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Richard Dyer

Dell'immagine. Saggi sulla rappresentazione


Torino, Kaplan, 2004, € 18,00, pp. 160
ISBN 88-901231-3-3

Il libro è uscito in Italia nel 2004 e raccoglie saggi che lo studioso inglese Richard Dyer ha pubblicato dal 1977 al 1998, ma ciò nonostante sembra particolarmente attuale il modo con cui l’autore riflette sulle rappresentazioni cinematografiche di gruppi sociali marginalizzati (alcolisti, gay, lesbiche) o dominanti (uomini, bianchi, eterosessuali), sulle loro radici e implicazioni. Come scrive l’autore nella prefazione all’edizione italiana di Matters of Images, «se la teoria della comprensione storica e culturale delle immagini limita la raccolta, ne dimostra anche il principio fondamentale e il metodo».

Il principio espresso da Dyer è che non esistono immagini neutre, e che la loro costruzione va compresa attraverso l'analisi. Il metodo relativo alla loro disamina è certificato dal modo in cui l’autore insegna a guardare, cioè a interrogarsi su ciò che caratterizza la rappresentazione dei gruppi sociali attarverso il film, la cultura e il modo di produzione che l'ha generato. Così appare esemplare non solo la lettura di singole opere cinematografiche (anche se la lettura di Papillon è particolarmente suggestiva) o di generi (Omosessualità e film noir), ma anche dei fenomeni divistici (il volume dedicato da Dyer al divismo è ormai un classico degli studi sull’argomento).

Il saggio dedicato a Lilian Gish (pubblicato su «Sight and Sound» nel 1993) evidenzia il legame implicito della sua immagine divistica con la rappresentazione della razza bianca. Dyer spiega come la storia dei rapporti sempre più stretti fra luce e figura umana in forme di rappresentazione come la fotografia, il teatro e il balletto, a cavallo fra otto e novecento, trovi la sua espressione più compiuta nel cinema dove si mette al servizio di un’ideologia. «Nelle immagini sullo schermo sembrava che la luce emanasse dalle persone. Ammesso che fossero bianche. Il cinema sviluppò i propri codici di illuminazione intorno alla star femminile e con Lilian Gish come esempio massimo ma anche tipico».

Lilian Gish rappresenta, secondo Dyer, la fusione di tre qualità – luce, virtù e femminilità – con la concezione hollywoodiana dello spettacolo. E’ una creatura di luce, cioè il prodotto dell’evoluzione tecnologica legata all’illuminazione del set nel cinema classico ma il legame fra sesso, razza e luce è anche la chiave per comprendere il suo divismo. Lo dimostra come Griffith utilizzi l’immagine divistica di Lilian Gish in Nascita di una nazione (1915). La sua Elsie incarna la severa semplicità e purezza della donna del nord e rappresenta a livello narrativo il punto di sutura della frattura provocata dalla guerra civile che il finale ricompone: «Quando Elsie cavalca nella parata del KKK, la nazione è finalmente nata, la sua unità assicurata sotto lo stendardo dei valori del Sud. Elsie è il trofeo esibito della nuova nazione bianca».

L’analisi di Nascita di una nazione prosegue idealmente in un altro saggio dove Dyer si sofferma sui personaggi di colore la cui rappresentazione casuale (attori neri, bianchi truccati di nero e bianchi truccati da suonatori ambulanti con gli occhi cerchiati e le parrucche crespe) è un segno dell’instabilità delle categorie razziali espresse dal film. Il punto nodale è il concetto di impurità razziale: analizzando alcune sequenze e la loro concatenazione narrativa, nonché l’illuminazione delle inquadrature, Dyer arriva alla conclusione che Nascita di una nazione, impegnato nella definizione della supremazia bianca nell’identità degli Stati Uniti, finisca per indicare che il problema del sud sta nel suo non essere abbastanza bianco: non a caso i mulatti hanno un ruolo narrativo centrale.

Dyer, guardando le immagini cinematografiche dalla prospettiva delle rappresentazioni che veicolano, apre nuovi orizzonti di analisi mettendo l’accento su aspetti della cultura visiva che una moderna storia della visione non dovrebbe ignorare.


Cristina Jandelli


La copertina del volume

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