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Luigi Allegri

L’arte e il mestiere. L’attore teatrale dall’antichità ad oggi


Roma, Carocci, 2005, pp. 222, euro 18,50
ISBN 88-430-3550-9
Titolo molto incisivo per un libro utile e ben fatto in un settore editoriale (quello dei neo-manuali universitari) spesso più speculativo che costruttivo. Tranne appunto qualche rara eccezione. Come questa.

Intanto la concezione dell’indice che prevede una prima parte suddivisa in dodici capitoli che seguono l’evoluzione storica di un’arte, quella del recitare, controversa, avversata, idolatrata o fruttifera, dall’antichità ai giorni nostri, per un totale di 186 pagine. La seconda parte, più breve (35 pagine), intitolata Percorsi, abbandona la diacronia per riesaminare alcune questioni storiografiche e metodologiche attraverso un ordinamento tematico: l’influenza dell’oriente nel teatro occidentale, le marionette, l’uso dello spazio scenico, i costumi e le maschere, l’attrice donna, attori dilettanti e professionisti, i rapporti degli attori con il regista e lo scrittore, eccetera.

Ed è in questa seconda parte che il libro trova la sua sintesi ma anche il suo principale pregio. In poche pagine l’autore riesce a condensare una serie di osservazioni che costituiscono un viatico prezioso per chiunque voglia avvicinarsi con competenza e intelligenza allo studio dell’arte teatrale. Il prevalere del punto di vista dell’attore costringe infatti lo studioso e il lettore ad assumere un angolo di osservazione determinato, costrittivo se si vuole, ma tale da ricondurre alla loro essenzialità molte questioni generali di storia del teatro. L’attore è dunque il pretesto con cui Allegri ci fornisce la piccola preziosa summa di un’intera disciplina.

Non c’è teatro, infatti, senza l’attore. Si può fare a meno di registi e scenografi, di datori luce e tecnici vari, anche ai drammaturghi si può – al limite – rinunciare, ma non possiamo immaginare nessuna scena senza almeno un recitante. I fondamenti della questione (l’attore è un artista o un imbroglione? un lavoratore o un perditempo? un utile educatore oppure un mercenario affascinante e dannoso?) vengono disposti da Allegri nei primi capitoli dedicati alla recitazione antica, greca e romana, e poi medievale, seguendo riflessioni e fonti già largamente messe a fuoco in un precedente importante volume dedicato a Teatro e spettacolo nel Medioevo (Roma-Bari, Laterza, 1988). Nelle prime pagine del nuovo manuale vengono portate alla luce le radici di un fenomeno (appunto il recitare) che costituisce una struttura basilare della cultura occidentale: citazioni e rinvii ai testi della tradizione platonica, aristotelica e cristiana emergono frequenti a sostegno anche di altre parti del libro.

Dopo i capitoli meno approfonditi e originali dedicati al Rinascimento e al Barocco, la trattazione riprende vigore affrontando i temi del teatro moderno e giungendo alle sue pagine migliori al momento di raccontare la stagione dell’innovazione novecentesca. In particolare nel capitolo decimo, dedicato a L’attore nella stagione delle Avanguardie storiche e nel capitolo undicesimo dedicato all’attore del Novecento, ad Allegri riesce ancora una volta l’esercizio della sintesi: in poche pagine, con il sussidio di brevi citazioni, egli mette sulla pagina il conflitto di anima e corpo che l’attore ha dovuto sostenere nel secolo appena trascorso contro la dittatura dei Registi e dei Teorici avanguardisti, trionfanti non a caso in parallelo con il trionfo dei sistemi politici e filosofici totalizzanti.

La rappresentazione del massacro non è fatta dalla parte dell’attore (come avrebbe voglia di fare il sottoscritto recensore) ma dall’alto di un punto di vista equanime, che peraltro non nasconde la sua simpatia per il teatro delle marionette (teorizzato a livelli altissimi da Gordon Craig): dunque partendo da una posizione teorica diversa da quella che ho appena esposto; eppure proprio in questo Allegri mostra la sua onestà critica e intellettuale, lasciando che le citazioni non siano tendenziose ma esposte a tutte le letture, rimanendo convinto del suo sguardo ma lasciando che altri, con le stesse parole, possano farsi un’idea diversa. Merito raro.

 

Siro Ferrone


copertina

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