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Cesare Zavattini - Uomo, vieni fuori!
Soggetti per il cinema editi e inediti
A cura di Orio Caldiron

Roma, Bulzoni, 2006, pp. 493, € 35,00
ISBN 88-7870-131-9

Chi è stato Cesare Zavattini? Scrittore come pochi sanno essere, ci ha rivelato la bellezza di una piccola e colorata umanità; fine artigiano della fantasia è stato capace di farci appassionare a storie comuni rischiarate qua e là dalle luci di uno sguardo meraviglioso (il suo, di Za) e meravigliato (il nostro, i suoi lettori/spettatori).

Che cosa è stato Zavattini? Scrittore, giornalista, poeta, pittore, autore teatrale, soggettista e sceneggiatore. Quante facce, quanti mestieri, quante direzioni. Alla fine, però, sempre lui, l’uomo "venuto fuori" a dirci che esiste una veritàaaaaaaaaaa. Quella verità che l’autore di Umberto D non ha la pretesa di svelarci, l’essenza del suo lavoro è un’altra, è in quella frase che si trova all’inizio del soggetto mai realizzato Tu Maggiorani (1950): "Questa è una storia vera". In sintesi, l’obiettivo di Za è quello di osservare la vita che si mostra nella serie di piccoli fatti costituenti le normalissime esistenze di impiegati, pensionati, operai, casalinghe…

L’uomo è scrutato, pedinato, compreso nella verità di quei soggetti per il cinema, editi e inediti, raccolti in Uomo, vieni fuori!, volume della Bulzoni curato da Orio Caldiron. Sulla copertina la faccia curiosa e ironica di Zavattini che guarda qualcosa in lontananza (o semplicemente pensa) portandosi l’indice alle labbra: la soluzione, la veritàaaaaaaaaaa, quella più reale, quella del mondo delle incongruenze e delle contraddizioni sta forse per uscire da quella bocca.

Il volume si divide in cinque sezioni: Proibito Ridere, Viaggi in Italia, Giro del mondo, Uomo, vieni fuori. I soggetti ci sono tutti, dai primissimi come Buoni per un giorno del 1934 agli ultimissimi come La Bomba del 1985. A pensarci bene i titoli delle cinque parti in cui è organizzata la raccolta sembrano denominare le tappe di un viaggio, il cammino di una avventura umana sorprendente, che inizia con la presa di coscienza attraverso la scrittura per concludersi con la celebrazione dell’Uomo, nonostante il viaggio in Italia e intorno al mondo abbia svelato un’umanità debole e contraddittoria, ma probabilmente bella proprio per le sue fragilità.

È alle fragilità, alle aporie dello scrittore, della realtà e della sua rappresentazione che si riferisce Caldiron nelle prime pagine della bella introduzione: "Nella sua scrittura epifanica, in cui tutto è "qui e ora", si riflettono la crisi della rappresentazione, l’ansia parossistica di dominare la realtà e insieme lo smarrimento di chi ha coscienza della crisi e cerca di uscirne attraverso la provocazione, lo piazzamento, il rimescolamento delle carte, il profluvio delle rettifiche, dei materiali residuali, delle prove a carico".

Seguendo attraverso la lettura la crescita di Za come soggettista, non si può evitare di rintracciare i riferimenti ai meccanismi base del comico muto, che tuttavia si intrecciano con altri motivi, legati alla quotidianità vissuta dallo scrittore, all’affermarsi sempre più tangibile del potere invasivo dei media, pensiamo al soggetto La signorina grandi firme. E se in La casa dei tic nervosi lo spirito charlottiano è ancora forte, è nei soggetti successivi, soprattutto quelli scritti dalla metà degli anni quaranta, che esso si declina in senso zavattiniano, e allora la scrittura ci conduce nelle significative scoperte dello humor più nero di Umberto D o nel fantastico quotidiano di Miracolo a Milano. Ma lo straordinario di un’esistenza solita è svelato da uno sguardo che vuole tornare alle origini. La macchina da presa allora non si stanca di spiare, seguire un uomo nelle sue pratiche quotidiane, nel suo girovagare per la città alla ricerca di una bicicletta. E proprio come alle origini del cinema, quando gli occhi di un comune spettatore si stupiscono dinanzi all’incanto di una madre che dà da mangiare al proprio bambino, adesso lo stupore riguarda la riscoperta dell’umanità: l’epifania del cinema scopre le profondità della quotidianità della gente comune. Il potere comunicativo del cinema, appunto. Una qualità davanti alla quale il Zavattini scrittore non si mostra intimorito, è anzi consapevole che la sua prosa può restare sulla carta e non essere sminuita dalla mancata "conversione" in immagini filmiche. Si guardino, pardon si leggano i soggetti inediti come Diario di una donna (1971): "Siamo a Roma. Il 10 giugno 1940. Sembra un giorno come un altro. Ecco il tempio di Vesta, il Colosseo, San Pietro, il Quirinale. Da Trinità dei Monti scendono come sempre i turisti e i romani, sostando ai banchi delle fioraie[…] Lungo la traccia della sua immaginazione vediamo Silvia percorrere via Condotti sui tacchi alti, con passo elastico. Due grandi occhiali da sole la rendono ancora più affascinante, un po’ misteriosa, e gli uomini si voltano a guardarla; lei, protetta dalle lenti nere, li guarda a sua volta[…]". Possiamo forse amare meno il Vincent Van Gogh (1954) di Za perché il film non è stato realizzato? La scrittura ci conduce nella tragedia accesa dallo stupore infantile con cui il grande pittore guarda il mondo, noi comprendiamo e vediamo per opera della parola scritta l’uomo Vincent e il suo universo: "[…] Il treno corre verso il Sud. Davanti agli occhi di Vincent appare la pianura sempre più ricca di colori, sempre più immensa. Ecco Arles. Il sole di Arles è davvero più grande che in ogni altra parte del mondo, Vincent s’incammina attraverso la città: una vita nuova, calda, rumorosa gli viene incontro con la gente di Arles. Passa una compagnia di zuavi con la fanfara in testa. Dal Rodano viene il grande rumore dei battelli a vapore che lo solcano. L’acqua manda barbagli d’oro. Alcune donne lavano i panni e cantano sulla riva del fiume[…]".

Alla fine della scrittura e della vita di Za troviamo il soggetto irrealizzato de L’ultima cena (1972) e quello dato alla pellicola de La veritàaaaaaaaaaa (1981). All’inizio del primo l’autore scrive :"[…] La cena ha lo scopo, potremmo dire socraticamente, di affrontare il tema che è sulla bocca di tutti, nel cuore di tutti, poveri e ricchi, giovani e vecchi, nelle città e nei villaggi: dove va il mondo? Che cosa veramente vogliamo? Quali responsabilità abbiamo? Siamo vicini alla salvezza o al naufragio? […]". Molto probabilmente la risposta è nel secondo soggetto, e a noi non resta che abbandonarci alla cruda rivelazione della sua parola: "[…] Il protagonista si chiama Antonio. È considerato ufficialmente pazzo[…] Tutti quelli che incontra li investe. Li obbliga a dire la veritàaaaaaaaaa. […] A piazza Venezia Antonio fa infatti un discorso per dimostrare che l’umanità non pensa, che è imbastita di idee di pensieri di parole completamente inoperanti, tutti puzziamo per le idee andate a male che conserviamo dentro. Bisogna vomitarle[…]".





Lucia Di Girolamo


Copertina del libro

cast indice del volume


 



 
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