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Michael Cimino

Big Jane

Traduzione di Paolo Penza

Roma, Fandango Libri, 2002, pp. 152, euro 12,00
ISBN 88-8751-730-4
"Diciotto o diciannove anni, piedi scalzi e blue-jeans: Jane era un'aspirante Miss Universo completa di muscoli". Così, nelle pagine iniziali, Michael Cimino presenta la protagonista del suo primo romanzo. Jane Kiernan è una ragazzona di un metro e ottanta di altezza (da qui il soprannome "Big Jane"), bionda e bellissima. Ha un padre autoritario e molto più basso di lei, che tutti chiamano "Little Jane", e un unico desiderio: fuggire dalla grigia periferia di Long Island per andare in cerca di fortuna. È con Billy McCain, un suo coetaneo, che fuma Lucky Strike ("Sei fortunato." "Infatti fumo le Lucky" afferma costui, con fiera tracotanza, durante il primo incontro con Jane) e guida una moto Indian, che Jane riesce a realizzare il suo desiderio: partono insieme per un viaggio attraverso gli Stati Uniti, un coast-to-coast che li porta a ovest, attraverso le sconfinate pianure americane, verso l'oceano Pacifico.

Come nei suoi film, anche in questo romanzo Cimino racconta la sua America, che ricorda, per certi versi, quella di Una calibro 20 per lo specialista: un paese fatto di lunghe strade sulle quali viaggiano sogni e speranze, di locali e stazioni di servizio sparsi nella quieta provincia, di personaggi in perenne equilibrio tra realtà e mito; cowboy falliti, pellerossa, soldati, ma anche artisti e gente del cinema (a Hollywood, ovviamente, che Cimino non perde occasione di condannare aspramente). Un universo multiforme nel quale Jane passa come una saetta, sulla sua moto, gettando uno sguardo fugace e ripartendo subito, incapace di trovare quello che cerca.

E quando Billy scompare, travolto da un destino più grande e crudele di lui, il viaggio di Jane prosegue, inarrestabile, soltanto velata da una malinconia indifferente a ogni sussulto e mai totalmente sopraffatta. Dal Texas alla Death Valley a Los Angeles, Jane si lancia a testa bassa verso il futuro, sola con la sua giovane follia.

Nemmeno la guerra la spaventa. Volontaria in Corea (il romanzo è ambientato nei primi anni Cinquanta), Jane scopre l'orrore dei combattimenti, la tragedia della morte e degli spargimenti di sangue, ma anche il calore del cameratismo e dell'amicizia (impossibile non pensare, in questo caso, a Il cacciatore).

Con un linguaggio diretto e immediato, a tratti lirico, a tratti crudo e triviale, Cimino racconta un'avventura on the road, alla ricerca di qualcosa che neppure ha un nome (libertà, forse, o felicità, o pienezza). Un viaggio "in presa diretta", dolente e disperato, sulle note di canzoni urlate a squarciagola durante paurose e spericolate evoluzioni sulla moto o nei roadhouse che appaiono all'improvviso lungo le interminabili strade americane.

Cimino maneggia efficacemente le tecniche narrative, utilizzando una prosa accattivante, quasi mai descrittiva e sempre attaccata all'azione, fedele allo svolgimento degli eventi. Il romanzo è un vorticare di situazioni che si intrecciano le une con le altre, senza pause (anche se la meditazione è presente, ma bisogna cercarla soprattutto tra le righe), la cui mutevolezza riflette il disagio interiore della protagonista, la sua volontà di cambiamento. Il regista dà il meglio di sé nei dialoghi, asciutti e serrati, e nelle descrizioni visive dei luoghi. È chiara la derivazione cinematografica dell'autore: sembra quasi, a volte, di leggere una sceneggiatura, della quale Big Jane conserva la brillantezza dei dialoghi, l'efficacia drammatica di certe scene (vere e proprie "sequenze" cinematografiche), la potenza visiva di alcune immagini: "ingranò la marcia, esitò un istante, poi riprese l'autostrada, accelerando in direzione del tentacolare raccordo autostradale. Il sole le spendeva sul petto, la luna le illuminava d'argento le spalle".

Con Big Jane, Cimino offre ai suoi lettori un'intensa metafora del disfacimento del sogno americano, ma anche una possibilità di redenzione nella capacità di andare sempre avanti, inseguendo il proprio "personale" sogno, per incontrare, alla fine, una vittoria che ha il sapore della scoperta di se stessi e del proprio ruolo in una realtà crudele e contraddittoria.

di Fabio Tasso


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