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Theatre Research International


Volume 32, numero 3 - Ottobre 2007

La figura di Peter Zadek, regista tedesco fra i più celebrati in Germania – nazione che nell’ultimo secolo ha posto i registi teatrali in uno spazio privilegiato – viene esaminata nel contributo di Marvin Carlson, Peter Zadek: The Outsider Who Has Come Inside. Malgrado Zadek abbia iniziato la propria carriera in Inghilterra ed abbia sempre cercato di posizionarsi al di fuori della corrente principale della Germania tradizionale – attraverso il proprio repertorio, le proprie dichiarazioni ed anche l’approccio artistico – risulta però figura centrale in patria. L’articolo si propone di analizzare questo paradosso, andando ad individuare quali caratteristiche dell’opera dell'autore abbiano attirato un seguito così devoto all’interno di una cultura mai riconosciuta interamente come propria.

Il secondo contributo è Sex, Violence and Censorship: London’s Grand Guignol and the Negotiation of the Limit, di Helen Freshwater, in cui viene esamniata la breve vita del Grand Guignol di Londra (1920-22). Questi acquistò una pessima reputazione: le sue rappresentazioni di omicidi ed altre violenze provocarono forti reazioni da parte del pubblico, della stampa e dall’ufficio del Lord Chamberlain. Il tema, poco frequentato dagli studiosi, viene indagato con il nutrito appoggio di  materiale archivistico, atto ad illuminare da una parte le reazioni del pubblico, rivelatesi spesso quasi di natura ‘fisica’, dall’altra la preoccupazione ‘ocularcentric’ del genere. L’articolo mette altresì a fuoco le definizioni di ‘valore’ date da censori, critici ed accademici, tutte basate sullo scritto di Focault A Preface to Transgression e sul lavoro di Georges Bataille.

Come si evince dal titolo, Sources of Pleasure in the Theatre of Hanoch Levin, di Zahava Caspi, cerca di identificare le fonti del piacere all’interno del teatro del più importante drammaturgo israeliano, Hanoch Levin. Il primo punto di indagine è il contrasto tra le messe in scena delle sue opere – considerate sgradevoli, irritanti ed anche repulsive – ed il fatto che i teatri registrino, comunque, il tutto esaurito. Altro punto è la posizione del teatro di Levin nei confronti delle risposte del suo pubblico, ed il saggio mostra come egli sia in grado di suscitare nelle platee sia consapevolezza intellettuale che risposte emotive. Emerge come l’autore da una parte non desideri in alcun modo mandare a casa un pubblico contento e purificato, e dall’altra non sia neanche interessato a fornire un’affermazione intellettuale della razionalità, della regolarità e dell’ordine del mondo.

The King and Us: Spectacle and Biography in Thai Epic Dramas è il contributo di Catherine Diamond. Il punto di partenza della sua riflessione è l’alto numero di film Thai, oltre che di drammi moderni e tradizionali, basati su figure significative le cui vite, sebbene abbiano influenzato il corso  della storia, si sono concluse drammaticamente. Alcuni lavori seguono un ovvio intento propagandistico, riflettendo gli sforzi per una ricostruzione culturale ed una reinterpretazione storica. Il saggio suggerisce che i lavori analizzati seguano una forma epica ed episodica, descrivendo l’intero scopo della vita dei protagonisti, invece che concentrarsi su di un singolo drammatico evento od esaminando un destino tragico.

Yoo Kim, nel suo Mapping Utopia in the Post-ideological Era: Lee Yun-taek’s The Dummy Bride prende in esame Dummy Bride, di Lee Yun-taek, il più prolifico ed influente drammaturgo coreano. L’opera è di considerevole significato per la ricerca da parte del teatro politico coreano di un nuovo idioma drammatico nella sempre più apatica era post-ideologica. Anche se la modernizzazione è stata un tema importante per molti drammaturghi coreani durante gli anni ‘90, l’esplorazione da parte di Lee affronta, invece, le relazioni tra la realtà sociale tradizionale e quella contemporanea; ciò che colpisce è la nota più politica sotto l’influenza di Brecht e di Artaud. Il suo inglobare un reame utopico dell’immaginazione nella vita quotidiana non offre uno stabile senso di risoluzione al pubblico. Allontanandosi dalla ‘decontestualizzazione e musealizzazione’ della tradizione egli va cautamente contro l’eccessivo ottimismo del teatro madang.

Carol Fisher Sorgenfrei nel suo Countering ‘Theoretical Imperialism’: Some Possibilities from Japan parte dalla seguente considerazione: quando studiosi di qualsiasi nazione diventano così orgogliosi della loro padronanza di concetti alieni da dimenticare o sopprimere la propria identità culturale, essi soccombono volontariamente all’ ‘imperialismo teoretico’. Il risvolto è l’arrogante imposizione, da parte di eruditi occidentali, di teorie create nel crogiolo di una cultura su altre culture, subculture o periodi storici con fondamenta filosofiche differenti. L’articolo propone molte teorie critiche giapponesi che modificano o fondono i concetti psicoanalitici ed estetici giapponesi ed occidentali- assumendo che possano essere applicati con profitto agli studiosi del teatro, della messa in scena ed anche a lavori originati sia in Giappone che altrove. La nuova prospettiva auspica un incontro di ‘entrambi/con’ che rispetti le differenze culturali senza renderle esotiche.



Carlo Lorini


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