Anna Politkovskaja era una giornalista russa molto nota per il suo impegno sul fronte dei diritti umani, per i suoi reportage dalla Cecenia e per la sua opposizione al Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin. A partire dal giugno del 1999, impiegata presso la «Novaja Gazeta», scriveva critiche violente sull'operato delle forze russe in Cecenia, denunciava i numerosi, legali, atroci abusi commessi sulla popolazione civile, e pubblicava interviste "scomode": ora a ragazzi delle unità russe; ora a medici degli ospedali della capitale cecena, Groznyj; ora al Primo Ministro ceceno; ora ad alti ufficiali russi in Cecenia; ora a semplici civili e ora a terroristi ceceni. Dopo aver ricevuto per mesi minacce di morte, e dopo tentativi concreti di eliminazione, dopo essere stata calunniata dai giornali più potenti, e dopo essere stata definita «non-rieducabile» dal più autorevole membro dell'ufficio di Presidenza russo, Anna Politkovskaja, quarantotto anni appena compiuti, il 7 ottobre 2006, viene trovata morta - quattro colpi di proiettile, di cui uno alla testa - nell'ascensore del suo palazzo a Mosca. Per terra, rovesciati, nel sangue, i sacchetti della spesa che aveva appena fatto. Stava per uscire, sul numero successivo della «Novaja Gazeta», una sua inchiesta sulle torture in Cecenia. Il computer della giornalista - dentro tutto il materiale sull'inchiesta - viene sequestrato dalla polizia e l'articolo viene messo da parte: «non pubblicabile fino a data da definire».
Per molti, per quasi tutti, Anna Politkovskaja è «nata morendo»: ben pochi, infatti, in Italia come nel resto del mondo, sapevano della sua esistenza prima che venisse uccisa. Su una persona come lei - scrive Stefano Massini (Firenze, 1975) nella prefazione al suo «Memorandum teatrale» - «si possono certo spendere tante belle parole a titolo di non richiesto encomio-epitaffio, dichiarandosi in effetti folgorati dal suo coraggio inaudito o dalla tempra pressochè non scalfibile di testimone del suo tempo. Eppure mentirei se attribuissi a questo la ragione del mio interesse e la molla da cui è scaturito un testo teatrale. La beatificazione laica immediata è una pratica da rotocalco talmente diffusa - e sinceramente inflazionata - da non aver affatto bisogno di ulteriori sponde teatrali, la cui platea per altro non consentirebbe celebrazioni ecumeniche. No. C'era altro».
C'era soprattutto il fatto che i reportage scritti da Anna Politkovskaja, quasi fossero le tessere di un complicatissimo puzzle, riuniti tutti insieme, - secondo Massini - mostravano di avere un elemento in comune e venivano a formare una immagine unitaria: tutti i frammenti del vetro rotto russo-ceceno, infatti, «si ricomponevano improvvisamente sotto il nome di questa donna. - si legge ancora nella prefazione - In ogni tessera del mosaico lei cera». Fu testimone oculari di vari attentati dinamitardi a Groznyj, fu la prima a intervistare il ventottenne Primo ministro ceceno poco dopo la nomina, fu la prima a parlare delle torture e degli stupri sulle montagne cecene, fu la prima a denunciare pubblicamente fatti gravi di corruzione nell'esercito russo, fu incaricata di gestire le trattative con i terroristi del sequestro Dubrovka e di condurre, infine, in prima persona il negoziato in seguito alla vicenda della scuola di Beslan.
Anna Politkovskaja «c'era» sempre: seguendola nel suo irriducibile peregrinare - quasi fosse una torcia illuminata che si muove nello scenario nebbioso della situazione russo-cecena - ispirandosi ai suoi articoli e facendola perciò raccontare in prima persona, Massini ricostruisce un vero e proprio contesto storico: non tuttavia in una forma monologica convenzionale, bensì come se si trattasse di un «flusso di coscienza», di una poesia del silenzio fra le cui righe è possibile sentire il ritmo forte del battito cardiaco o di «un taccuino di appunti impazzito, con i fogli strappati e gettati in aria». Quello che ne viene fuori è un «memorandum», ovvero una vetrina in cui i fotogrammi non sono riattaccati in una «assennata pellicola consequenziale», ma mantengono i cromosomi di una «vorticosa frammentarietà». Un «memorandum» - diviso in ventun «capitoli», fra cui un «prologo» e un «epilogo» - che è nello stesso tempo «promemoria civile» e «riflessione sulla memoria».
Ecco apparire, allora, di fronte agli occhi di chi legge o di chi ascolta l'immagine di un mondo dove la polizia moscovita cattura e uccide i guerrieri ceceni, stacca loro la testa e la appende gocciolante - come monito e come trofeo - alle tubature dei gasdotti («Una testa, lassù. / Se ne frega che il gasdotto / dietro le sue spalle / corra via - veloce – verso est: lei sta immobile. / Ed ora gocciola. / Lentamente. / Precisamente. / Gocciola. / Gocciola. / Gocciola.»); un mondo dove i russi assoldano solo soldati orfani e spediscono in Cecenia truppe di giovanissimi mercenari che hanno l'ordine di uccidere almeno 3 o 4 ceceni al giorno e che sono abituati a fare il cosiddetto «fagotto umano» («si entra in un villaggio. - spiega, intervistato da Anna, il diciannovenne Saša - Si prendono 10 persone. Si legano. Strette. Con una corda. Ci si pianta in mezzo una granata. E si fa saltare. Bum. Ce l'hai una sigaretta?»); un mondo dove lo stupro è legale e le donne cecene, dopo essere state violentate dai militari russi o dalla guerriglia cecena, diventano «impure» e vengono abbandonate dai mariti («- Che fine fanno?, - Nessuna fine. - Restano così? Senza più nulla?, - In Cecenia è tutto così: sospeso. La gente non esiste: siamo corpi senza nulla dentro»); un mondo dove i cadaveri dei ceceni vengono buttati a decine nelle discariche, insieme alla spazzatura; un mondo dove gli attentati sono all'ordine del giorno («Chi non ha visto / coi suoi occhi / un attentato / non ne parli / perché non sa niente. / Chi pensa che il sangue a terra sia rosso / non parli perché non sa che è marrone, / quasi nero. / Chi pensa che un cadavere faccia impressione / non parli perché non sa di chi striscia, vivo, coi suoi pezzi…»). Un mondo che, dal Settecento a oggi, è un inferno perché la Cecenia - «zolla di terra, arida, / buttata fra due pozze d'acqua» - «non chiede autonomia: la pretende» e la Russia le fa la guerra perché non vuole dargliela, «per dimostrare a se stessa che controlla l'Impero».
Nei suoi reportage, nelle sue interviste, nei suoi articoli, nelle sue inchieste, Anna Politkovskaja non scrive mai commenti, né pareri, né opinioni: «ho sempre creduto / - e continuo a credere - / che non stia a noi dare giudizi. / Sono una giornalista, non un giudice e nemmeno un magistrato. / Io mi limito a raccontare i fatti». Subito dopo la strage di Beslan, la tempestarono di domande: «- Ci dica: secondo lei chi ha ragione, signora Politkovskaja?, - Prendere una posizione è intelligente, non crede?, - Chi ha torto signora Politkovskaja?, - I russi? O i ceceni?». Dopo aver camminato fra le fosse dei bambini morti, a queste domande, poste dagli "intelligenti", rispose così: «Dovrei prendere una posizione. / Perché prendere una posizione è intelligente. / Allora: vediamo. / Ecco: sosterrò i terroristi che pieni di eroina e marijuana / si sono presi 1127 ostaggi / in una palestra nel primo giorno di scuola? / O invece… sosterrò l'esercitò che ha usato i lanciafiamme / contro i bambini di dieci anni? / Vorrei chiedere agli intelligenti: / sulle tombe c'è scritto mai ucciso dai russi / oppure ucciso dai ceceni?».
Dopo aver corso il rischio - si legge nell'ultimo paragrafo della Prefazione - di assemblare i «broken glasses» in una «confezione più compunta», «dove la linearità del racconto vincesse sugli angoli taglienti delle schegge», in modo tale da ottenere una « navigazione più affabulatoria», Massini, alla fine, ha preferito invece «non sgrossare il materiale. Lasciarlo grezzo. Asimmetrico. Diseguale.»: comprende stralci di interviste, spezzoni di reportage, rivelazioni, confessioni, denunce, lettere. Il tutto riscritto con piglio documentaristico, antiretorico, antiaffabulatorio, con un «rasoio stilistico» che mira alla sostanza: «Oggettivare. Ripulire. Sezionare. Togliere. Togliere. Togliere. Tutto il resto è silenzio».
«Donna non rieducabile» è andato in scena, prima rappresentazione assoluta, al Teatro Manzoni di Calenzano, il 12 dicembre 2007. Interpreti: Luisa Cattaneo e Roberto Gioffrè.
Giulia Tellini
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