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Piermario Vescovo

Il villano in scena. Altri saggi su Ruzante


Padova, Esedra, 2006, € 18,00
ISBN 88-6058-096-X
Con questo volume Piermario Vescovo aggiunge una nuova serie di saggi su Ruzante a quelli già precedentemente raccolti in un suo precedente volume (Da Ruzante a Calmo. Tra "Signore Comedie" e "Onorandissime Stampe", Padova, Antenore, 1996).

Nell’intervento da cui è ripreso il titolo della raccolta, Il villano in scena (usura e caritas), Vescovo mette in discussione la "vulgata" secondo la quale Ruzante sia partito dalle forme tipiche della satira antivillanesca per approdare "alla comprensione umana e sociale del contadino" e infine ripiegare "sul tecnicismo teatrale o sull’accademismo". Alcune considerazioni circa la cronologia delle opere di Ruzante spingono Vescovo a rifiutare la tesi di una "evoluzione" nell’atteggiamento verso il villano, a favore di trattazione diversificata della materia drammaturgica in adeguamento alle diverse occasioni e sedi di spettacolo.

Questa tesi unifica tutti gli scritti del volume scritti da Vescovo a partire dalla metà degli anni Novanta in momenti e su aspetti diversi dell’opera di Ruzante e pertanto necessariamente estranei al desiderio di "restituire a una linearità, forzatamente retrospettiva" i vari aspetti del suo teatro. Al contrario tendono a comporre una mappatura limitata, e per questo più onesta, delle esperienze svolte da un autore/attore in ambiti teatrali diversificati: da un parte l’ambiente cittadino che richiedeva una maggiore vicinanza alla commedia regolare, dall’altra quello della "villa" più raccolto e aperto dal punto di vista formale.

Gli scritti più originali del volume sono forse quelli in cui la conoscenza di Ruzante è messa a frutto per parlare "di altro", come nel saggio Villa e giardino come scena teatrale in cui lo sguardo dell’autore si allarga da Ruzante al rapporto tra teatro di città e teatro di villa o quello in cui si sofferma su petrarchismo e anti-petrarchismo nella commedia del Cinquecento. Lo stesso accade nell’articolo dedicato alla concezione del tempo e dello spazio nei testi teatrali di Ruzante, che viene inserita nella prassi di costruzione dei testi drammatici del XVI secolo.

Più strettamente legato al commediografo pavano è l’approfondimento sulla Lettera di Ruzante a Marco Alvarotto che pone il problema di cosa sia lecito considerare teatro e cosa letteratura. Nel caso di Ruzante, ma più in generale degli scritti di questa altezza cronologica, pezzi di teatro sono infatti mascherati dalla forma di missiva, mentre brani dialogici devono essere considerati composizioni destinate a rimanere su carta.

Completano la raccolta un saggio in cui sono individuati gli indizi che permettono di ipotizzare una genesi ferrarese per la Vaccaria e un articolo in cui vengono messi a confronto i ricorsi alla drammaturgia di Plauto in Ruzante e in Machiavelli.

Emanuela Agostini


copertina

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