoli.

In Autoanalisi di una ricerca in corso Crisafulli espone la sua personale idea di luce nel lavoro teatrale. La luce deve avere lo stesso ruolo di sostanza vitale che la luce naturale ha nel mondo. Il ruolo della luce può essere diverso da spettacolo a spettacolo, ma è sempre partecipe delle relazioni. Si intreccia alle azioni, ai tempi, è componente fondamentale della scena. La posizione della luce si definisce in base ai testi e alle azioni. In lavori come Folgore lenta e Camera Eco, Crisafulli osserva che la concezione della luce ha attinto dai testi e i testi dalla presenza di essa. Nel teatro dei luoghi la luce risente delle esistenze precedenti, nasce dagli oggetti, dalle architetture, dalle presenze. La luce ha inoltre un ruolo fondamentale in una parte della ricerca di Crisafulli che è quella dei lavori senza attori. In una installazione come Sul Posto (1998), la luce trasfigurava le forme del ponte romano di Parma, creando una visione di notevole fascino, suscitatrice e ardente. Un altro momento considerato importante da Crisafulli è quello dell’attività laboratoriale, dove nascono idee utilizzabili in altri contesti. I laboratori mettono infatti in rilievo come alle forme, alle tecniche, alla luce si debba assegnare la funzione di materie vive, capaci di mettersi in relazione con tutte le altre componenti dello spettacolo. Crisafulli chiude il suo illuminante – è proprio il caso di dirlo – libro con un pensiero che sa di intento programmatico: "minore neutralità della tecnica; maggiore apertura degli attori verso le relazioni con quegli elementi, visti come entità capaci di costruzione autonoma e disponibili allo scambio".





Lucia Di Girolamo


Copertina

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