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Hans Doerry

Il sistema dei ruoli nel teatro tedesco dell’Ottocento

A cura di Cristina Grazioli

Firenze, Le Lettere, 2006, € 20,00
ISBN 8860870038

Negli ultimi anni, l'esigenza di approfondire l'organizzazione per ruoli della prassi attorica sette-ottocentesca e la sua ricaduta sull'estetica scenica e drammaturgica di tali epoche ha dato vita ad una serie di studi di deciso interesse che hanno spaziato in diverse aree geografiche. L'approfondimento in ambito tedesco, iniziato da Cristina Grazioli tra il 2000 e il 2001 con la traduzione dei materiali storico-critici dieboldiani sul sistema settecentesco degli emplois in ambito germanico, si arricchisce ora del volume sul Sistema dei ruoli nel teatro tedesco dell’Ottocento, firmato da Hans Doerry, sempre a cura di Grazioli. Come è accaduto per il volume di Diebold pubblicato nel 2001, anche lo studio di Doerry è tradotto a quasi un secolo di distanza dalla prima edizione tedesca (l'originale è del 1926), e tuttavia, come in quel caso, il suo valore è tutt'altro che diminuito nel tempo.

Lo sguardo con cui Doerry osserva i ruoli tedeschi del diciannovesimo secolo è quello di chi ha visto in anni recenti l'affermazione definitiva della regia; persuaso oltre ogni dubbio della sua centralità nell'arte teatrale, l'autore analizza con attenzione la storia degli emplois ottocenteschi considerandone l'interazione con la nascita e lo sviluppo appunto della concezione registica. Lo studio è segnato per molti versi da una prospettiva evoluzionistica. Il graduale passaggio da un sistema in cui il ruolo predomina, secondo l'autore pregiudicando una recitazione d'insieme, ad una tipologia di rappresentazione in cui l'attore, guidato dal regisseur, esce dai cardini prefissati e lavora così per creare un allestimento concertato, è senza dubbio considerato un progresso artistico.

Nell'evoluzione così delineata particolare rilevanza assume la funzione della drammaturgia. Pur con il concorso di altri fattori, è la drammaturgia a costituire il motore dell'innovazione, per il critico tedesco. A seconda che il dramma abbia o meno la forza e la capacità di vincere le resistenze della prassi attorica conservatrice, e affermare forme e principi innovativi, si registra un progresso o una stasi nel percorso che porta il teatro germanico alla regia. Perché solo la forza dirompente della drammaturgia, secondo Doerry può forzare il limite del ruolo, anche se con l'ausilio di uomini di teatro illuminati e in concomitanza con l'avanzamento delle altre componenti dell'arte scenica. Ecco quindi l'importanza per l'autore, come sottolinea Cristina Grazioli nell'introduzione al volume, dell'immissione della drammaturgia boulevardienne nel repertorio dei teatri tedeschi, che induce a superare i tipi fissi ereditati dal Settecento, per mettere in circolo nuovi ruoli dotati di caratteristiche particolari: su tutti i Charakterrollen, tipologie "mobili", miste, maggiormente aperte alle sfumature psicologiche, che, assieme ai Generici, in qualche modo apriranno la strada allo sgretolamento del ruolo.

Non vi può essere dubbio che la drammaturgia sia centrale per Doerry. Non solo il volume esordisce con un primo corposo capitolo dedicato appunto agli "esordi della moderna arte drammatica", in cui appunto si esplorano le interazioni tra ruoli e testi, ma anche quando, nel secondo capitolo, l'attenzione si rivolge alla regia, è sempre il testo ad avere la posizione di privilegio nell’allestimento. Da Goethe a Immerman (questi primi due considerati come parziali anticipatori piuttosto che come registi in senso pieno), da Dingelstedt a Laube, la messinscena unitaria ha sempre come scopo restituire l'essenza del testo. Ciò non significa che il teatro debba essere un teatro puramente di parola. Al contrario, Doerry è perfettamente cosciente dell'importanza dei coefficienti visivi per l'allestimento, al punto che l'essere troppo attento all'aspetto verbale e troppo poco all'aspetto più propriamente scenico dell'allestimento è una caratteristica che lo induce ad escludere Goethe dal novero dei registi. Ma un fattore soprattutto evidenzia la consapevolezza scenica dell'autore: i drammi ritenuti in grado di innovare il teatro non sono i drammi letterari, ossia i testi che non tengono conto della realtà scenica contemporanea, quanto i Theaterstücke, le pièces per la scena, in particolare quelle composizioni che, pur scritte adattandosi alla prassi contemporanea, la raffinano, ne forzano i limiti, determinando un progresso. Data l'importanza attribuita alla drammaturgia non sorprende che al termine del percorso doerriano che conduce dal teatro dei ruoli al teatro di regia non troviamo un regista, bensì un drammaturgo: è Ibsen, per il critico, a determinare l'affermazione definitiva del principio di regia.

Una precisazione è opportuna. Per Doerry la regia nasce necessariamente sotto il segno del Realismo. I Regisseuren da lui presi in considerazione (Dingelstedt, Laube e, di sfuggita, i Meininger e Brahm) si collocano appunto su una direttrice realistica/naturalista. Non a caso il percorso dal monopolio del ruolo al teatro di regia è affiancato, nel volume, dal contemporaneo "progresso" dall'Idealismo al Realismo. All'Idealismo, che per l'autore caratterizza la prima metà dell'Ottocento, corrisponde una tendenza tipizzante, un'incapacità di fondo di attribuire spessore e sfaccettature ai personaggi, che ben si adatta alla bidimensionalità del ruolo; nella sua visione, è solo con l'infiltrazione di tendenze realistiche che i personaggi si arricchiscono di sfumature, diventando individui "mossi", complessi, irriducibili ai "tipi" della tradizione e dell'Idealismo. Nell'analisi del critico tedesco, la bidimensione diventa così tridimensionalità, l’essere umano non è più visto come rappresentazione di archetipi cristallizzati e universali, ma, immerso nella vita reale, diventa individuo.

Un'ultima annotazione: giunto ad escludere qualsiasi funzione estetica del ruolo nel teatro a lui contemporaneo, Doerry si trova a commentare la rinascita degli emplois sulla scena tedesca d’inizio Novecento. L'apparente impasse è risolta dal critico nell'ultimo capitolo del volume, dedicato al significato sociale del ruolo, dove "sociale" si riferisce all'ambito teatrale piuttosto che alla società tedesca nella sua interezza. In questo contesto l'autore analizza l'evoluzione dei rapporti di forza tra i responsabili artistici delle compagnie (a seconda del periodo capocomici, direttori di teatro, registi) e gli attori, con uno sguardo anche alle varie forme corporative nate e sviluppatesi nell'Ottocento. Il ruolo, nel contesto economico, amministrativo, organizzativo e legislativo che viene descritto, diventa uno strumento essenziale per regolare la vita della compagnia. Ma agli esordi del ventesimo secolo, dopo l'affermazione del principio registico il suo valore è rigidamente limitato all'ambito organizzativo-gestionale: ciò che ne rimane è un semplice strumento per regolare sistemi di retribuzione e gerarchie interne alla compagnia, oltre che per gestire contenziosi lavorativi. Il lato artistico del lavoro teatrale, invece, è ormai definitivamente nelle mani del regista.

 

Paola Degli Esposti


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