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Ruzante sulle scene del '900

A cura di Simona Brunetti e Marzia Maino

Padova, Esedra, 2006, pp. 395, euro 30,00
ISBN 88-6058-007-2

Tra le tante iniziative inserite nel programma delle ''Celebrazioni ruzantiane'' nel 2002 trovò posto l'allestimento di un sito internet (www.ruzante.it), in cui furono raccolti materiali riguardanti spettacoli teatrali ricavati dal repertorio dello scrittore veneto o ad esso ispirati. Ne è seguito il progetto di Cristina Grazioli di trasferire la documentazione in un volume che si è concretizzato in Ruzante sulle scene del ‘900, affidato alla cura di Simona Brunetti e Marzia Maino e pubblicato dalla padovana Esedra editrice. La chiave di lettura del libro, che recupera e aggiorna il catalogo di Giovanni Calendoli, Ruzante sulle scene del secondo dopoguerra (Mogliano Veneto – TV, Grafiche Presse, 1983), si articola lungo Gli infiniti percorsi delle messinscene ruzantiane, come suggerisce il titolo del contributo della Grazioli. La catalogazione degli spettacoli segue la formula delle schede raccolte in ordine cronologico e contenenti estratti di giudizi critici, foto di scena, bozzetti, locandine, indicazioni bibliografiche. Dalla ricchezza delle informazioni emerge limpida la ricezione ruzantiana in un contesto culturale e linguistico anche internazionale, in grado di smentire la visione di un teatro relegato all'ambito regionale del dialetto veneto. Nel corso del secolo si confrontarono con il ricco catalogo ruzantiano attori e registi di primo piano della scena italiana ed europea, maturando variegati livelli interpretativi in merito ai contenuti e al linguaggio.

L'articolato percorso prende avvio in un piccolo teatro parigino con Bilora nel 1902 da parte di un'intraprendente associazione, Les Latins, di Adolphe Van Bever e Charles Vayre. L'allestimento segue un'interpretazione marcatamente comica e buffonesca ispirata alla Commedia dell'Arte, secondo la maniera assunta dalla decina di rappresentazioni che si susseguirono nella prima metà del secolo, compreso il debutto italiano ancora con Bilora ad opera della compagnia veneta di Gianfranco Giochetti, anche interprete del personaggio del titolo. E' il 1927, anno in cui dalla Francia arriva un altro fondamentale contributo con L'Anconitaine ou les Amoureux de Padoue di Jacques Copeau, seguita due anni dopo dal Bilora firmato da Charles Dullin. A partire dagli anni Quaranta la fortuna scenica di Ruzante subisce un'accelerazione, sospinta anche dall'intervento di letterati come Emilio Lovarini che per esempio traduce Il Reduce allestito da Giulio Pacuvio nel 1940, con le scene di Enrico Prampolini e Diana Torrieri alle prese con il personaggio Gnua recitato in dialetto pugliese. Altro momento decisivo è la messinscena di Moscheta da parte di Gianfranco De Bosio nel 1950, in quanto basata sul recupero della lingua pavana e i valori fonici originali, come procedeva in parallelo Ludovico Zorzi sul versante degli studi culminati nell'edizione einaudiana del Teatro di Ruzante (1967). Il contributo di Simona Brunetti, La passione di una vita: ''il lavoro su Ruzante'' di Gianfranco De Bosio, presente nel volume Esedra, segue passo dopo passo le tappe del rapporto tra il regista e il commediografo rinascimentale avviato nel 1942 con Fiorina, proseguito nel 1947 con Il Reduce a Parigi, poi approfondito con il gruppo del Teatro dell'Università di Padova. Oltre al linguaggio, De Bosio esplora la psicologia del contadino, e in una fase successiva influenzata dal teatro brechtiano affronta i temi della guerra, fame e sesso in una prospettiva di disagio sociale come nella fortuna ripresa di Moscheta nel 1960. Si apre la strada del superamento delle contaminazioni della Commedia dell'Arte, con L'Anconitana e Bilora nel 1965 per approdare ad una visione storicizzata delle commedie, evidente ne I Dialoghi di Ruzante (1967) e La Betìa (1969).

Gli anni Ottanta segnano l'avvio di un nuovo orientamento: gli spettacoli realizzati con il Gruppo della Rocca affrontano le problematiche esistenziali di Ruzante, ''il suo rapporto con la vita, ma anche la ossessione della morte'', dichiara lo stesso De Bosio, che confeziona regie di pregevole fattura come la Recita fantastica (1981), La Piovana (1987), fino alla nuova edizione de La Betìa nel 1994, incentrata sull'analisi del sentimento amoroso inteso come bisogno elementare. Dopo l'ennesimo allestimento di Moscheta del 1996, nel 2005 il regista veronese chiude il cerchio delle commedie del Beolco con Vaccaria realizzata per il Piccolo Teatro di Milano. Nel suo articolato e complesso percorso di ricerca, sostenuto dai preziosi studi zorziani, De Bosio dimostra tanto la vitalità della drammaturgia ruzantiana nei contenuti e nel linguaggio, quanto la reale possibilità di proporre le storie dei contadini disperati ad un pubblico vasto.

Durante il periodo 1960-1980 si intensificano le messinscene, proposte anche da gruppi amatoriali padovani tra i quali spicca la compagnia diretta dall'infaticabile Gigi Giaretta. Aumenta la diffusione all'estero, in area tedesca (con le regie di Dietrich von Oertzen, Heinz Engels e Claudia Sausermann con Die Paduanerin) e in Francia (Ruzzante, retour de la guerre regia di Jean – Louis Barrault). In Italia si ricordano i contributi di Augusto Zucchi con La Vaccaria (1973), di Franco Parenti regista e interprete di Nale ne La Betìa ideata nel 1975 e ambientata in un mondo agreste senza tempo, e soprattutto di Enrico Maria Caserta, autore di apprezzati allestimenti de La Moscheta (1975 e 1977), El parlamento de Ruzante (1978 e 1979).

Alla ricostruzione archeologica del contesto ruzantiano in rapporto al testo si affianca e matura un tipo di lettura che filtra le inquietanti problematiche esistenziali dei contadini nella contemporaneità, producendo una sorta di visione universalizzata. I Dialoghi allestiti da Marco Bernardi nel 1991 risultano trasferiti nella Guerra del Golfo, con manichini che seguono alla televisione lo svolgimento del conflitto irakeno. Lo stesso regista traduce nel 2004 con Andrea Castelli Parlamento e Bilora in dialetto trentino, accorpandoli nel titolo L'alpin che torna dala guera e El Faina e trasferisce la vicenda al tempo della Grande Guerra.

Altro indirizzo drammaturgico che si snoda dalle pieghe delle opere, portando alla luce la compresenza di elementi comici e tragici, è la lettura scenica in chiave grottesca con l'utilizzo di fantocci, marionette e maschere, sperimentato per esempio da Auro Franzoni nel Parlamento de Ruzante reduce de l'Africa Orientale (1976), da Caserta con El parlamento de Ruzante nel 1978, fino a Per l'amore di Betìa curato nel 2000 da Paolo Papparotto.

A decretare il successo ruzantiano soccorre anche il contributo decisivo degli attori chiamati a confrontarsi con i personaggi disegnati dall'estro creativo dello scrittore rinascimentale. Tra i tanti è doveroso ricordare almeno Cesco Baseggio, Cesco Ferro, Giulio Bosetti, Marcello Moretti, Elsa Vazzoler, Donatella Ceccarello, Virgilio Zernitz, Franco Parenti, Lino Toffolo, Leda Negroni, Glauco Mauri, Didi Perego, Alvise Battain, Fiorenza Brogi, Marcello Bartoli, Gianrico Tedeschi, Dario Fo, Sara Bertelà. Mentre la forza del volume sta nel documentare il modo esaustivo Ruzante sulle scene del '900 con centosessanta schede, tanti risultano gli spettacoli catalogati, che (forse) emancipano definitivamente il Beolco dalla strettoia degli autori secondari e lo promuovono nell'Olimpo dei classici.






Massimo Bertoldi


Copertina

cast indice del volume


 

Progetto e coordinamento di Cristina Grazioli



























 
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