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Fausto Paravidino

Teatro
'Gabriele', '2 Fratelli', 'La malattia della famiglia M', 'Natura morta in un fosso', 'Genova 01', 'Noccioline',
Introduzione di F. Quadri

Milano, Ubulibri, 2002, pp. 275, euro 18,00
ISBN 887748225-7
Quando la pianticella del drammaturgo, assai rara e stenta in Italia, fiorisce, d'abitudine è giusto annaffiarla di lodi e cure; quando la stessa pianticella viene esportata - e l'avventura è ancora più rara - è giusto compiacersene. Del germoglio di uno, dieci, cento di questi semi si nutre la civiltà teatrale di un paese e di una lingua. Dunque benvenuto e benlodato questo giovane autore che ha saputo lasciare un segno precoce del suo talento nel nostro deserto drammaturgico. La pubblicazione di un buon numero dei suoi testi, ad opera della Ubulibri, è un'occasione di verifica più meditata di quanto di lui si può vedere in scena in questi mesi (vedi la recensione allo spettacolo Natura morta in un fosso).

In un'altra recensione ci eravamo occupati di 2 Fratelli, tragedia da camera in 53 giorni rilevandone pregi e limiti. In questo nuovo libro ci pare che spicchi un'opera (Natura morta in un fosso) in cui le qualità superano di gran lunga le perplessità. Rimane la percezione di un linguaggio secco e vitale, tutto parlato, mai letterario. In più, un montaggio scandito da suspences e contrasti, che cattura l'attenzione. La ricostruzione di un delitto nella periferia di una cittadina del nord, lungo una strada battuta dalle prostitute e dai loro clienti, avviene per la somma di testimonianze monologate, primissimi piani, fino al riconoscimento (o agnizione) del colpevole. Una struttura aristotelica tenuta in piedi da un montaggio che ricorda i classici del noir cinematografico del XX secolo.

Le scene paiono un'abile miscela di remakes di ogni epoca. Il delitto del padre è scoperto alla fine, commesso sulla strada come se fosse l'incrocio di Tebe; la macchina in cui avviene l'incontro-rivelazione tra i due è un aggiornamento del boudoir di Madama Pace di pirandelliana memoria. Le narrazioni dello spacciatore di provincia, del suo antagonista poliziotto, del giovane sbandato, della prostituta di colore, e così via, si dispongono come tasselli documentari della mala di serie B che paiono ricalcati su copioni del neorealismo teatrale americano anni Cinquanta, anche se innaffiato da dosi più abbondanti di sangue e vomiticcio, una spruzzatina di sperma e una spolverata di cocaina. Su queste piste il sesso si raffredda e ogni passione diventa gelida, come è logico in chi ha visto più Tarantino che Miller.

Nonostante la sensazione di déjà-vu, il riuso dei detriti e delle citazioni appare singolarmente nuovo, accattivante. Il documentario è convincente. Le immagini dei racconti in prima persona e anche gli inserti di dialogo all'interno dei monologhi, paiono provenire dalla realtà vera. E attraverso la finzione e un riciclaggio di modelli datati, il neorealismo inaspettatamente risorge (ma anche il testo che Paravidino ha dedicato ai fatti tragici del G8 genovese del luglio 2001 è un esempio ben realizzato di teatro-documento).

Il nostro giovane autore non ha una grande forza d'immaginazione, ma sa spolverare gli arnesi del mestiere dei grandi del passato e del presente (cinema e teatro) con una perizia e un'astuzia prodigiose. Talento di non poco conto in un'arte che fa del furto e del riciclaggio (da Shakespeare in poi), oltre che del montaggio, le sue armi migliori. Deve però imparare a essere fedele a sé stesso e al suo tempo. In questo testo i monologhi della madre sono, al contrario, un esempio di inevitabile infedeltà tanto quanto sono efficaci e analitici quelli degli altri personaggi, non a caso tutti maschi e stressati (se si esclude la prostituta che è però una maschera più che un personaggio, la corifea di un coro muto di disperate esistenze di periferia). Paravidino cerca di usare il personaggio materno come gli altri, come uno dei tanti frammenti di uno specchio capace di rimandare, una volta ricomposto, il quadro d'assieme di una società malata. La sua caratterizzazione sessantottina è un frettoloso maquillage che evita, rimuove, lo strazio drammatico che è al fondo della storia inventata. Lo scrittore, pure abile, gira al largo, o meglio naviga sulla superficie delle acque della sociologia e non osa addentrarsi nel profondo della tragedia di una madre, di un padre e di una figlia piccoloborghesi.

Ma non importa, da uno scrittore così dotato possiamo aspettarci ancora di meglio alla prossima immersione.

di Siro Ferrone


Immagine dalla copertina

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