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La traduzione di Amleto nella cultura europea

A cura di Maria Del Sapio Garbero

Venezia, Marsilio, 2002, pp. 173, euro 16,00
ISBN 88-317-8041-7
Amleto rappresenta un caposaldo della cultura e del pensiero occidentale, è una figura emblematica anche della modernità. Può essere identificato in un filosofo in dissidio con la morale e le leggi, in un solitario nichilista, in un retore, in un figlio tradito, in un codardo, in un clown, e comunque in un personaggio che riflette la crisi dell'essere e le debolezze dell'agire nel mondo e nella storia.

I contributi raccolti nel volume curato da Maria Del Sapio Garbero tracciano itinerari europei, analizzando con una diversità di approcci le modalità con cui la lingua e la storia di Amleto sono state assimilate e rielaborate in tempi e contesti diversi. La traduzione di Amleto nella cultura europea viene affrontata nono solo in termini di influenza o di ricezione, ma anche come fenomeno di ricontestualizzazioni storiche.

Alessandro Serpieri studia Le origini di "Amleto" (pp. 17-32) e ricostruisce la complessa genealogia mitica, per poi affrontare il rapporto con le fonti europee più dirette. Tutto rimane ancora avvolto nel suo affascinante mistero: dalle influenze delle Metamorfosi di Ovidio, autore che Shakespeare non conosceva, a Il 'primo' Amleto (edito e curato dallo stesso studioso per Marsilio nel 1997), un testo più breve scoperto nell'Ottocento, forse una prima stesura oppure una copia piratesca redatta a memoria da un attore che lo avrebbe venduto sottobanco. Si relaziona al contesto inglese anche il saggio di Maria Del Sapio Garbero (Reinvenzione di Ofelia, pp. 109-139), che analizza come le scrittrici dell'Ottocento hanno letto Shakespeare e interpretato la figura di Ofelia, triste eroina capace di oscurare Amleto.

In Francia le opere di Shakespeare, prima considerato 'barbaro', trionfano con il romanticismo, come dimostrano le poche ma dense pagine di Mallarmé dedicate alla figura di Amleto, eletto ad emblema di un teatro della mente (Jacqueline Risset, Mallarmé, "Amleto" e il vento, pp. 33-42).

La Russia apre le porte ad Amleto nel primo Settecento prima attraverso traduzioni dal francese e dal tedesco, poi con rifacimenti di stampo neoclassico (Aleksandr Sumorokov); nell'Ottocento si intensificano le traduzioni e gli allestimenti con tendenze a 'russificare' i 'tipi' della drammaturgia shakespeariana in forme talora parodiche e talora mimetiche. Fu Pasternak con saggi e traduzioni a modificare l'immagine corrente, sostenendo che "Amleto è il dramma del dovere e dell'oblio di se stesso" (Cesare G. De Michelis in L'"Amleto" e la cultura russa (pp. 43-50).

Diversa si presenta l'esperienza portoghese ricostruita da Giulia Lanciani ne L'Elsinore lusitano (pp. 51-60): molto tradotto nell'Ottocento, anche se talvolta in modo grossolano, Amleto diventa metafora del regime salazariano nell'ambito della letteratura di resistenza.

In area iberica rimane Giulio Grilli in "Hamlet" nel teatro contemporaneo spagnolo (pp. 141-151), per analizzare due diverse traduzioni, in castigliano di Angel Luis Pujante e in catalano di Joan Sellent, l'una aderente al teatro classico del Siglo de Oro, l'altra impostata sulla lingua moderna.

Dove Amleto ha trovato il terreno ideale per liberare il proprio potenziale drammatico, è l'area di lingua tedesca. Zoltan Markus (Berlino e Budapest: gli Amleti dell'Europa in guerra, pp. 61-75) propone due esempi significativi: uno spettacolo allestito nel 1936 allo Staatstheater berlinese (regia di Lothar Müther con Gustaf Gründgens nel personaggio eponimo), con un protagonista molto energico e pragmatico, di ispirazione nazista, ottenuto grazie a mirati tagli ai suoi indugi malinconici e monologanti. A questo si contrappone un Amleto quasi catacombale, simbolo di resistenza antitedesca, nell'allestimento avvenuto al Teatro Nazionale di Budapest nel 1941 (regia di Antal Németh, con Tivadar Uray nella parte del principe danese).

Nel 1978 Heiner Müller pubblicava Hamletmachine e il suo principe di Elsinore declinava verso il silenzio ("io non sono Amleto. Io non recito più nessun male"), poiché si faceva portavoce di una coscienza marxista impegnata a riflettere sulla fine della propria utopia. E' quanto discute il saggio di Francesco Fiorentino (Heiner Müller e la "Hamletmaschine", pp. 77-109) che approfondisce la malinconia postmoderna di un intellettuale spaesato, senza ruolo e senza sogni.

Nel trasferimento di un testo in un nuovo contesto linguistico, il primo atto interpretativo spetta al traduttore, perciò Agostino Lombardo nell'intervista curata da Maddalena Pennacchia (Tradurre "Amleto", pp. 157-173) racconta in modo preciso ed esauriente i doveri del mestiere e il doppio obbligo a cui si è sempre attenuto: la fedeltà al testo letterario e la fedeltà al linguaggio teatrale, maturata anche in seguito alle collaborazioni con Strehler, Squarzina.

Infine: Che fare di "Amleto" si interroga Giorgio Melchiori. E la sua risposta è tanto semplice quanto complessa: continuare a tradurlo secondo la nostra sensibilità e le esigenze comunicative del teatro, nei modi infiniti con cui si affrontano e si perpetuano i miti.

di Massimo Bertoldi


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