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Francesco Casetti

L'occhio del Novecento.
Cinema, esperienza, modernità

Milano, Bompiani, 2005, pp. 323, € 21,00
ISBN 88-452-3484-3
L’occhio del novecento di Francesco Casetti fin dalla sua uscita si è immediatamente segnalato per la capacità di aprire nuovi scenari nella ricerca degli studi sul cinema. Le spinte al rinnovamento metodologico che si dipanano all'interno del volume sono numerose, così come gli spunti di una riflessione che solo in parte è stata avviata, e che tale lavoro intende modulare su nuove occorrenze.

Tante sono le domande poste all’interno dell’ Occhio del Novecento che, forse più delle stesse risposte, permettono di aprire nuovi sguardi, nuove riflessioni intorno al cinema e ai suoi confini sempre più incerti.

Dietro all’affermazione che il cinema è stato l’occhio del XX secolo si cela immediato un ulteriore problema: che tipo di occhio è stato? Il cinema ha saputo stabilire una corrispondenza fra l’occhio della macchina da presa e quello con cui milioni di persone si sono guardate attorno. Non solo ha registrato gli avvenimenti e i sogni di un’epoca, ma ha anche «definito la maniera in cui andava percepito il mondo», offrendo schemi concettuali di natura non coercitiva, con i quali pensare nuove cose, guardare come mai era avvenuto precedentemente.

Il libro ha il merito di servirsi di una grande eterogeneità di fonti: dagli interventi di Canudo, Balász, Epstein, Delluc, Benjamin, Kracauer, a quelli di James, Panofsky, Lukàcs, Pirandello, passando per Gance, Vertov, Welles, Vidor, Antonioni e molti altri ancora. Le riflessioni di Casetti trovano sostegno in una rilettura e confronto sia di contributi teorici del cinema, anche di quelli meno conosciuti (si veda a proposito l’illuminante Thovez), sia di spunti provenienti da altre discipline (dalla letteratura, all’arte, alla filosofia), sia di testi filmici, privilegiando le opere più impegnate a riflettere sul cinema stesso. Nell’analisi dei film Casetti propone una interessante differenza fra i film appartenenti all’area del mainstream, votati alla ricomposizione delle opposizioni e dei conflitti, e quelli propri del cinema moderno, che riassumono su di sé la coscienza dolorosa di una totalità impossibile.

Casetti sottolinea come l’incontro fra modernità e cinema non si realizza in nome dell’identità, ma tra realtà viste nella loro dinamica composita e contraddittoria, che convergono e tendono a definirsi reciprocamente. In questa prospettiva il cinema è un medium (inteso come «ambito in cui una serie di sollecitazioni percettive e intellettuali vengono diffuse e rese disponibili a tutti») capace di raccogliere le questioni centrali del tempo per poi collocarle davanti a una platea generale e numerosa. Come medium è in grado soprattutto di mediare, di offrire compromessi, di trovare punti di incrocio. Il cinema opera dunque una continua e problematica negoziazione, realizzando una sintesi originale fra i vari elementi, siano essi di natura storica, culturale, tecnologica.

Il cinema, macchina collegata direttamente alle sinapsi neuronali degli spettatori, ha intensificato la vita nervosa del cittadino moderno, ha modificato le modalità di fruizione, ha favorito il sistema delle relazioni intermediali, ha creato una nuova geografia della percezione e dell’immaginario: non solo dunque ha mostrato delle immagini, ma ha definito come quelle immagini dovevano o potevano essere guardate.

In questo senso è significativo il termine che Casetti pone fin nel sottotitolo come ponte fra "cinema" e "modernita": "esperienza". La negoziazione operata dal cinema non si riduce solo all’ambito della costruzione del testo filmico, ma investe la sfera  del consumo e della fruizione attraverso il rinnovamento e palingenesi dei miti e riti della modernità.

L’esperienza rappresenta il campo di relazioni in cui si trova immerso il cinema, un campo in cui prevalgono sia le nuove regole imposte dalla città e dalle modifiche delle condizioni di vita, sia i riferimenti ad altre pratiche artistiche, spettacolari e spettatoriali.

Lo studio del cinema si apre in una prospettiva rigenerata alla rilevazione dei rapporti complessi e pluridirezionali che si instaurano non solo fra testo e contesto, ma anche fra film e spettatore reale, con le sue attese, le sue competenze, le sue conoscenze, sottoposte continuamente a una serie di riconfigurazioni e di messe a fuoco continue.

Le implicazioni del volume non coinvolgono solo la riflessione teorica ma hanno una ricaduta diretta anche sulla storiografia del cinema. L’occhio del Novecento fornisce una rete di ipotesi interpretative che permettono di poggiare in termini nuovi una storia culturale del cinema. Casetti evidenzia come aspetti di continuità e rottura siano nel cinema processati in un’unica dinamica: la permanenza di pratiche precedenti, il riflusso della tradizione, che sia teatrale letteraria o cultuale, si scontra ricombinandosi con gli elementi che caratterizzano l'esperienza della modernità, le tendenze alla disgregazione, alla rottura, secondo metodi che non possono essere ridotti alla somma algebrica delle parti.

L’ipotesi che il cinema in quanto medium partecipi alla costruzione dei processi simbolici e intervenga nella costruzione di senso ha notevoli implicazioni proprio su uno dei temi che appare centrale per gli studi storici del cinema in questi ultimi anni, la continua e combinata riformulazione del concetto di "istuzionalizzazione" della pratica cinematografica.

Molte sono le domande e le riflessioni che il libro pone al ricercatore, allo studioso, al lettore. Fra le varie una suggestione: mi sono chiesto se è possibile applicare al cinema quel giudizio che Calvino aveva adottato per spiegare la poesia del De rerum natura di Lucrezio e la sua sublime contraddizione interna. Se cioè il cinema non sia il grande strumento «in cui la conoscenza del mondo diventa dissoluzione della compattezza del mondo, percezione di ciò che è infinitamente minuto e mobile e leggero. [...] La poesia dell'invisibile, la poesia delle infinite potenzialità imprevedibili, cosi come la poesia del nulla nascono "da uno strumento" che non ha dubbi sulla fisicità del mondo».


Riccardo Castellacci


Copertina

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