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Giorgio Melchiori

Shakespeare all'opera. I drammi nella librettistica italiana


Roma, Bulzoni, 2006, pp. 158, euro 10,00
ISBN 88-7870-137-8

Nella bella collana, creata da Agostino Lombardo e adesso diretta da Nadia Fusini, questo libretto, composto da uno dei massimi anglisti italiani, Giorgio Mechiori, è di grande interesse per un largo pubblico, di studiosi, studenti e cultori della materia: non solo quella shakespeariana, ma anche quella operistica e drammaturgica, e in particolare quella verdiana. Avendo alle spalle uno straordinario lavoro di edizione, commento e traduzione delle opere di Shakespeare, Melchiori qui rielabora, approfondisce e arricchisce molte delle idee e delle analisi profuse in quella vasta impresa: si veda la cura dei volumi mondadoriani dei “Millenni” che raccolgono tutte le opere del classico inglese con testo a fronte (gran parte degli apparati di quella edizione confluiscono con un andamento saggistico in una ricca monografia edita da Laterza); ma si vedano anche altri interventi mirati al recupero operistico della tradizione shakespeariana  apparsi in sedi sparse.

Erede in parte di una tradizione dell’anglistica italiana, incarnata soprattutto da Gabriele Baldini che lasciò incompiuto un bellissimo lavoro su Verdi, poi edito postumo da Fedele d’Amico (Abitare la Battaglia: la storia di Giuseppe Verdi (Milano, Garzanti, 1970), Melchiori studia le affinità elettive dei due grandi autori, alcune sorprendenti comuni opzioni stilistiche, la continuità di una tradizione drammaturgica complessa. La cultura e la sapienza dello studioso di letteratura inglese vengono qui integrate da una attenta e curiosa divagazione nella storia del melodramma non solo italiano.

Fondamentale l’osservazione che muove da un comune rilievo della critica che individua nella versione 1865 del Macbeth il segnale di una svolta nella carriera del maestro italiano. Con la precisazione che però immeditamante segue (p. 102): ĞMa non è stata, come si dice comunemente, l’influenza di Wagner a suggerire questa evoluzione: è stata la scoperta di Shakespeare che, con l’aiuto di Arrigo Boito, porterà ai capolavori dell’Otello  e del Falstaff. Fu grazie a Shakespeare che Verdi acquisì una più precisa coscienza della natura del linguaggio drammaticoğ.

Macbeth, regia di Liliana Cavani, 2006
Macbeth, regia di Liliana Cavani, 2006



Il lavoro in cui più si esercita questo negoziato drammaturgico pare a Melchiori quel “fantasma di un’opera” (la definizione è di Mario Lavagetto) costituito dal travagliato, lunghissimo e incompiuto tentativo di musicare King Lear. Molte pagine (pp. 103-144) sono dedicate a questa Gestazione di un fantasma, osservata attraverso i carteggi e i rapporti con Salvatore Cammarano e Antonio Somma, impegnati con il musicista in un costante esercizio di drammaturgia a più mani che costituisce il pregio e il fascino modernissimo dell’officina verdiana.

Il resto del volumetto raccoglie analisi dedicate anche a Otello, Romeo e Giulietta, Macbeth. Parzialmente autonome dall’area di influenza verdiana sono le intelligenti e accurate osservazioni dedicate a Due Amleti italiani all’opera 1862/1961, dove si ricostruiscono i particolari dell’impresa tentata prima da Arrigo Boito e Franco Faccio (Genova, Teatro Carlo Felice, 1865) e poi da Mario e Lilian Zafred (Roma, teatro dell’Opera, 1961 con la regia di Luigi Squarzina) impegnati a ‘cavare’ un esito melodrammatico dal più difficile dei testi shakespeariani.




di Siro Ferrone


Otello

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